«Certamente si può definire “di moda” – o per lo meno si auspica che diventi sempre più tale – quell’accessibilità intesa come un piccolo scivolo che rende percorribili alcuni gradini. Molto meno di moda, invece, è il pensare in maniera accessibile e magari agire di conseguenza, dando cioè accesso ai diritti, alle necessità e forse anche ai desideri di tutti…».
È da queste parole di Giorgio Genta, della Federazione italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), che nasce l’idea del Progetto Il cervello accessibile, ideato e gestito dal CRIBA Emilia Romagna (Centro Regionale di Informazione sul Benessere Ambientale), che ha trovato accoglienza ed entusiasmo nella Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia.
Il presupposto dell’iniziativa è stato l’analisi del rapporto tra la comunicazione e la realtà, tra le quali, spesso, si crea una sorta di “isomorfismo strutturale”, nel senso che ad ogni elemento della realtà corrisponde una parola che lo designa.
La realtà si configura come un insieme strutturato di parole e significati. La comunicazione svolge quindi un compito essenziale: denomina le cose e dà loro un significato. Chi stabilisce, pertanto, ciò che è giusto o ingiusto, normale o anormale? Chi determina cos’è la diversità? Le parole e la comunicazione giocano un ruolo chiave non solo nella costruzione della realtà, ma anche nella nostra percezione di essa.
Il focus del progetto è stato quindi quello della comunicazione inclusiva, il filo conduttore quello della disabilità, pur nella consapevolezza che gli elementi di comunicazione inclusiva sono trasferibili a tutti gli ambiti di potenziale esclusione e discriminazione. Uno degli obiettivi principali è stato quello di scardinare gli stereotipi che si celano e si generano dietro a un’immagine standardizzata e spesso troppo eterodiretta della realtà.
Il mondo della disabilità, ad esempio, è letto spesso in termini non rispettosi della dignità dell’individuo. L’imbarazzo e la mancanza di dimestichezza con questa tematica introducono spesso ventagli di espressioni e parole che vanno dal politicamente corretto diversamente abile, a connotazioni negative quali handicappato o menomato, o ritardato se ci si riferisce a disabilità cognitive, espressioni che, lungi dal dare dignità e ristabilire la centralità alla persona, pongono invece l’accento sulla differenza qualitativa nell’uso delle abilità.
Il ruolo che la comunicazione assume nella costruzione – e dunque nella percezione della realtà circostante – è cruciale. È in quest’ottica che la comunicazione diventa indispensabile veicolo per far emergere una visione della disabilità non tragica, ma in grado di mostrare la quotidianità nei suoi aspetti negativi e positivi, riguardanti la vita di tutte le persone, indipendentemente dalla propria condizione di salute.
Ancora troppo spesso, infatti, il tema del pietismo o, all’estremo opposto, quello dell’eroismo della persona con disabilità che supera i limiti umani, caratterizza molti prodotti comunicativi mainstream [letteralmente “mainstream” significa “flusso principale”; qui va inteso come “generalista”, N.d.R.]: assistiamo quotidianamente a campagne di comunicazione istituzionale aberranti. Così come ancora troppo semplificata è la rappresentazione del complesso tema della disabilità.
Questa, infatti, è spesso raffigurata per categorie standard: sedia a ruote, non vedente, down, come se tutte le persone con disabilità avessero gli stessi bisogni, aspirazioni, desideri. Bisogna abbandonare questa prospettiva ristretta e ridare universalità al concetto di disabilità, considerandolo come evento proprio dell’essere umano, al di là del tempo, dello spazio e delle differenze (economiche, culturali, sociali, di genere ecc.) ed è invece necessario porre l’accento su ciò che noi abbiamo in comune in quanto esseri umani, persone e cittadini.
Occorre insomma operare affinché le fonti specializzate e competenti siano correttamente e pienamente utilizzate dall’informazione generalista e di mainstream, per conseguire l’obiettivo fondamentale di una disseminazione ampia nella società civile dei valori fondanti di cittadinanza e di pari dignità di ogni persona, indipendemente dal proprio stato di salute, dal proprio Paese di nascita, dal genere di appartenenza, dall’orientamento sessuale ecc.
Il cervello accessibile vuole dunque essere l’occasione per una riflessione sull’inclusione, che resta uno degli obiettivi della società contemporanea e che troppo spesso rimane confinata a una posticcia “integrazione” degli immigrati, trascurando gli aspetti del vivere quotidiano che riguardano un ampio numero di persone.
Il percorso sulla comunicazione inclusiva ha come obiettivo quello di creare un approccio nuovo, di intervenire sui punti di vista e sulla conoscenza, in modo che le azioni messe in campo non siano più solo un fare per includere, ma derivino da un pensiero inclusivo.
Al giorno d’oggi la comunicazione e lo stile di vita stesso delle persone “normali” sono per loro natura “respingenti” nei confronti delle persone con disabilità, inclusi gli anziani e i bambini con disabilità che si trovano, dunque, a non poter fruire completamente delle realtà in cui vivono. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà nel comprendere i segnali di informazione, o alla completa mancanza di essi (tutti abbiamo provato la sensazione di “esclusione” quando ci siamo recati per la prima volta in un’altra città), alla fruizione di altri servizi come gli uffici pubblici o alle difficoltà dovute a città spesso non progettate e gestite a misura di tutti, che riducono l’autonomia.
Ma oltre a queste cause oggettive di esclusione – o meglio di mancata inclusione – ve ne sono altre di tipo soggettivo: i ritmi di vita frenetici, ad esempio, mal si sposano con i tempi di reazione e di adattamento propri delle persone con disabilità, che tenderanno a ritirarsi e ad isolarsi da un mondo dove “tutti hanno fretta”. Lo stile di vita competitivo della società moderna, l’individualismo, l’eccessiva attenzione all’esteriorità, la tendenza all’omologazione, poi, sono altri esempi di ostacoli all’inclusione perché rendono la generalità delle persone recettori sempre più passivi e soggetti a disattenzione e a vera e propria “cecità intellettiva”.
Il cervello accessibile, quindi, è un atteggiamento e significa, semplicemente, pensare e trasformare il pensiero in azione concreta, guardare, informarsi, allargare la prospettiva, rendendosi predisposti ad accogliere l’eterogeneità della realtà circostante, che è molto più variegata e multiforme di quello che siamo abituati o condizionati a vedere.
Nella pratica, il progetto ha coinvolto trentasette alunni e due insegnanti. Il percorso formativo si è articolato in cinque incontri estremamente eterogenei per contenuti e metodologia. A momenti frontali caratterizzati da stimoli continui e supporti visivi, si sono alternati momenti di laboratori, giochi e simulazione, il tutto arricchito dalla “messa in situazione” dei ragazzi coinvolti, che sono stati calati – senza preavviso o preparazione – in luoghi e ambienti a loro del tutto sconosciuti: case di riposo, doposcuola, centri diurni per persone con disabilità intellettive, squadre di basket su sedia a ruote.
Le impressioni dei ragazzi hanno attraversato stupore, meraviglia, entusiasmo, imbarazzo, riflessione, in un’unica parola… Pensieri!
La ricchezza del progetto e il suo carattere innovativo continueranno a vivere se si riusciranno a coinvolgere altre realtà, innescando così un circolo virtuoso, affinché ciò non rimanga solo una “bella esperienza”, ma diventi un esempio e un modello replicabile.
È stato anche lanciato un bando di concorso che ha chiesto ai ragazzi coinvolti la realizzazione di manifesti che tengano conto delle due facce che la comunicazione inclusiva deve avere: l’accessibilità al messaggio e la rappresentazione della vita e delle persone, tutte le persone!
I vari lavori sono visionabili sul sito dedicato al progetto (cliccare qui) e saranno i protagonisti di una mostra-evento che si terrà a Reggio Emilia, presumibilmente alla fine di giugno.
Concludiamo con il leitmotiv che ha caratterizzato tutto il progetto e che ne racchiude il significato. Immaginare il cambiamento è il passo più difficile: se pensiamo che qualcosa sia impossibile da realizzare, non tentiamo nemmeno di realizzarla. La comunicazione deve farsi carico di questa sfida.
*Responsabile Area Promozione e Sviluppo Progetti del CRIBA Emilia Romagna (Centro Regionale di Informazione sul Benessere Ambientale).
**Responsabile Area Formazione e Consulenza del CRIBA Emilia Romagna.