Emirati Arabi: disabili ricchi, obesi e soli

a cura di Barbara Pianca
Questa volta il nostro colloquio con Abdullah Al Atrash è centrato sulla sua attività di commerciante di vernici, che per sei mesi all'anno vive a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Già conosciuto dai nostri Lettori come autore del documentario "La stanza di Hamdan", sulla condizione delle persone con disabilità in Palestina, l'italo-siriano ci descrive questa volta la situazione difficile - per motivi esattamente opposti a quelli della Palestina - delle persone con disabilità residenti negli Emirati

L'interno di un Centro per persone con disabilità negli Emirati ArabiAbbiamo già intervistato Abdullah Al Atrash a proposito del suo documentario La stanza di Hamdan sulla condizione delle persone con disabilità in Palestina. Commerciante di vernici, Al Atrash, italo-siriano, si trova spesso, per motivi lavorativi, negli Emirati Arabi Uniti. Vive infatti a Dubai per sei mesi all’anno e anche lì, come in Italia dove abita per gli altri sei mesi, insieme alla moglie svolge attività di volontariato con le persone con disabilità. La situazione di queste ultime negli Emirati è piuttosto particolare, perché nonostante la ricchezza, rimangono comunque delle grosse difficoltà sociali da affrontare.

Chiediamo ad Abdullah di spiegarci di cosa si tratta.
«Il Paese in sé è molto ricco e il governo spende molti soldi in servizi sociali. I centri dedicati alle persone con disabilità sono strutture di eccellenza a livello internazionale. Cose così in Europa ce le sognamo. L’assistenza è efficace e garantita. E anche a livello di diritti umani sono piuttosto avanzati».

Sembra il “Paese perfetto”…
«Sembra, ma poi ci sono grosse carenze. Ad esempio, il volontariato non esiste. Quando io e mia moglie ci siamo offerti come volontari per la prima volta, diversi anni fa, ci hanno guardato con stupore, credevano che stessimo cercando lavoro e abbiamo dovuto spiegarci per bene. Ovviamente poi hanno apprezzato l’offerta e grazie a noi si è creata una realtà che prima non esisteva per niente. Ma, ancora oggi, siamo noi due gli unici volontari».

Se c’è la possibilità di pagare tutti, non può andare bene lo stesso, senza volontariato?
«No, perché è proprio l’atteggiamento di fondo che cambia. Un volontario è una persona che sceglie di prendersi cura della realtà in cui si inserisce, senza guardare ai limiti delle competenze e degli orari. Un lavoratore, invece, si limita ad eseguire l’incarico per cui viene retribuito, non compie azioni che non gli competono e interrompe le sue attività quando cessa l’orario di lavoro. Qui i centri sono tutti eccellenti, d’avanguardia, ma sono poi poveri dal punto di vista umano».

Perché nessuno desidera svolgere attività di volontariato?
«La gente è molto “viziata”».

A cosa servirebbero i volontari?
«Le persone con disabilità ricevono ottimi servizi e beni materiali, ma fanno fatica, ad esempio, ad avere amici».

Non si tratta di una questione privata?
«No, negli Emirati è una piaga sociale vera e propria. La solitudine affligge tutti in generale perché è lo stile di vita stesso che crea dei disagi nei contatti umani. Certo, dipende dal tipo di disabilità. Una persona con disabilità motoria ha meno problemi di socializzazione di una con disabilità psichica o intellettiva. Ma il disagio resta per tutti».

Ci puoi spiegare meglio?
«In una famiglia tipo la situazione è questa: il padre lavora molto e il resto del tempo lo trascorre per lo più fuori casa; la madre non lavora, ma impegna il suo tempo in feste, ricevimenti e nello shopping; i figli sono quasi sempre soli o con le badanti e per la maggior parte quindi sono viziati e piuttosto aggressivi. È insomma “l’eccesso di benessere”».

Cosa fanno i ragazzi durante il giorno da soli?
«Stanno a casa davanti alla televisione e mangiano. Gli Emirati Arabi sono il Paese con il più alto tasso di diabetici al mondo. Il 28% della popolazione ha problemi legati all’alimentazione».

Non esiste nessuna attività di sensibilizzazione sociale?
«Il Governo a dire il vero ci prova, ma in modo forzoso. Per esempio indìce una giornata speciale in cui tutti gli studenti delle superiori vanno a trovare le persone con disabilità nei centri, ma tutto si riduce a una formalità. I ragazzi trascorrono una giornata diversa, scattano delle foto e poi tornano a casa. Non viene in mente a nessuno di loro di tornare nei centri di spontanea iniziativa».

Le persone con disabilità sono considerate una “vergogna sociale”?Uno scorcio di Dubai
«No, assolutamente. Come dicevo, a livello di diritti umani sono molto avanzati e questo non solo nella legislazione, ma anche a livello culturale. I problemi sono altri».

A cosa ti riferisci?
«La società degli Emirati, come quella palestinese, è una società tribale. I matrimoni vengono combinati tra famiglie e regolano interessi, equilibri, spostamenti di denaro. In Palestina, proprio per questo motivo, le persone con disabilità vengono tenute nascoste: vista la povertà dilagante, nessuna famiglia desidera intrecciarsi a un’altra in cui un componente abbia una disabilità. Si tratterebbe di una persona in più da mantenere e, vista la condizione specifica, con oneri aggiuntivi che in pochi sono in grado di sostenere. Negli Emirati accade l’esatto opposto».

Cioè?
«Cioè le famiglie sono tutte, o quasi, molto ricche. Poiché possono offrire molto denaro, tendono a sposare i propri figli con disabilità in modo da farli uscire di casa. In particolare, questo fenomeno si verifica soprattutto tra uomini o ragazzi con disabilità psichica o intellettiva e donne o ragazze la cui famiglia non è troppo ricca, magari appartenente a qualche Paese confinante, e quindi ben disposta ad accettare un matrimonio che incrementi la sua ricchezza. Chiaro che questo fenomeno, quando non è più occasionale ma diffuso, diventa un problema sociale. Negli Emirati tutte le famiglie hanno diversi figli. Questi uomini con disabilità psichica diventano padri incapaci di prendersi cura dei figli e di gestire una famiglia. Hanno stipendi faraonici, ma il loro cervello è come quello di un bambino di nove anni».

Hanno tutti stipendi faraonici?
«Il Governo garantisce che gli stipendi non vadano mai sotto i 3.000 euro meensili. Le persone con disabilità vengono inserite nel mondo del lavoro, per lo più collocate negli uffici pubblici. Certo, stiamo parlando di benefìci garantiti solo a chi ha la cittadinanza. Infatti, alle persone disabili con cittadinanza negli Emirati, il Governo non solo fornisce gratuitamente l’assistenza a casa e tutti i servizi – e come dicevo si tratta di servizi di eccellenza – ma copre anche tutte le spese. Una persona con disabilità non spende mai niente, non deve pagare neanche il taxi o il cinema. Lo Stato gli fornisce anche la casa: una villetta».

Insomma, la ricchezza non porta la felicità!
«Io che faccio volontariato anche il Palestina posso dire che lì, dove le persone con disabilità soffrono di moltissime e gravi carenze materiali – certo esclusi i casi gravissimi in cui vengono tenuti nascosti, segregati in casa – vivono meglio dal punto di vista umano. Quando c’è poco, la società si compatta, si sente più unita».

Dunque le persone con disabilità come trascorrono le giornate?
«Sono circondate da un numero elevato di servitori. Non sono assistenti con una preparazione specifica, ma semplici servitori offerti dal Governo. In più, privatamente, ogni famiglia assume anche altri servitori. Cosa fanno le persone con disabilità tutto il giorno? Niente. A parte i momenti che trascorrono nei centri di eccellenza, per il resto sono a casa, soli in mezzo al lusso, e guardano la televisione. I servitori portano loro continuamente da mangiare. A Dubai i disabili li riconosci subito: sono tutti obesi!».

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