Le parole sono il mezzo per tradurre in realtà comprensibile i concetti astratti. Parole più o meno precise, corrette, efficaci, fedeli traducono più o meno precisamente, correttamente, efficacemente, fedelmente il proprio pensiero, in relazione a ciò che si vuole esprimere.
Un recente, bell’articolo di Valentina Paoli, apparso su queste pagine [Lessico e disabilità: alcune riflessioni, disponibile cliccando qui, N.d.R.] esamina analiticamente la correlazione tra la parola che si usa e il concetto che si vuole esprimere in tema di disabilità.
Ebbene, in un contesto “politico” di scarsa o scarsissima attenzione alle tematiche correlate alle persone con disabilità, avevo ritenuto convenisse essere chiari – cioè essere compresi – anche a scapito di una certa imprecisione lessicale e di un mancato aggiornamento semantico.
Comprendo dunque le motivazioni di quanto Giampiero Griffo e Marco Vesentini hanno scritto [cliccare rispettivamente qui e qui, N.d.R.] a commento delle mie riflessioni sui disabili “gravissimi”, cioè sulla loro definizione, la loro “conta” e le previdenze per essi richieste [cliccare qui, N.d.R.]. Ma non le condivido in pratica, perché sono argomenti che oggi nessuno (di noi) si sognerebbe di contestare e validissimi se il discorso fosse tra addetti ai lavori, cioè tra chi ha provato sulla propria carne o sul proprio spirito (o su di un figlio, poco cambia) il “morso della Bestia”, come avrebbero detto nel Medio Evo. Se oggi, tuttavia, non usiamo più la terminologia di quell’epoca, ritengo però sia altrettanto inutile parlare con termini che chi dovrebbe ascoltare – e se lo fa, di solito è molto distratto, come sono i decisori politici – non segue perché troppo “aulici”, specialistici o precisi (i politici, come categoria umana, rifuggono dalla precisione).
Le persone con disabilità gravissima esistono, sia le si chiami così sia lo si faccia in altri modi. Le loro esigenze sono spessissimo esigenze vitali nel senso più stretto del termine. E se non vengono soddisfatte puntualmente, muoiono.
Certamente esistono persone con disabilità intellettiva o relazionale gravissima, anche se forse è più difficile definirle con esattezza, ma in fin dei conti credo che la definizione proposta da chi scrive (cliccare qui) possa essere valida anche per loro.
Credo quindi che se la definizione di disabilità gravissima sarà troppo “benevola” e includerà troppe persone – è assai brutto esprimersi in questi termini, ma è necessario esser chiari – in pratica non si farà nulla perché, oggi, nessuno troverà le risorse necessarie.
Certamente i diritti umani sono diritti di tutti e difendendoli si difendono tutti, è necessario e doveroso farlo. Ma in questi tempi, estremamente pericolosi per noi, credo vadano per primi tutelati i diritti che assicurano l’esistenza dei più gravi, perché altrimenti per loro sarà vana la difesa del diritto di tutti, se non saranno più in vita.
Se insomma la tavola è già stata “sparecchiata” e restano solo le briciole, a chi destinarle?