Sono trascorsi circa sei mesi dalla manifestazione dei malati di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) organizzata dall’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), l’11 luglio dello scorso anno, con l’occupazione del Consiglio Regionale dell’Umbria [il video dell’iniziativa è disponibile cliccando qui, N.d.R.].
Quella mattina il clima era davvero pessimo, l’aria irrespirabile, la temperatura vicina ai 40 gradi, ciò che minò in modo irreversibile la salute di alcuni dei malati presenti, uno dei quali, Giulio Galli, morì pochi giorni dopo.
I malati e i loro familiari furono dunque costretti a compiere un gesto così clamoroso a causa della condotta omissiva ed elusiva delle Istituzioni regionali, dal momento che il Disegno di Legge riguardante l’assegno di cura giaceva da mesi nella III Commissione Consiliare Permanente alla Sanità e ai Servizi Sociali [Disegno di Legge Regionale “Interventi a sostegno della funzione assistenziale domiciliare per le persone affette da SLA”, presentato il 28 dicembre 2010 dalla consigliera regionale Sandra Monacelli. Se ne legga nel dettaglio cliccando qui, N.d.R.].
L’assegno di cura – come molti ben sanno – ha il compito di alleviare e sostenere il carico della famiglia, permettendo di assumere e remunerare dignitosamente un assistente familiare, in quanto è pure noto che l’impegno di cura a favore dei malati è piuttosto considerevole, spesso finanziariamente insostenibile (si parla di cifre prossime ai 6.000 euro al mese). Tutte le Regioni italiane, tranne poche eccezioni, erogano gli assegni, non solo ai malati di SLA, ma a tutti coloro che si trovano in condizioni di grave disabilità.
Nel corso della seduta consiliare di luglio, concomitante alla manifestazione, fu strappata l’approvazione di un ordine del giorno nel quale la maggioranza si impegnava a disciplinare la previsione dell’assegno. Lo strumento prescelto, però, non sarebbe stata una legge, ma una traballante delibera, che per di più intruduceva una sorta di sperimentazione della durata di un anno. Nulla, quindi, di definitivo né di estensibile alle altre persone con disabilità grave, all’insegna di scelte discutibitili e palesemente discriminatorie, quasi con il malcelato intento di alimentare una sorta di “guerra tra disperati”.
Ebbene, a distanza di sei mesi, qual è oggi lo stato dell’arte? Nulla, nessun segnale, niente assegno, malati e famiglie ancora nel guado! Si dirà che c’è la crisi, che la Regione non trova i soldi e invece no, perché i soldi, infatti – circa 300.000 euro, riferiti al riparto del Fondo Sanitario Nazionale – erano già pronti dal mese di maggio del 2011.
Sembra ora alquanto difficile credere che una Regione con un bilancio prossimo ai 3 miliardi di euro, incontri tutte queste difficoltà a racimolarne poche decine di migliaia al fine di alleviare la sofferenza di queste famiglie. Sembra difficile crederlo anche in ragione del fatto che, ogni anno, vengono indetti appalti per centinaia di milioni di euro in favore delle varie cooperative, appalti per la gestione delle strutture residenziali e semiresidenziali, appalti che prevedono contributi pubblici per ogni singola persona con disabilità ospite in struttura per migliaia di euro al mese. Tutti, del resto, conoscono i vantaggi, in termini di risparmio, che gli assegni di cura portano alle casse regionali, ma tutti o quasi, in questa Regione, continuano ad ignorare, eclissare, tacere.
E tuttavia l’assegno di cura, l’assistenza domiciliare indiretta sono figure previste da leggi e norme nazionali e il fatto che vi sia o meno una delibera regionale, comunale o provinciale che ne disciplini i dettagli, è quasi irrilevante.
Le leggi in questione sono la 328 del 2000 e la 162 del 1998, leggi che in Umbria vengono completamente disattese nelle parti in cui favoriscono concretamente la libera scelta dei disabili e delle famiglie su come disporre dei finanziamenti relativi all’assistenza, non pochi finanziamenti, per la verità, a loro destinati dal Fondo Sanitario Nazionale.
Ai Cittadini umbri, dunque, non rimane che un unico valido strumento per ottenere la tutela dei loro diritti, affidare cioè a un legale competente in materia l’intera questione, avendo cura di sceglierne uno che non anteponga interessi e collusioni poco trasparenti alla deontologia professionale, che non inganni e tergiversi sulle possibilità che la legge offre per la tutela di queste persone e delle loro famiglie. Riteniamo infatti che le rivendicazioni di queste ultime – per la legge e per i tribunali italiani – siano assolutamente concrete e debbano a questo punto trovare necessariamente risposte e tutela nei palazzi di giustizia, a causa della grettezza, del cinismo e della malafede di alcuni politici e amministratori pubblici.
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