La protesta di quelle donne

In pochi anni un posto abbandonato di Roma è diventato un luogo di incontro e di ascolto, di condivisione e di discussione, ma ora rischia di dover cessare bruscamente la propria esperienza. È la storia della Casa delle Donne Lucha y Siesta, che ospita anche una donna con disabilità visiva, e che sta conducendo la sua protesta, ricordando che «i percorsi che nascono, che valgono e che rispondono alle esigenze del territorio vanno rispettati e difesi»

Volto di donna sconsolata«In quattro anni decine e decine di esperienze di vita hanno attraversato la casa e l’hanno plasmata. Lo sportello settimanale, grazie alla collaborazione con diversi servizi, garantisce alle utenti l’orientamento e le informazioni necessari nei momenti di difficoltà, di debolezza o di violenza, i percorsi formativi e professionali intrapresi dalle donne che ci vivono, la solidarietà dei Cittadini e  le importanti attività, quali la sartoria professionale e il mercato artigianale, dimostrano che siamo ormai parte del quartiere. Dall’azione di un gruppo, è nato infatti un lavoro sinergico fra diversi soggetti che mettendo a frutto le risorse territoriali, hanno trasformato un posto abbandonato in un luogo di incontro e di ascolto, di condivisione e di discussione, riconosciuto a livello cittadino»: si raccontano così le componenti della Casa delle Donne Lucha y Siesta di Roma, che ospita anche una donna con disabilità visiva e che in questo momento sta attraversando un momento di particolare difficoltà, come ci segnala Ada Nardin, già nota ai nostri Lettori per le sue meritorie attività in Africa, volte a “dare autonomia” alle persone con disabilità visiva (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).

La struttura di Via Lucio Sestio, 10 a Roma, dunque, dopo l’occupazione del marzo 2008, rischia seriamente oggi di essere sgomberata, «in nome di una logica – sostengono le persone che ne fanno parte – che ha perso di vista la centralità del bene pubblico come risorsa comunitaria». Infatti, ATAC Patrimonio, società compartecipata comunale, avrebbe deciso di vendere, insieme ad altri immobili, anche lo stabile di Lucha y Siesta, «per far fronte – secondo quest’ultima – alle inefficienze economiche della mala gestione capitolina». E per farlo, si aggiunge, «visto che l’immobile non è inserito in una recente Delibera del 2011, riguardante la generale dismissione del patrimonio di ATAC, si è rispolverata una vecchia Delibera del 2008, prodotta dall’allora commissario straordinario del Comune, il prefetto Morcone».
«Quell’immobile, però – viene sottolineato con forza da parte della Casa delle Donne – è stato valorizzato in questi anni dal lavoro e dall’impegno di tante donne di questa città ed è oggi inaccettabile che l’Amministrazione Pubblica appoggi la svendita del patrimonio pubblico, in nome dell’interesse privato e della rendita speculativa. Riteniamo infatti che i percorsi che nascono, che valgono e che rispondono alle esigenze del territorio debbano essere rispettati e difesi».

Una battaglia, quindi, in difesa dei diritti, che coinvolge, come detto, anche una donna con disabilità visiva e della quale seguiremo senz’altro i vari sviluppi. (S.B.)

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