L’espulsione dei rifiuti cellulari

Arriva dai ricercatori del TIGEM di Napoli (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) la prima dimostrazione "in vivo" di una strategia per trattare le malattie da accumulo lisosomiale e, potenzialmente, diverse altre malattie degenerative. Ora, dopo questa preziosa scoperta della ricerca di base, si dovrà andare "a caccia" di farmaci che in futuro ne traducano concretamente le potenzialità

Andrea Ballabio, direttore del TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) di NapoliMettere alla porta i rifiuti della cellula? Ci pensa un gene: a dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica «Developmental Cell» e coordinato da Andrea Ballabio, direttore del TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) di Napoli e del Laboratorio Telethon presso il Jan and Dan Duncan Neurological Research Institute di Houston negli Stati Uniti.

In condizioni normali tutte le nostre cellule sono dotate di veri e propri “spazzini molecolari”, i lisosomi, che garantiscono un corretto smaltimento delle sostanze di scarto prodotte dal metabolismo grazie a un ampio corredo di enzimi detossificanti.
Vi sono però delle malattie ereditarie – quelle da accumulo lisosomiale – in cui a causa di un errore nel DNA, questo processo non si verifica correttamente. Di conseguenza, i rifiuti non vengono smaltiti e si accumulano nei lisosomi, portando nel tempo le cellule alla morte: un fenomeno che si osserva anche in patologie degenerative molto più comuni come l’Alzheimer e il Parkinson o semplicemente nel corso dell’invecchiamento.
Leader nel mondo in questo settore, Ballabio, insieme al suo team, ha scoperto nel 2009 un gene, chiamato TFEB, capace di fare da “direttore d’orchestra” di tutto il processo di smaltimento dei rifiuti cellulari. A partire da questo risultato, che si è meritato le pagine di «Science», i ricercatori partenopei si sono chiesti come sfruttarlo per fermare l’accumulo di sostanze tossiche ed evitare così i danni ai diversi tessuti – muscoli, fegato, occhi, sistema nervoso – a cui si assiste in queste gravi patologie.

Come spiegano Diego Medina e Alessandro Fraldi, primi autori del lavoro, «abbiamo scoperto che stimolando TFEB si attiva una proteina, chiamata mucolipina, che promuove la fusione dei lisosomi con la membrana della cellula, con conseguente rilascio all’esterno del loro contenuto. Finora si pensava che questo fenomeno, chiamato esocitosi lisosomiale, riguardasse soltanto cellule molto specializzate del sistema immunitario come i neutrofili e i granulociti, invece, grazie a uno stimolo esterno, può verificarsi anche in altre cellule. Inoltre, esperimenti preliminari condotti nel modello animale di malattie lisosomiali hanno dimostrato che questo si traduce in una riduzione dell’infiammazione e dell’accumulo di sostanze tossiche, ma soprattutto in un generale miglioramento delle condizioni di salute».

Si tratta della prima dimostrazione in vivo che il gene TFEB può diventare un interessante bersaglio farmacologico, per trattare le malattie da accumulo lisosomiale. «Adesso – sottolinea Ballabio – dovremo innanzitutto capire meglio dove vanno a finire le sostanze di scarto rilasciate dai lisosomi, per essere certi che vengano davvero eliminate, presumibilmente con le urine, senza provocare danni. Parallelamente, grazie a una sofisticata strumentazione disponibile al TIGEM, andremo a caccia di farmaci capaci di indurre la fusione dei lisosomi con la membrana, attivi su TFEB, ma anche su altri attori di questa via metabolica che stiamo via via scoprendo. È emozionante vedere come dalla nostra ricerca di base stiano nascendo prospettive concrete da applicare alla terapia delle malattie genetiche, che rimane sempre la nostra missione in quanto ricercatori Telethon». (Ufficio Stampa Telethon)

Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@telethon.it.
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