E se non restasse in cassa nemmeno un euro?

di Giorgio Genta
Sono stati in molti ad annotare la frase con cui il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani ha concluso la propria dichiarazione di voto, prima della fiducia al Governo Monti («Presidente, basta con l’egoismo sociale, se le rimanesse un solo euro in cassa... per cortesia... lo spenda per un servizio per i disabili... perché senza solidarietà non c’è senso di comunità e senza senso di comunità non possiamo salvarci...»). Una frase certamente apprezzabile, alla luce soprattutto del contesto in cui è stata pronunciata e dell'attuale, difficile momento vissuto dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie. Di contro, però, c'è anche chi ha trovato quelle parole - soprattutto per il modo in cui sono state formulate - sin troppo «demagogiche». Riceviamo, quindi, e ben volentieri pubblichiamo

Particolare di occhio di uomo calvo, con lo sguardo severoSì, lo so che le Associazioni non dovrebbero “fare politica”, almeno nel senso che non dovrebbero schierarsi politicamente, soprattutto quelle delle persone con disabilità. Quindi parlo, o meglio scrivo, a titolo personale.
Quando, nella parabola evangelica, Nostro Signore parlò della difficoltà di far transitare un cammello attraverso la cruna di un ago, operazione assai più semplice che far entrare un ricco nel Regno dei Cieli, io penso che in realtà non parlasse di un ricco, ma di un politico, del Politico in generale. E credo anche, nella mia laica presunzione, che imputasse tale pratica impossibilità al pertinace rifiuto del Politico ad abbandonare la demagogia.
La demagogia è così diffusa nel linguaggio della politica, da non conoscere confini di schieramento: da quelli che una volta tenevano la mano aperta e il braccio  teso in avanti a sessanta gradi a quelli che salutavano o inneggiavano con il pugno chiuso.
Demagogia è il baraccone mediatico sui “falsi invalidi” – non i giusti controlli su chi truffa o abusa -, come demagogia è pensare di cavarsela, chiedendo al Presidente del Consiglio “fiduciato” di destinare un euro («…se le rimanesse in cassa…») al servizio per i disabili.

Certamente avrò capito male, davvero non bisogna estrapolare una frase dall’intero contesto. I Politici parlano per concetti semplici, per essere compresi da tutti, ma la storia di quell’unico euro e soprattutto quel «..se le rimanesse in cassa…» non mi va giù! E se dopo cento manovre e mille tagli, un “miliardo di lacrime” e gli “ettolitri di sangue”, non restasse neppure un euro in cassa?
Credo sia giunto il momento delle proposte concrete: come e dove trovare gli euro – che non ci sono – per permettere una dignitosa sopravvivenza delle persone con disabilità. Ricordando che se questi euro non verranno trovati, si innescherà una terribile reazione a catena. Le famiglie, infatti, non riusciranno più ad assistere a casa le persone con disabilità grave (inutile, a questo punto, ricordare la percentuale “bulgara” delle persone con disabilità grave assistita in famiglia), saranno costrette dapprima a sopperire con ricoveri ospedalieri impropri (costosissimi, ma non negabili: quale medico potrebbe mai in coscienza dire che una persona con disabilità grave o gravissima non necessita di un ricovero ospedaliero in una struttura ad alta specializzazione, quando non è più assistibile in famiglia?) e poi con “internamenti” in strutture residenziali, umanamente non certo comparabili con la vita “in famiglia”, economicamente costose e mal finanziate.
Se non fosse una battuta di pessimo gusto, si potrebbe risolvere il problema con una telefonata: un euro dal cellulare, due dal telefono fisso…

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