Torno «nella giungla»!

di Franco Bomprezzi*
Com'è stato possibile, in una tranquilla stradina del centro di Cremona, lo scatenarsi di una violenza senza freni inibitori, che ha portato alla morte di un pensionato di 76 anni, dopo una lite per un parcheggio riservato ai disabili? Si insinua il dubbio che anche questo episodio si inquadri in una situazione più vasta di deterioramento della coesione sociale, di "giungla urbana", nella quale vige solo la legge del più forte. E si può solo sperare che il dramma di Cremona segni il punto di non ritorno, l'acme di un fenomeno, l'episodio capace finalmente di ricondurre tutti alla ragione, alla tolleranza, al senso civico "minimo"

La scena del dramma assurdo consumatosi il 19 novembre a CremonaTorno a casa dopo quasi un mese, dopo essere riuscito in un colpo solo a fratturarmi due gambe. Torno a casa, ma torno anche nella “giungla”.
In quel letto 14 dell’Unità Spinale del Niguarda di Milano mi ero abituato bene, con infermieri simpatici e professionali, con medici capaci anche di amicizia, con compagni di ricovero che hanno riempito le mie giornate di chiacchiere semplici e concrete, di vite spezzate ma che ripartono, lentamente, ma sicuramente.
L’Unità spinale è un mondo un po’ speciale, ci si abitua rapidamente, e il distacco comporta persino una certa inquietudine, perché comunque da oggi dovrò fare i conti con una convalescenza lunga e non semplice, nell’attesa che le ossa si saldino e mi restituiscano all’autonomia, all’autosufficienza.

Ma perché parlo di “giungla”? Perché oggi continuo a pensare a ciò che è accaduto a Cremona, una delle città più quiete e provinciali che si possano immaginare. Bella e civile, ordinata e umana. E mi domando come sia stato possibile lo scatenarsi, in una tranquilla stradina del centro, di una violenza senza freni inibitori. La vicenda (se ne legga comunque cliccando qui, nel sito dell’ANSA) credo sia nota, per la sua assurdità, quasi a tutti.
Un pensionato di 76 anni è morto, travolto dal conducente di un SUV, al termine di una lite furibonda originata da un piccolo sopruso. L’omicida aveva infatti parcheggiato nel posto personalizzato riservato alla sosta di una persona invalida, la compagna del pensionato ucciso. Il quale, probabilmente esasperato dall’ennesima situazione di questo tipo, non potendo parcheggiare la propria vettura, aveva chiamato la Polizia Municipale per far rimuovere il SUV.
L’arrivo del conducente, un imprenditore del Bresciano, ha trasformato la storia, di per sé minima, in una tragedia assurda. La lite fra i due uomini, i pugni battuti sul cofano del SUV, la decisione improvvisa e folle di partire sgommando e travolgendo l’anziano. Ora la sua compagna, invalida, ha perso il suo “paladino”, è rimasta sola. E il conducente del SUV ha la vita bruscamente cambiata per un momento di follia raccapricciante.

Questo almeno dicono le cronache, ovviamente incapaci di riprodurre con esattezza la concatenazione dei fatti. Mi viene da pensare che attorno a questo piccolo diritto negato, quello alla sosta in un posto riservato e ben delimitato, con tanto di cartello, sia esplosa una rabbia covata da tempo, legata alla constatazione che la prepotenza, l’arroganza, l’insensibilità nei confronti di chi è realmente invalido, stanno diventando regola costante di comportamento, un malcostume così diffuso, da portare chi subisce il torto a una crescente sensazione di impotenza, di frustrazione e dunque di rabbia, forse persino eccessiva, al punto da non valutare neppure il rischio di dover confrontare la propria indignata protesta con una persona che evidentemente non accetta di buon grado le regole della convivenza civile e che, senza generalizzare la fenomenologia del SUV (tentazione per altro fortissima, anche se a rischio di “razzismo automobilistico”), è probabilmente pronta a reagire in modo brutale, violento, impulsivo, di fronte al rischio dell’arrivo di una pattuglia di vigili urbani.

In questi mesi molte sono state le prese di posizione e le iniziative per stroncare il fenomeno, troppo diffuso, della sosta selvaggia e furba nei posti riservati ai disabili. Anch’io, personalmente, assieme agli Amministratori del Comune di Milano, ho cercato di contribuire alla messa a punto di contromisure efficaci e in qualche misura educative. Ma di fronte a un episodio come quello di Cremona resto sgomento. E si insinua il dubbio che anche questo episodio si inquadri in una situazione più vasta di deterioramento della coesione sociale, di giungla urbana, appunto, nella quale vige solo la legge del più forte.
Penso anche che si sia fatta strada, sotto la spinta delle campagne mediatiche contro i “falsi invalidi”, l’idea che molto probabilmente anche i posti riservati alla sosta sono quasi un privilegio, e vengono assegnati a persone che tanto non ne hanno diritto, né bisogno.
Mi viene solo da sperare che il dramma di Cremona segni il punto di non ritorno, l’acme di un fenomeno, l’episodio capace finalmente di ricondurre tutti alla ragione, alla tolleranza, al senso civico “minimo”. Non voglio condividere il pessimismo di Carlo Chianura, che nel suo blog di «Repubblica.it» (cliccare qui), afferma che il nostro «non è un Paese per disabili». Non ci credo, non è così. La rassegnazione al peggio è pericolosa, anche quando assume la forma della protesta e della denuncia civile.
Questo è anche un Paese per disabili. Ha le leggi migliori d’Europa, ha le associazioni più combattive e preparate, ha tante persone in gamba che ogni giorno si battono per i diritti essenziali. E se succede un episodio come questo, forse è perché, ingiustamente, i singoli Cittadini si sentono soli di fronte al sopruso e all’arroganza. Abbassiamo i toni, anche noi. Proviamo ad applicare, nei prossimi mesi, le regole elementari del dialogo e dell’ascolto. Torno a casa volentieri, e non ho paura. Alla fine, vinceremo noi. Tutti insieme.

*Direttore responsabile di Superando.it.

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