Al via oggi, mercoledì 11 aprile, la terza edizione del Festival del Cinema Patologico, che si chiuderà domenica 15 aprile con la premiazione del lungometraggio vincitore. Da notare che direttamente correlato con il termine “patologico” non è il contenuto dei film selezionati, come ci si potrebbe aspettare, mentre lo è invece la formazione della giuria, presieduta dall’attore con disabilità Stefano Nicolò Amati e composta da venti ragazzi con disabilità psichica.
La manifestazione – già segnalata dal nostro sito – è indetta dal Teatro Patologico di Roma. La parola “patologico” è l’etichetta con cui un critico definì una delle prime performance del regista e attore Dario D’Ambrosi, che aveva cominciato la sua professione mettendo in scena i contenuti delle cartelle cliniche dei pazienti degli ospedali psichiatrici. Oggi D’Ambrosi è il fondatore del Teatro Patologico. Gli chiediamo di spiegarci meglio di che cosa si tratta.
«Il Teatro Patologico esiste ormai da trent’anni e ora, con il nuovo spazio che abbiamo a Roma, è possibile implementare i suoi contenuti con moltissime attività. Ora infatti abbiamo una vera e propria scuola di teatroterapia rivolta a ragazzi con disabilità psichica o intellettiva, chiamata Magia del Teatro – una realtà appena nata e già in crescita, visto che quest’anno abbiamo una sessantina di iscritti e ne aspettiamo un centinaio per l’anno prossimo -, e possiamo inoltre organizzare eventi come questo Festival del Cinema».
Siete contenti del vostro nuovo spazio!
«Sì, perché è bello e molto grande. C’è una saletta prove, c’è anche la cucina, una sala per rilassarsi. I ragazzi trovano momenti di aggregazione anche al di fuori dei momenti di lezione di teatroterapia. E nascono, fioriscono iniziative anche informali».
Da dove arrivano i ragazzi?
«Da tutta Roma. Le famiglie li iscrivono di libera iniziativa, dopo avere ricevuto segnalazione dell’esistenza della nostra realtà dalle loro ASL di riferimento. Lavoriamo inoltre anche con degli istituti».
Perché la sua professione di attore e regista è incentrata sulla disabilità psichica?
«Per un attore c’è tantissimo da raccontare. I silenzi, le solitudini, le gioie, le schizofrenie sono ricchi di espressività in modo naturale. Io sono ventiquattro anni che lavoro con persone con questo tipo di disabilità e trovo alla base una sincerità, un’onestà, una voglia di mettersi in gioco con le proprie patologie che mi motiva a lavorare con loro».
Perché quest’anno il Festival del Cinema non ha contenuti selezionati sul tema a voi caro?
«Non è vero, abbiamo sempre chiesto di restare sul tema, solo che ci siamo allargati al disagio sociale, comprendendo anche storie di migrazione, ad esempio. Della selezione non mi sono occupato io, ma la giuria, che ha individuato dodici cortometraggi e quattro lunghi. So che si è cercato di privilegiare il cinema italiano, visto che gli anni scorsi hanno sempre vinto pellicole straniere».
Durante la kermesse verrà proiettato anche il documentario Attraverso lo specchio di Giovanni Sansone, direttore responsabile del Contact Center Integrato SuperAbile INAIL. Gli chiediamo di spiegarci in che rapporti è SuperAbile con il Teatro Patologico. «SuperAbile è una realtà in crescita. Siamo un portale da dodici anni e a breve ci aspettano l’avventura di una televisione. Ci stiamo espandendo anche tramite i social network e vogliamo poi diventare un’esperienza più itinerante, cercando delle collaborazioni. Con D’Ambrosi la collaborazione esiste già da un po’. Nel nostro portale avevamo avviato uno stage videofotografico con dei ragazzi bielorussi e su questo progetto collaborammo. C’è una stima reciproca e un riconoscere reciprocamente i rispettivi percorsi. Dal nostro portale seguiremo l’evento del Festival giorno per giorno e nella sua apertura porteremo anche il nostro documentario realizzato dalla Cooperativa Matrioska, che è il riferimento per le elaborazioni video di SuperAbile».
Di che cosa si tratta?
«Raccontiamo la storia di giovani bielorussi con un passato in un orfanotrofio speciale, alla ricerca di una concreta integrazione sociale e culturale in Italia, attraverso la scelta di lavorare in una cooperativa sociale».
Perché sostenete così da vicino l’iniziativa di D’Ambrosi? Quali vi sembrano i suoi punti di forza?
«Apprezziamo il suo essere una realtà in continua evoluzione. È un laboratorio di ricerca che non si ferma. La nuova sede, ora, permette concretamente l’esplorazione di molte più possibilità e può anche contenere questo Festival. L’interesse di quest’anno, secondo me, è l’apertura a temi sociali non necessariamente legati alla patologia. È un’apertura verso l’esterno attraverso una proposta innovativa. Ora è un vero e proprio festival indipendente e internazionale che di particolare ha solo – ma è proprio questo il dettaglio di inclusione – la giuria».
Qual è la situazione delle persone con disabilità psichica in Italia oggi?
«Di solito SuperAbile lamenta la separazione tra l’ambito sociale e quello culturale. Non sono frequenti i casi di operatori che siano sociali e culturali insieme. Ma dal punto di vista dell’inclusione è importante mettere le due cose insieme. Per questo la proposta di D’Ambrosi ci piace tanto. I ragazzi hanno un’occasione per venire inclusi sul piano culturale e dire la loro offrendo il loro sguardo specifico. Gli operatori “si acculturano”, cioè aprono la loro mente».
Qual è il risultato di un processo come questo?
«Che prevalgono i percorsi espressivi e non c’entra più se sei disabile o meno. Si discute di cultura, tutti insieme».