«Le piace di più tirare di scherma in carrozzina che non in piedi», ci dice Ruggero Vio, padre di Beatrice detta “Bebe”. «All’inizio era convinta del contrario e ripeteva: «Carrozzina solo per un po’, dopo voglio tornare a tirare in piedi». Ma da un po’ ha cambiato idea».
Perché?
«Bebe è un’attaccante. Prima dell’amputazione ai quattro arti, avanzava contro l’avversaria sferrando una serie di colpi consecutivi. L’altra il più delle volte si limitava a retrocedere difendendosi finché non trovava, nel mezzo della foga di mia figlia, il momento giusto per contrattaccare inaspettatamente. Così le succedeva di perdere. In carrozzina è diverso, le carrozzine sono ferme e l’avversaria non ha dove scappare. È inchiodata lì e la carica aggressiva di Bebe funziona meglio. Si diverte di più. Vince di più».
Bebe, campionessa mondiale di scherma under 18 nella sezione riservata agli atleti con disabilità, ha 15 anni e in seguito a una malattia improvvisamente sopraggiunta durante le scuole medie, è amputata a tutti e quattro gli arti.
«Ai mondiali ho battuto una londinese focomelica, senza una gamba. Prima dell’incontro è venuta da me, tutta dolce, a dirmi quant’ero carina senza braccia e senza gambe. Poi l’ho battuta e non mi ha parlato più», ci racconta.
Fiera di essere un’atleta con disabilità, le piace incarnare il messaggio che lo sport è di tutti e fa bene a tutti. Un tema che ha particolare risalto proprio in questo periodo, anche grazie alla campagna nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) incentrata sullo sport e contrassegnata dal motto Liberi di essere Campioni (26 marzo-8 aprile 2012) e da una parallela campagna spagnola segnalata sulle pagine della «Gazzetta dello Sport» dal giornalista Claudio Arrigoni. È stato proprio quest’ultimo ad offrirsi come “altoparlante” per Bebe.
Ecco come sono andate le cose. Bebe voleva partecipare alle Paralimpiadi di Londra, quelle che si disputeranno tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. «Ma non ero riuscita a qualificarmi», ci racconta. «Non è che sia vietata la partecipazione per una minorenne, ma l’unico modo di qualificarsi è raggiungere un certo punteggio durante gare a livello mondiale. Io ho vinto ai Mondiali, ma erano quelli under 18, invece per le Paralimpiadi occorre prendere punti nelle gare tra adulti ed è chiaro che per me non è facile battere trentenni, per dire un’età di chi ha molta più esperienza di me. Allora mi sono detta, pazienza, comincio fin d’ora a prepararmi per quelle del 2016 a Rio de Janeiro».
Solo che a Londra ci volevi andare lo stesso.
«Sì, esatto. Un modo volevo trovarlo. Così ho pensato che avrei potuto candidarmi come tedofora, essere una di quelli che trasportano la fiamma olimpica. Ci sono diverse categorie, ma sapevo bene sotto quale volevo iscrivermi: quella dei “Futuri Paralimpici”. C’era un solo posto disponibile a livello internazionale e lo volevo io».
È a questo punto che sono entrati in gioco i media. A livello locale, vivendo Bebe nel Trevigiano, in Veneto, il quotidiano «La Tribuna» ha lanciato un appello ai propri lettori. A livello nazionale Claudio Arrigoni ne ha scritto in un post del blog InVisibili del «Corriere.it» e così facendo ha dimostrato l’assunto del blog stesso, quello di voler rendere visibili coloro che di solito sono invisibili. Bebe, infatti, è stata ascoltata da un migliaio di persone che hanno inviato altrettante e-mail agli organizzatori delle Paralimpiadi i quali, stupiti da tanto calore, hanno ceduto e hanno scelto lei.
Studio Aperto di Italia Uno le ha dedicato un servizio, ma non è la prima volta che le televisioni la “corteggiano”. Diverso tempo fa, ad esempio, era stata ospite di Licia Colò in una puntata di Alle falde del Kilimangiaro. Lì aveva sfidato in diretta la campionessa italiana di fioretto Valentina Vezzali, la quale l’aveva affrontata dicendo: «Mi hai già battuto una volta senza le telecamere, ma questa volta te la faccio vedere io».
«Quando ha vinto di nuovo Bebe», ricorda il padre Ruggero, «la Colò non capiva più niente, era felicissima, si sono anche dimenticati di dare la pubblicità, è stato un momento entusiasmante».
Bebe è anche amica di Oscar Pistorius.
«È anche il testimonial della nostra associazione, quella che mio padre ha fondato per aiutare giovani sportivi come me».
Di che associazione si tratta?
«Si chiama Art4Sport, vuol dire “arte per lo sport”. Quando mi sono ritrovata disabile e ho espresso il desiderio di continuare a fare sport, abbiamo scoperto che le protesi sportive non sono pagate dallo Stato e sono parecchio costose. Le Federazioni sportive riescono a malapena a sostenere i campioni, figurarci se trovano i fondi per aiutare chi è ancora all’inizio, come me. Quindi dovevamo raccogliere soldi e siccome a me piace disegnare e al liceo studio Arti Grafiche e Comunicazione per imparare a fare la grafica delle locandine e cose del genere, abbiamo pensato che attraverso la vendita di alcuni prodotti artistici avremmo potuto raccogliere le cifre che ci servivano. Adesso, ad esempio, insieme a mia mamma e ad alcune sue amiche stiamo facendo un corso di disegno per dipingere sulle borse, visto che una di queste donne ha un marchio di borse ed esporrà anche le nostre nella vetrina del suo negozio».
I fondi vanno solo a te?
«No, affatto. Ormai l’associazione si sta strutturando e aiutiamo giovani atleti amputati e focomelici. Il prossimo 21 aprile abbiamo organizzato un evento a cui tengo molto, si chiama Giochi senza Barriere ed è pensato sulla scia dei famosi Giochi senza Frontiere».
Parlaci delle tue protesi sportive.
«Per tirare di scherma ho una protesi speciale che infilo sul moncone sinistro, perché sono mancina. È fatta apposta per me, visto che non esiste altra persona al mondo che tiri di scherma senza le braccia. Mentre ero in ospedale, non era solo difficile stare lì, la cosa più dura era non potermi allenare più. Continuavo a chiedere a tutti di trovare il modo di farmi tirare di nuovo, ma mi ridevano in faccia, mi dicevano che sarebbe stato impossibile. Ogni giorno lo chiedevo di nuovo a mio padre e lui si è dato da fare. Ha sempre lavorato il legno e ha parecchia manualità. Così, un po’ lui e un po’ il Centro Protesi INAIL hanno messo a punto un ausilio che funziona e con il quale ho ripreso a fare la cosa che mi piace più di tutte. Ma non è l’unica protesi sportiva che ho».
Ne hai un’altra?
«Due, alle gambe».
A cosa ti servono? Non hai detto che preferisci continuare la scherma dalla carrozzina?
«Non è per la scherma. È che a Rio nel 2016 ho intenzione di qualificarmi anche nella corsa. Mi sono fatta fare le stesse protesi di Pistorius e voglio fare i 100 e i 200 metri».
Avanti tutta, allora. Bebe inizia gli allenamenti per prepararsi alle qualificazioni in vista del Brasile. Nel frattempo andrà a Londra e a tutti i convegni a cui verrà invitata per raccontare la sua storia. Risponderà ai giornalisti e continuerà anche la sua vita di adolescente insieme alla migliore amica, Emily. Andrà a scuola, dagli scout, studierà e uscirà con gli amici. Ha solo 15 anni e una grinta rara. Di certo sentiremo ancora parlare di lei.