Mi rendo conto adesso della grande fortuna che ho avuto. Ho stretto la mano, tanti anni fa, a un uomo eccezionale, a un Premio Nobel. Si chiamava Renato Dulbecco.
Eravamo entrambi impegnati, quella sera, per portare il nostro mattoncino di parole alla causa di Telethon, quando ancora la maratona televisiva di raccolta fondi per la ricerca sulle malattie genetiche era nella fase quasi “familiare” dei primi anni.
Nessun imbarazzo da parte mia, ma tanta gratitudine, allora, nei confronti di una persona capace di rappresentare, con il suo bagaglio scientifico, e con una carriera luminosa e universalmente apprezzata, proprio quello che mancava: ossia la certezza della speranza nella ricerca genetica.
Era il 1999, quando Dulbecco decise di donare il cachet della sua partecipazione al Festival di Sanremo (sic!) al “Progetto Carriere” di Telethon, ossia al primo serio tentativo di riportare in Italia e di far lavorare nel nostro Paese ricercatori giovani e promettenti.
Nacque così, per questo incontro magico, l’Istituto Telethon Dulbecco (DTI). Ero proprio in quegli anni il presidente nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e solo ora mi rendo conto di questa straordinaria coincidenza. Se la memoria non mi tradisce, ci incontrammo in occasione dell’edizione 2001 della maratona RAI, assieme a Susanna Agnelli. Ricordo l’entusiasmo, la deferenza, l’ammirazione di tutto lo staff per questa figura che davvero rappresentava il meglio del Paese, in tempi, anche allora, difficili per l’immagine dell’Italia.
Dulbecco si mise a disposizione con semplicità e umiltà, le regole che forse mai come adesso dovrebbero tutti i Grandi del nostro Paese utilizzare per mettersi al servizio di un “new deal”, e soprattutto dei giovani, che hanno un estremo bisogno di esempi forti ma concreti.
Se oggi l’Italia può onestamente considerarsi al passo del mondo nel campo della ricerca sulle malattie genetiche, molto lo dobbiamo a questo piccolo grande uomo. Grazie.
*Direttore responsabile di Superando.it.
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