Nel 2010 ha compiuto dieci anni il CRIBA, nato in Emilia Romagna come Centro Regionale d’Informazione sulle Barriere Architettoniche e successivamente diventato Centro Regionale d’Informazione sul Benessere Ambientale, con un significativo cambiamento di nome, dovuto al fatto che, come spiega Piera Nobili, presidente di CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione sull’Accessibilità), «assumere l’apparentemente astratta nozione di “Benessere Ambientale” significa anche esaminare tempi e spazi per i differenti soggetti, considerando l’insieme dei/delle Cittadini/e, senza appiattimenti concettuali, accogliendone le differenze emarginanti o marginalizzanti. Significa in buona sostanza valutare nella corretta prospettiva i problemi e i disagi vissuti dagli anziani, le donne, i disabili, i lavoratori, i pensionati, i bambini ecc., riflettendo sui nodi e sui nessi che legano le persone sia nella vita concreta e materiale che in quella affettiva e relazionale, nonché sui nodi e sui nessi che tengono insieme le scelte, in una parola, politiche con le ricadute dirette e indirette che hanno sull’ambiente costruito e relazionale».
È stato dunque proprio CERPA Italia a volere la nascita di questo servizio, il cui modello si è diffuso in seguito anche in Friuli Venezia Giulia e recentemente in Toscana. Proviamo dunque a tratteggiare il bilancio delle attività svolte in questo decennio.
Strumento per l’Universal Design
«Furono gli ostacoli frapposti al raggiungimento e al godimento pieno di una vita indipendente in relazione con gli altri, da parte delle persone con disabilità – spiega la presidente di CERPA Italia – a farci maturare l’idea di proporre l’istituzione del CRIBA. In tal senso, venne elaborato un progetto, condiviso in particolare con il Comune di Reggio Emilia, la cui filosofia di base era centrata sull’autonomia delle persone con disabilità e sull’indipendenza della loro vita».
«In sostanza il CRIBA – prosegue Nobili – è per tutte le componenti pubbliche e private uno strumento tecnico-scientifico, per promuovere, sostenere e diffondere quella cosiddetta cultura dell’Universal Design [“progettazione universale”, N.d.R.], indispensabile per tutelare e realizzare il benessere delle persone nei loro ambienti di vita. Le finalità principali, infatti, sono quelle di informare, documentare e formare alla cultura dell’accessibilità, usabilità e fruibilità dell’ambiente antropizzato, di affiancare, con consulenze gratuite, professionisti privati e pubblici, durante la redazione di progetti architettonici e urbanistici, allo scopo di indirizzarli verso la realizzazione di spazi e luoghi inclusivi».
Una fondamentale funzione di consulenza, dunque, sostanziatasi poi, nel corso degli anni, anche in attività di formazione delle équipe di lavoro, di coordinamento e di monitoraggio dei servizi provinciali di primo livello, denominati CAAD (Centro per l’Adattamento dell’Ambiente Domestico), effettuate in collaborazione con il Servizio CRA (Centro Regionale Ausili), la cui sede è a Bologna.
Le leggi come alibi
«In questi dieci anni – racconta ancora Nobili – abbiamo potuto verificare quanto le prescrizioni della normativa di riferimento siano limitate rispetto alla molteplice realtà delle persone con disabilità, al punto da diventare, in taluni casi, un facile e comodo alibi per coloro che affrontano il progetto, dietro al quale si nasconde l’indifferenza (culturale ed etica) nei confronti di chi vivrà l’esito del progetto medesimo. Si è insomma rafforzata la nostra convinzione che prescrivere non sia sufficiente, ma che sia oltremodo necessario formare e indirizzare i progettisti verso una concreta conoscenza dei diversi soggetti abitanti, e verso una maggiore consapevolezza delle prestazioni che un ambiente includente deve fornire. Ma non solo. Abbiamo infatti potuto “toccare con mano” quanti altri individui si celino dietro la stessa indifferenza che colpisce le persone con disabilità, come le donne, i bambini, gli anziani, i migranti, i turisti, gli abitanti temporanei ecc.».
Tanti diversi ostacoli, quindi e non solo riferiti alle barriere note come “architettoniche”. Infatti, «la tangibile percezione degli ostacoli – secondo Nobili – è a diversi livelli, sia materiale che immateriale, in una condizionante interdipendenza, riconoscibile nell’organizzazione e nella costruzione dei sistemi urbanizzati e degli spazi abitati, nell’organizzazione e nella costruzione delle relazioni fra generi, fra gruppi sociali e fra generazioni, nella programmazione e nella gestione delle risorse, nella pianificazione e nella gestione del sistema economico, nel sostegno e nell’evoluzione della cultura. In breve, gli ostacoli sono il “marchio” della società decisa dalla cultura, dalla politica e dall’economia, senza dimenticare le corresponsabilità dei singoli, quelle che hanno attinenza con la consapevolezza dell’esistenza dell’altro e del suo ascolto».
Concetti e affermazioni che quasi fatalmente riportano a uno dei princìpi fondamentali della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità («è l’ambiente sociale a creare una situazione di maggiore o minore disabilità»).
Tanta strada ancora da fare
Ed è proprio sulla Convenzione che si sofferma in conclusione la presidente di CERPA Italia, annotandone la fondamentale importanza, ma ricordando anche che «ancora molta strada ci separa dal raggiungimento di una reale società inclusiva. I cambiamenti culturali, di costume e politici si fanno generazionali e alle volte avanzano con “passo di gambero”, soprattutto in tema di cultura dei diritti che va costantemente riconquistata e rinegoziata. In tal senso, la Convenzione ONU è un testo di ottimi intenti che possono essere trasferiti dal piano filosofico-simbolico in cui attualmente sono collocati, a quello materiale e concreto, solo se i Paesi e la gente di quei Paesi opereranno con costanza e perseveranza al processo di aggiornamento degli strumenti di intervento, di trasformazione politica e culturale, ponendosi il fine dell’inclusione sociale».
*Riadattamento di un testo già apparso con il medesimo titolo nel numero 175 di «DM», periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione.