Certi di suscitare una robusta polemica, dichiariamo che quello del testamento biologico, marcatamente per le persone con disabilità gravissima, è un problema minore. Se si è liberi infatti da schematismi ideologici, quella del “fine vita” appare come una questione che rientra nella sfera delle scelte personali e ogni persona in grado di autorappresentarsi dovrebbe poter disporre della propria vita come meglio crede. Se il suo credo religioso le impedisce di disporne liberamente, questa è una scelta dettata dalla libertà e come tale è da rispettarsi. Ma non può essere imposta.
Il problema sorge per altro quando una persona non è in grado di autorappresentarsi e marcatamente se non è mai stata in grado di farlo.
Perché allora definiamo “un problema minore” quella che indubbiamente è una questione etica di assoluto rilievo? Perché potrebbe riguardare, nella brutalità delle cifre, solo una piccolissima percentuale delle persone con disabilità gravissima ricoverate nelle strutture e a loro volta quelle ricoverate sono solo una piccola parte del totale.
Vorremmo invece definire “il problema maggiore” quello del diritto a vivere delle persone con disabilità che sono assistite dalla famiglia; o meglio, ancora, il diritto alla sopravvivenza della “famiglia con disabilità”.
Se è giusto allora occuparsi del “problema minore” – ma continuiamo a pensare che in materia di disposizioni di fine vita sia meglio non fare alcuna legge, piuttosto che una cattiva legge – dovrebbe essere ancora più doveroso e urgente occuparsi di come permettere una vita dignitosa alla grande maggioranza delle persone con disabilità gravissima che sono assistite dalla famiglia 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, spesso tra immensi sacrifici economici e umani: in sostanza, dev’essere loro riconosciuto il diritto di continuare ad esistere, senza essere considerati causa della triste situazione economica del Paese.
Tutto questo viene denunciato da anni dalle associazioni di famiglie che vivono sulla loro pelle la disabilità gravissima e tuttavia né i politici né i media ritengono doveroso affrontare la questione da questa prospettiva. Neppure i gesti di estrema disperazione che hanno spinto più di una madre a rinunciare alla vita assieme al figlio disabile hanno persuaso della necessità di affrontare l’essenza reale del problema. La cronaca, infatti, commenta questi gesti come un ultimo, estremo, atto d’amore verso il figlio, senza mai chiedersi quali siano le responsabilità di tutti noi, di ciascuno di noi, per tale tragico epilogo.
E in ogni caso ciascuno di noi potrà trarre da tutto ciò una propria valutazione del livello etico della nostra società.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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