La sindrome di Rett colpisce prevalentemente le bambine – è detta infatti anche “malattia delle bimbe dagli occhi belli”, prendendo spunto da un appellativo che lo scopritore di essa, Andreas Rett, ripeteva spesso -, per le quali rappresenta la seconda causa di ritardo mentale grave.
Essa si manifesta tra il nono e il ventesimo mese di vita e comporta un progressivo rallentamento dello sviluppo, la regressione delle abilità psicofisiche e l’irreversibile perdita del linguaggio. È inoltre associata ad autismo ed epilessia.
Uno studio interdisciplinare su questa patologia, coordinato dall’Istituto Nanoscienze di Pisa (CNR-Nano) e che coinvolge anche, sempre a Pisa, l’Istituto di Neuroscienze (IN-CNR) e la Scuola Normale, oltre all’Università di Firenze e a quella di Torino, ha evidenziato, mediante “fotografie in Hi-tech”, che le alterazioni delle sinapsi delle cellule cerebrali sono presenti fin da quando i sintomi della patologia sono ancora lievi e suggerisce quindi che, intervenendo con farmaci in fasi molto precoci della malattia, si potrebbe contrastarne gli effetti.
Analizzando infatti il modello animale della sindrome di Rett, i ricercatori hanno cercato di capire le alterazioni cellulari che portano all’insorgenza della malattia. Sotto la lente è finito un particolare della cellula cerebrale, le cosiddette spine dendritiche, piccole strutture distribuite sui neuroni sulle quali hanno sede le sinapsi, che garantiscono il cosiddetto “dialogo tra neuroni”.
Da segnalare che, per monitorare le spine dendritiche, è stato impiegato l’imaging a due fotoni, tecnica all’avanguardia che permette di vedere le cellule cerebrali al passare dei giorni, tramite una strumentazione disponibile in Italia solo in pochissime strutture.
*Testo qui ripreso, con lievi riadattamenti, per gentile concessione di tale testata (sito http://malattierare.sanitanews.it).
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