Ha il nome di una caramella, ma non il suo sapore. Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile, il testo di Massimiliano Verga (Mondadori, 2012), racconta il rapporto dell’Autore con il figlio Moreno, un bambino di otto anni che non ci vede e ha il cervello «grande come una Zigulì» (op. cit., p. 5).
La disabilità ha in genere un effetto perturbante. Il turbamento si può negare, si può nascondere, si può tenere dentro. Però questa strategia espone al rischio che il dolore – non trovando la via della parola – si avventuri in quella dei gesti, con esiti imprevedibili, ma tutti poco rassicuranti. Forse è per questo che Verga ha deciso di raccontarlo, quel turbamento, e di tirare fuori tutta la rabbia, il senso di impotenza, l’angoscia, la solitudine e lo smarrimento che ti prende quando, senza preavviso, né alcuna competenza, devi inventarti genitore di un figlio con disabilità gravissima.
Eppure Zigulì scorre veloce. Ciò sia perché il testo si compone di brevi e semplici annotazioni che alternano i toni pesanti a quelli leggeri, sia perché l’ironia è sempre in agguato. «Pulire il culo […] è un’espressione che mi piace usare. Perché ha anche dei risvolti rassicuranti. A ben guardare, è una delle poche certezze che ho. Di sicuro continuerò a pulire il culo di Moreno per molto tempo ancora. Non è da tutti anticipare il futuro» (op. cit., p. 21).
«Non capisco tutta la preoccupazione che hanno i genitori dei bambini disabili per quanto riguarda la pulizia dentale dei loro figli. A me pare così semplice. Con una mano tengo lo spazzolino, con l’altra blocco le mani di Moreno, con l’altra gli tengo la bocca aperta…» (op. cit., p. 162).
Vivere con un figlio gravemente disabile sconvolge e riempie la vita. Gli spazi di cura si dilatano, quelli per sé si restringono, e anche quando riesci a trovarli – questi ultimi – non li gusti più come prima; è un impegno gravoso, tante ore tutti i giorni, spesso anche la notte, senza sosta e senza feste, per uno, due, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta… anni, con lo Stato assente, con le incognite e le angosce per quel futuro che, se la natura seguirà il suo corso, il proprio figlio dovrà vivere senza le cure del genitore. Vista da fuori sembra insostenibile. Vista da dentro sono proprio la fragilità di quel figlio e la fatica quotidiana di porvi rimedio gli ingredienti che solitamente rendono speciali quei rapporti.
Si può raccontare pubblicamente questa fatica in tutta la sua crudezza? Alcuni non hanno gradito, lo hanno trovato politicamente scorretto. Qualche genitore di un figlio con disabilità gravissima si è sentito in dovere di rendere pubblico di non provare sentimenti negativi nei confronti del proprio figlio disabile. Altri ci hanno voluto vedere una conferma ai propri stereotipi negativi riguardo alla disabilità. Altri ancora si sono mostrati esageratamente entusiasti.
In realtà Verga ha solo voluto raccontare il suo punto di vista e lo ha fatto utilizzando le sue parole, perché quella è la sua esperienza. Alcune cose o si raccontano con sincerità o non si raccontano. Chi ha difficoltà ad accettarlo è libero di leggere altro. Il fatto poi che qualche genitore sia dotato di uno spirito di abnegazione tale da riuscire ad affrontare tutte le fatiche della cura con il sorriso sulle labbra penso si possa considerare un’eccezione, ma sarebbe disonesto non ammettere che nella generalità dei casi vivere in questo modo crea difficoltà. «Sei come un rubinetto che perde: funzioni male e dai fastidio. Ma io non sono un idraulico. Posso soltanto passare lo straccio quando il bagno si allaga» (op. cit., p. 33).
Chi invece in quel testo ha voluto vedere solo la rabbia e la fatica mostra di non avere colto l’altro profondo messaggio che esso esprime. «Non importa se ci sei davvero. Cioè, sia chiaro: quando non ci sei, si sente la differenza. Ma non è questo il punto. Perché una parte di te è sempre presente, in ogni momento, in tutto quello che faccio, che dico e che penso. E un’altra parte (quante parti hai?) è in tutto quello che vedo, che immagino, che sogno» (op. cit., p. 85).
Agli esageratamente entusiasti non so che dire. Confesso che mi spiazzano: è vero, Zigulì fa anche ridere, ma quell’ironia non nasce dalla felicità, è piuttosto una strategia di sopravivenza. «Non ho molta scelta. O mi faccio venire il sangue marcio, oppure provo a riderci sopra» (op. cit., p. 80). Ciò non dovrebbe entusiasmare, dovrebbe far riflettere.
– Caferri Francesca, Umanità, welfare, amore. Tutto in un libro… di Massimiliano Verga, in «Filomena. La rete delle donne», 10 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Fanti Simone, Dire no al libro di Massimiliano Verga: «Zigulì», in «Oggi.it», 4 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Serra Elvira, «Il tuo cervello è una Zigulì». Il libro choc sul figlio disabile, in «Corriere della Sera.it», 4 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Serra Elvira, Mio figlio handicappato senza retorica. La rabbia di un padre è amore?, in «Corriere della Sera.it», 4 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Verga Massimiliano, Zigulì – Presentazione del libro, filmato in «YouTube», 10 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Verga Massimiliano, Zigulì – Il passante, filmato in «YouTube», 10 gennaio 2012 (cliccare qui).
– Verga Massimiliano, Zigulì – L’inter, filmato in «YouTube», 10 gennaio 2012 (cliccare qui).
Segnaliamo inoltre – nel nostro sito – il testo di Giorgio Genta, intitolato Caramelle sprecate, dove si parla anche del libro di Massimiliano Verga (cliccare qui).