Il mestiere di genitore non si impara in una scuola di “formazione alla genitorialità” ed esserlo di un ragazzo che corre incontro alla vita con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro, è ancora più difficile.
Non voglio qui approfondire le diverse problematiche e di cosa esse siano in grado di suscitare nell’animo di un genitore, in particolare nel dover gestire la negatività che tali stati d’animo possono determinare sulla personalità del figlio, il quale ha già in sé tutta la forza che lo spinge a correre incontro alla vita. E tuttavia le ore trascorse insieme, quando non sono sovrastate dall’ansia e dalla paura di non farcela, ritrovano un loro svolgersi sereno; i momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti e da contatti affettivi, che rendono ancora più forte la volontà di costruire.
Quando poi il genitore affida alla scuola il proprio figlio, si preoccupa di trovare in essa un dirigente “che faccia la differenza”, che abbia la voglia e la capacità di accettare una sfida. Quel signore sicuramente c’è, basta cercarlo, forse non si troverà nella scuola sotto casa, ma vale la pena scovarlo, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi in una scuola con “semplici” e demotivati insegnanti.
Ci vogliono infatti “Insegnanti” con la I maiuscola, sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle responsabilità, rivestendo appieno il proprio ruolo, per affrontare agevolmente il difficile compito loro affidato. Un ruolo che richiede ed esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e l’impegno a dare il buon esempio.
I genitori apprezzano i sacrifici e riconoscono i problemi che gli insegnanti devono affrontare, sanno che possono farcela a dare la giusta ispirazione per sfruttare appieno il potenziale dei loro figli.
Certo, l’insegnante non nasce “salvatore”, né lo diventa piegandosi a particolari studi di psicologia o sociologia. L’insegnante comunica ad altri ciò che è, e il suo paragone con le cose di cui la realtà è fatta. L’insegnante sa che può educare, quando per primo lui stesso “si lascia educare”, mantenendo cioè aperto un canale verso l’esterno, sapendo assumere il ruolo di chi apprende, rivelandosi elastico di fronte alla realtà in cui si trova, non considerandosi mai “compiuto” e mettendo da parte l’ambizione e il senso del dovere, senza mai dimenticare che i ragazzi non sono “bottiglie da riempire”, ma “fuochi da accendere”.
Cosa significa educare? Molto ci si è interrogati su cosa si debba intendere con questa parola. L’etimologia di essa ci aiuta a comprendere meglio il termine, che deriva da “tirare fuori”, “condurre fuori da”, ciò che presuppone l’esistenza, in ogni uomo, di qualcosa da scoprire: ogni uomo, infatti, è insieme un mistero e un progetto da realizzare.
Educare diventa allora l’azione per fare scoprire a coloro che all’educatore si affidano, la pienezza del loro essere, affinché possano a loro volta diventare “educatori”, ossia “liberatori”, che non attendono solo di essere “liberati”, ma diventano essi stessi “liberatori”, dando senso a tutte le loro capacità.
Per questo gli insegnanti che “salvano” – formati o meno per farlo – sono quelli che non perdono tempo a cercare le cause dell’infermità scolastica dei ragazzi e tanto meno si lamentano delle proprie condizioni economiche o della carriera. Sono quelli che hanno capito che occorre agire in fretta, “buttandosi” giorno dopo giorno, ancora e ancora, pur sapendo che non c’è nulla di scontato nel rapporto educativo. Sono quelli che sanno solo che hanno di fronte adolescenti in pericolo.
Gli insegnanti di cui si parla sono adulti, ricchi della propria umanità, i quali hanno capito che educare è una gioia, una responsabilità e allo stesso tempo un’avventura affascinante.
Certo! Hanno scelto la professione che presenta più sfide, ma anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il loro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto “impossibile” viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un ragazzo rifiutato che viene accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei “grazie” di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente “perduto” che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, lasciando un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
*Genitore.
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