Proponiamo oggi una nostra intervista con Francesco Boschetti, trentaquattrenne romano, autore del cortometraggio Il mondo di tutti, incentrato sulla storia di un ragazzo con disabilità fisica e intellettiva, Martin, cui viene impedito di partecipare alla gita scolastica.
Il corto, ultimato nell’aprile del 2011, è stato presentato alla Casa del Cinema a Roma nel successivo mese di luglio e di recente ne abbiamo scritto anche nel nostro sito (se ne legga cliccando qui). In 28 minuti, visionabili anche online, Boschetti mostra il ragazzo in classe, assistito da un’insegnante di sostegno poco simpatetica e per di più gravata da una vicenda personale di malattia della figlia che le impedisce di garantire la sua presenza nell’orario di lavoro. Anche i docenti talvolta si stancano della presenza di Martin, che non sembra ben integrato nemmeno dai compagni. Sentendosi escluso, il ragazzo mette in scena azioni di disturbo, con l’unico scopo di attirare l’attenzione.
A notarlo è Nora, un’amorevole e giovane insegnante di sostegno, che si occupa di una ragazza di un’altra classe, e che, quando viene a conoscenza del fatto che Martin non potrà partecipare alla gita, interviene per fare pressione sulla preside ma anche sui genitori, dal momento che il padre – per eccessivo spirito protettivo – ha accettato di buon grado di non insistere sulla partecipazione di Martin al viaggio di classe.
La scena di chiusura del corto, in cui i compagni si rifiutano di partire se Martin non potrà andare con loro, richiama una situazione drammatica amata da Hollywood e infatti rappresentata in diverse pellicole soprattutto americane, ispirata in particolare al finale del vibrante L’attimo fuggente di Peter Weir, quando gli studenti a uno a uno salgono sul banco per salutare il loro “Capitano”.
Da quanto tempo ti occupi di regia?
«Mi ci sono avvicinato nel 2004, quando ho collaborato come assistente alla regia di Umberto Marino nel film La fiamma sul ghiaccio. Da quel momento ho iniziato a scrivere e dirigere dei miei cortometraggi, tutti prodotti con badget irrisori, tra cui Il silenzio (2004), un film di 44 minuti, Tre spine nell’anima (2010), un corto di 6 minuti sul tema della violenza sulle donne, e soprattutto Il mondo di tutti (2011), la mia prima opera professionale, girata finalmente con una produzione alle spalle e un budget adeguato. Inoltre mi dedico alla scrittura letteraria».
Hai fatto qualche scuola? Come ti sei preparato per questa professione?
«Sono un autodidatta. Le mie conoscenze in ambito letterario e cinematografico derivano da un faticoso e capillare studio, oltre ovviamente che dal lavoro sul campo».
Cosa vuoi fare “da grande”?
«Il mio sogno è diventare un regista e sceneggiatore professionista».
Che tipo di film ti piace girare?
«Il genere che preferisco è senza dubbio la storia di finzione, la narrazione di fatti che costituiscono il frutto della mia fantasia, pur con una buona dose di realismo. È nel mio stile, infatti, cercare una collocazione spazio-temporale ben precisa nelle mie storie, inserendole nella realtà sociale e politica tipica dell’epoca e del contesto che intendo rappresentare: elementi sui quali, prima di scrivere una sola riga, mi documento accuratamente».
Quali sono, secondo te, le tue qualità di artista?
«Ritengo che le mie qualità più spiccate siano la cura dei dettagli, il rifiuto dell’approssimazione e un accurato studio stilistico della messa in scena. Inoltre sono portato al dialogo, per cui mi risulta facile instaurare un buon feeling con gli attori e i componenti della mia troupe».
Ora veniamo a te e alla disabilità. È un argomento che ti tocca da vicino?
«Ci sono entrato in contatto nel 2003, prestando il Servizio Civile presso il Municipio Roma XV. Oltre che degli anziani, mi occupavo giornalmente di prestare assistenza e apporto – nei limiti delle mie competenze e della mia scarsa esperienza – alle persone con disabilità residenti nel territorio della circoscrizione. È stata un’esperienza che mi ha segnato molto, in positivo. Mi ha consentito di aprire gli occhi su una realtà dolorosa e purtroppo invisibile. Giorno dopo giorno, ho iniziato a provare una certa empatia verso coloro che assistevo, mi sono reso conto di quanto sono fortunato io, a godere di buona salute, di una famiglia e del benessere economico. La solidarietà, l’empatia sono stati i valori che mi hanno trascinato durante questa esperienza».
Com’è nata l’idea di realizzare Il mondo di tutti?
«Da uno degli assistenti sociali del Municipio dove ho prestato il Servizio Civile, precisamente il mio “tutor”, che già all’epoca aveva esternato il desiderio di realizzare un prodotto audiovisivo sulla disabilità. Io ho accettato la sua proposta con grande entusiasmo, sebbene non mi fossi mai cimentato nel genere sociale. È stata una scommessa, che credo di aver vinto. Già conoscevo la Cooperativa H Anno Zero. All’epoca, infatti, mi era capitato di assistere o comunque di incontrare anche alcuni dei loro utenti».
Com’è stato scelto l’argomento?
«Mi era stato chiesto di trattare esplicitamente la questione dell’integrazione delle persone con disabilità, con la più ampia libertà in merito alla trama. Poiché l’obiettivo originario era diffondere il cortometraggio nelle scuole, l’idea di assumere la scuola come location principale è venuta piuttosto naturale.
Prima di mettermi al lavoro, come sono solito fare, ho assunto diverse informazioni (soprattutto su internet) riguardo al mondo che intendevo esplorare. Dunque mi hanno subito colpito taluni episodi che avevano visto sfortunati protagonisti dei ragazzi disabili esclusi dalle gite scolastiche per problemi di natura tecnico-logistica, o addirittura solo perché averli con sé implicava per i docenti e i dirigenti un certo fastidio e un sovraccarico di responsabilità. Ho associato il tema al contesto politico determinato dalla Riforma Gelmini, alla carenza di insegnanti di sostegno nelle scuole, e in generale al disagio organizzativo che circonda la gestione della disabilità nelle stesse. Infine, per ricavare qualche spunto interessante, ho scelto di leggere il libro Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, che mi era stato consigliato, direi giustamente (all’Autore, scomparso nel 2003, è stato intitolato un premio letterario). Così, ho iniziato a fantasticare sulla storia di un ragazzo escluso da una visita didattica a causa della sua disabilità. E tuttavia, negli articoli di cronaca che avevo raccolto, era stata sempre la famiglia a combattere contro la discriminazione subita dal proprio caro, opponendosi con vigore alle Istituzioni. Per non cadere dunque in un racconto puramente documentaristico e aumentare la drammaticità, ho deciso di invertire i fattori: la prima forma di pregiudizio, nel mio film, risiede proprio nella famiglia del protagonista, che per troppo amore, per eccessivo spirito di protezione, finisce per acuire le distanze tra lui e la cosiddetta “normalità”. Al riguardo, per creare tensione narrativa, ho deciso di ricorrere a un binomio di personaggi altamente contrastanti: da un lato, un padre autoritario, ultra-possessivo, pessimista e dalle vedute ristrette, che esclude aprioristicamente che il figlio possa prendere parte alla gita scolastica, quali che siano le condizioni; dall’altro, una donna, la moglie, che al contrario vorrebbe assecondare il desiderio del figlio, ma che a causa del suo carattere debole e remissivo non riesce a far valere il proprio punto di vista».
Chi ha seguito la produzione e quanto è durata?
«La produzione del film è stata seguita pressoché interamente da me, da Valentina Bassi, organizzatore generale, e dal mio aiuto regista Tiziano Grasso, in un lasso temporale di circa tre mesi».
Com’è stato assegnato il ruolo del protagonista e come avete lavorato con lui?
«La Cooperativa H Anno Zero non poteva contare, tra i suoi utenti, su un ragazzo simile, per età e tipo di disabilità, al personaggio di Martin. Così, limitatamente al protagonista, siamo stati costretti a rivolgerci ad altre associazioni. Il tempo passava e “Martin non arrivava”. Non nascondo che iniziava ad affiorare un po’ di preoccupazione. Poi il colpo di fortuna: casualmente, un’attrice presentatasi per il provino ci ha segnalato il nome della Cooperativa Ceralaccha. Dopo aver preso contatto, siamo andati quindi a visionare i loro utenti, durante le prove di uno spettacolo teatrale, e subito siamo rimasti colpiti da Antonio Ianiro. Con il consenso dei genitori, la parte è stata assegnata a lui, senza riserve.
Con Antonio abbiamo fatto un buon numero di prove, per un paio di settimane. Mi impressionava come non mostrasse il minimo imbarazzo davanti la telecamera. Determinante, per il risultato finale, è stata la collaborazione di Francesca Rotolo, regista teatrale che collabora con la Ceralaccha. Francesca – che conosceva Antonio da molto tempo e lo aveva già diretto con successo – si è mostrata abile nel consentirgli di memorizzare, scena per scena, le parole e i movimenti indicati nella sceneggiatura. Insieme, durante le prove, abbiamo ritoccato alcune frasi dei dialoghi, quando Antonio, causa le sue difficoltà di linguaggio, non riusciva a scandirle adeguatamente. Tra Antonio e Francesca esiste un feeling particolare, che ha agevolato il mio compito, consentendomi di dedicarmi con altrettanta cura, come un regista deve poter fare, anche agli altri attori. Raramente davo le mie istruzioni di regia direttamente ad Antonio; il più delle volte mi avvalevo della mediazione di Francesca, che di sicuro sapeva meglio di me come comunicare e approcciarsi con lui; e infatti è riuscita a tradurre tutte le mie indicazioni alla perfezione.
Anche gli altri ragazzi disabili – utenti della Cooperativa H Anno Zero – si sono rivelati pronti e bravissimi nei rispettivi ruoli. Soprattutto Manuela Crisafio, che ha interpretato egregiamente il ruolo di Teresa, la ragazza con disabilità assegnata a Nora. Anche per lei e per le altre persone con disabilità vale lo stesso discorso di Antonio: per gestirli e dirigerli è stato necessario un lavoro di squadra, che ha visto protagonisti non solo me, ma anche il personale della Cooperativa H Anno Zero, Tiziano Grasso, Valentina Bassi e altri miei collaboratori».
Chi ha scritto la storia?
«La storia è stata scritta interamente da me. Il film, partendo dalla premessa che la disabilità genera di per sé una spaccatura e una conseguente situazione di disagio per ambo le parti, vuole far passare il messaggio per cui spetterebbe alle Istituzioni scolastiche e politiche, ciascuna nel proprio ambito, il compito di attenuare il divario».
L’insegnante di sostegno giovane e carina che aiuta Martin a superare gli ostacoli narrativi è tratteggiata senza ombre. Il suo è un “personaggio angelico”. Perché questa scelta?
«Il personaggio di Nora è il simbolo di un diverso modo di rapportarsi con la disabilità. In lei risiedono gli ideali, la volontà di intaccare equilibri consolidati, la carica giovanile che si scontra con la demotivazione e la rassegnazione di chi della vita ha visto troppe cose negative e non crede – o non ha più voglia – di poter cambiare il sistema. Nora, a mio giudizio, non è un personaggio angelico, ma semplicemente una giovane insegnante di sostegno alle prime esperienze, che come tale ha tanti valori e ideali da mettere in campo, oltre alla voglia di emergere nella professione che ha scelto. Questa sua ambizione, d’altro canto, è tipica di ogni giovane che inizia ad affacciarsi nel proprio mondo professionale.
In merito alla sua funzione narrativa, Nora è “l’eroe” (o meglio, l’eroina), cioè colei che porta avanti la storia e persegue un risultato concreto, scontrandosi con forze avverse posizionate su più livelli. Ero consapevole che il protagonista, per via della sua disabilità, non potesse assolvere a questa funzione scatenante; per cui ho deciso di affidare le sue sorti a un personaggio volitivo che si prendesse cura di lui. Sarebbe stato bello approfondire il personaggio di Nora, giustificare la sua motivazione personale, ma purtroppo doveva essere un cortometraggio. Anzi, con 28 minuti sono arrivato al limite».
Quanto è costata la produzione del corto? E chi ha sostenuto le spese?
«Approssimativamente 20.000 euro, che sono stati stanziati dal Municipio Roma XV e anticipati dalla Cooperativa H Anno Zero».
Sei soddisfatto del risultato?
«Sono soddisfatto perché è stata un’esperienza che mi ha accresciuto sia professionalmente come autore e regista, che dal punto di vista umano. Inoltre Il mondo di tutti ha ottenuto un ottimo riscontro di pubblico e critica. Tuttavia sono convinto che si può e si deve fare ancora molto. Ad esempio l’opera non usufruisce attualmente di una distribuzione; per cui, al di là del circuito YouTube, del mio sito web e dei festival, non gode di concreta visibilità. A tal fine, mi sto muovendo con alcune distribuzioni romane che si occupano di cinema indipendente. Questa attività non rientra specificamente nelle mie competenze professionali, ma sono ben lieto di svolgerla».
Che riconoscimenti avete ottenuto finora?
«La Maschera d’Argento all’Algidus Film Festival di Lariano (Roma) per la migliore attrice protagonista (Federica Orrù, con il ruolo di Nora); un premio come terzo classificato alla rassegna sociale I sogni son desideri di Roma e uno per il miglior soggetto al Festival internazionale di Resana (Treviso). È attualmente iscritto ad altri festival e continuerò a farlo gareggiare, finché non sarà escluso dai bandi per “anzianità” in ordine alla data di produzione. Il prossimo obiettivo è quello di farlo entrare nel suo habitat naturale, cioè le scuole».
Quali altri tuoi progetti personali sono seguiti a questo cortometraggio?
«L’ultimo mio lavoro è Il grande passo, un mediometraggio che ho realizzato lo scorso agosto in Piemonte nell’ambito di un festival per giovani registi. Ora ho un progetto a dir poco ambizioso: sto per costituire una società di produzione cinematografica con altre quattro persone, attori e tecnici, come me innamorati di cinema. Le premesse sono buone. Per i risultati bisogna aspettare, ma io non ho dubbi…». (Barbara Pianca)