Riprendendo il nostro titolo, quando passano gli anni e le forze diminuiscono, anche per i genitori dei cosiddetti “disabili gravissimi”, c’è la necessità di dotarsi di adeguati ausili che compensino il declinare delle energie fisiche. Si tratta dunque di una nuova categoria di ausili: quelli per persone senza disabilità (anche se sentono quella dei loro figli come propria).
Quando una quindicina d’anni fa Silvia pesava tanti chili quanti gli anni da allora trascorsi, era uno scherzo (o quasi) alzarla “a mano” sino ad oltre un metro di “altitudine”, per farle fare un lungo scivolo, uno dei tanti diabolici trucchi utilizzati per darle il massimo di opportunità di sviluppare le sue possibilità motorie. E lo si poteva fare anche cinquanta-cento volte al giorno (vi sembra troppo? Avete idea di quante volte un coetaneo faccia lo scivolo dei giardini pubblici in un pomeriggio di sole?).
Oggi, ahimè, il solo sollevare la ragazza (40 chili circa) dal letto per posarla sul tavolo da fisioterapia o per sistemarla sulla carrozzina, impegna al limite le energie fisiche e viene sfiorato il carico di rottura della schiena del vegliardo genitore.
La “munificenza” del Servizio Sanitario Nazionale aveva dotato la famiglia di un sollevatore mobile su ruote, ma il diabolico ausilio necessitava di ampi spazi (inesistenti) per essere manovrato e dopo un paio di infruttuosi tentativi, venne restituito con molti ringraziamenti.
Pur abitando Silvia in una casa a due piani con un eccesso di camere disponibili, la struttura portante dei muri della medesima ha sempre sconsigliato interventi di abbattimento di pareti (alcune spesse 90 centimetri!) – abbattimento non certo impossibile, ma tecnicamente complesso e assai costoso -, per creare spazi più facilmente utilizzabili.
Il problema maggiore è poi rappresentato dal fatto che in camera di Silvia – oltre al letto, al tavolo da fisioterapia e a una ventina di accessori d’uso (bombolone di ossigeno; aspiratore; scorta di vestiario d’uso corrente; pannolini; traverse; materiale da medicazione; elettromedicali vari; farmaci, parafarmaci e cosmetici; attrezzatura da riaminazione; televisore; stereo; visore per foto; un paio di sedie; un vezzoso tavolino d’epoca; duecento libri su tre ripiani ecc.) – non ci sta proprio altro.
Il piano di statica trova degna sede in un altro locale, con amena vista sì su un giardino scarsamente fiorito (manca il tempo… e il pollice verde!), ma anche lontano venti passi dal tavolo da fisioterapia e tale percorso è spaventosamente lungo per un fresco ultrasessantacinquenne, che tenendo in braccio il suddetto “carico”, va incontro sovente a dolorosissimi (per lui, non per “il carico”) urti di gomiti negli stipiti delle porte (ben due) da attraversare.
Per porre dunque rimedio a tale insostenibile situazione, si decide di dotarsi di quanto di meglio la più recente tecnologia offra: un sollevatore “a binario”. Consultate però un paio di ditte, effettuati sopralluoghi, stesi preventivi, ci si deve rassegnare: lo spessore dei muri, le difficoltà di superamento dei vani-porta, la non sufficiente garanzia di resistenza dei soffitti e non ultimo il costo dell’impianto, rendono sì possibile, ma anche sconsigliabile “binarizzare” diversi locali.
Resta l’ipotesi di sistemare nella stanza di Silvia un binario non a soffitto, ma “da muro a muro”, a circa 30 centimetri dal soffitto stesso. Il binario è autoportante e regge ben più del carico richiesto. Da una parte verrà fissato – con idoneo supporto – a un robustissimo muro perimetrale, dall’altra un analogo supporto verrà inglobato nel muro di divisione con il locale attiguo. Nel binario, poi, scorrerà il motore di sollevamento, azionabile con telecomando, dal qual motore scenderà una robusta cinghia con bilancino e imbragatura “reggi-Silvia”.
In tal modo, il notevole vantaggio sarà rappresentato dal fatto che tutto il marchingegno di sollevamento sarà “per aria”, non occuperà superficie di calpestio e quindi non ingombrerà. Il problema dei trasferimenti letto-tavolo da fisioterapia-carrozzina verrà quindi risolto. Resterà a quel punto solo quello del percorso fino al piano di statica: un peccato, però, non riuscire ad ovviare al lungo viaggio “in braccio”.
Ecco quindi – nella tradizionale notte insonne – germogliare l’idea risolutrice (o dannatrice? Lo vedremo presto!): perché non sostituire il lettino da fisioterapia (nato come pregevole tavolo da cucina in rovere massello degli anni Sessanta, più volte rimaneggiato e dotato dei più inutili accessori, oltre all’indispensabile imbottitura), degno ormai di pensionamento, con un ausilio polivalente capace di assolvere anche alla funzione di piano di statica? Purtroppo esistono in commercio letti che si verticalizzano, ma di tavoli da fisioterapia utilizzabili anche come piano di statica sul web non vi è traccia.
Rieccoci quindi all’“autocostruzione”, la terribile malattia che credevamo (visti i risultati non proprio positivi, a detta del resto della famiglia) di aver superato definitivamente.
Un ennesimo vecchio tavolo da cucina (modello in formica e alluminio, anch’esso assai robusto), utilizzato per decenni come ripiano di smistamento di pratiche varie, al centro dello studio/deposito, viene requisito e diventerà la struttura portante del demoniaco aggeggio. Una tavola di compensato (165 x 90 centimetri) da 25 millimetri di spessore, con i bordi arrotondati e debitamente imbottita, verrà poi incernierata sul ripiano esistente, in modo da permettere l’inclinazione richiesta per l’utilizzo come piano di statica. Il movimento di verticalizzazione sarà altresì comandato da due pistoni a gas (utilizzando un pantografo usato come “alzarete” nei letti che hanno un ripostiglio sottostante) o da un motorino elettrico. Le spinte laterali, infine, verranno inglobate in tenacissimi velcri, che avranno anche la funzione di tenere ben salda e allineata Silvia stessa durante la verticalizzazione.
Nell’uso come tavolo da fisioterapia, poi, i velcri verranno pudicamente ascosi in un sottostante ripiano.
Essendo ben conscio di non essere stato affatto chiaro, prometto prossimamente un esaustivo servizio fotografico su quanto descritto, forse a conferma dei superati limiti dell’umana follia.
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