Si è svolto il 19 e 20 aprile a Vienna il quinto Meeting Annuale dell’FRP (Fundamental Rights Platform), la Piattaforma dei Diritti Fondamentali dell’Agenzia dell’Unione Europea impegnata in questo ambito, che ha avuto come obiettivo l’incontro della rete di associazioni e organismi non governativi della società civile con i rappresentanti delle Istituzioni Europee per i Diritti Umani e degli Organismi di Parità.
Tra i vari temi affrontati, è stato evidenziato come – in questo momento di crisi economica internazionale – i diritti subiscano gravi attacchi per la riduzione di risorse alle politiche di welfare, ingenerando il pericolo di un aumento delle discriminazioni nei confronti delle persone più vulnerabili, con una vera e propria perdita dei loro diritti di cittadinanza. Queste violazioni spesso non vengono denunciate e rappresentano quindi un ulteriore affievolimento dei diritti, laddove appunto non venga formulata una domanda di giustizia. Diventa quindi particolarmente importante rafforzare il ruolo delle organizzazioni non governative, che maggiormente dovranno costituire il ponte tra le vittime e le Istituzioni, favorendo azioni di giustizia.
Numerosi focus-group e workshop hanno affrontato altrettante questioni relative ai diritti umani e alle strategie per renderli effettivamente esigibili. Nella sessione riguardante la discriminazione multipla, si è sottolineata ad esempio l’importanza di un approccio mainstreaming [inserendo cioè le varie questioni “di settore” all’interno del “flusso principale” delle politiche e delle prassi, N.d.R.], nell’avviare azioni di denuncia di violazione dei diritti umani sulla base di varie discriminazioni. In tal senso, la testimonianza di Virginia Wangare Greiner, rappresentante delle Donne Africane in Germania, è stato un esempio di multidiscriminazione intersezionale, basata su etnia, genere e povertà.
A Vienna era presente anche chi scrive – presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e componente della Segreteria di DPI Italia (Disabled Peoples’ International) -, come rappresentante della Commissione Donne dell’EDF (European Disability Forum), con un contributo sulla doppia discriminazione subita dalle donne con disabilità, del quale si riportano qui di seguito i contenuti essenziali. (Silvia Cutrera)
Ad oggi sono venti i Paesi dell’Unione Europea che hanno ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità la quale, in essi, ha assunto quindi il rango di legge nazionale [si tratta di Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Non hanno invece ancora ratificato Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Malta, Olanda e Polonia. L’elenco completo è disponibile nel portale dell’ONU, cliccando qui, N.d.R.]. Anche l’Unione Europea ha approvato la Convenzione, che si pone quindi come il primo trattato internazionale sui diritti umani da essa ratificato.
La Convenzione stessa riserva all’articolo 6 (Donne con disabilità) una particolare attenzione alle donne con disabilità, riconoscendole come persone esposte a rischio di violenza, maltrattamenti e abusi e raccomandando agli Stati di adottare misure amministrative e legislative per identificare e denunciare gli atti di violenza (articolo 16), con la garanzia dell’accesso a servizi di protezione sociale (articolo 28).
Le donne con disabilità sono discriminate sia in quanto donne, sia in quanto persone con disabilità e lo sono maggiormente se appartengono a minoranze etniche, linguistiche o religiose. La violenza nei loro confronti attinge da un pregiudizio di genere e cioè dalla mancanza di parità di uguaglianza tra uomo e donna, cui si aggiunge la considerazione stereotipata relativa al corpo della donna disabile, percepito in genere come “asessuato”, “anormale” o “malato”. Ne consegue la negazione di titolarità di diritti, sia come donne, sia come madri che amiche o professioniste.
Questa doppia discriminazione è causa di varie forme di violenza – alcune esplicite, altre subdole – difficili da identificare e combattere, perché spesso si verificano in ambienti familiari o di cura e si manifestano con modalità non rientranti nella generale e consueta categoria di violenza.
Ad esempio, il diritto alla salute per le donne con disabilità è condizionato dall’accessibilità dei servizi sanitari e la discriminazione si può manifestare – per citare un caso – quando, richiedendo prestazioni come la mammografia e il pap test, si trovano strumenti diagnostici non adatti per chi ha problemi di mobilità o di equilibrio, cosicché la difficoltà nel mantenere la posizione adatta o lo spostamento sul lettino ginecologico – uniti alla scarsa professionalità del personale sanitario – spesso rendono questi screening umilianti e imprecisi, con l’unico effetto di diventare un deterrente alla prevenzione e alla cura.
Da una ricerca dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani, emergono altri aspetti allarmanti relativi alla violenza nei confronti delle donne e ragazze con disabilità. In Europa un milione e 200.000 persone con disabilità vivono permanentemente in Istituti (150.000 bambini/e), senza il diritto di una partecipazione alla vita ordinaria, come invece accade agli altri Cittadini europei. Secondo poi un rapporto del Parlamento Europeo, circa l’80% delle donne istituzionalizzate sono esposte al rischio di violenza, spesso compiuta proprio dalle che dovrebbero prendersi cura di loro. E ancora, in Germania uno studio commissionato dal Ministero per la Famiglia rivela che migliaia di donne istituzionalizzate – con disabilità intellettiva – hanno subito abusi sessuali (Fonte: «Der Spiegel online», 14 febbraio 2012).
C’è poi un altro tipo violenza, quella cioè che si rivela nella negligenza assistenziale, nel trascurare i tempi dei bisogni primari individuali – come lavarsi, vestirsi o mangiare – nel controllare e limitare la comunicazione con l’esterno, senza ascoltare le richieste personali e restringendo, inoltre, le possibilità di incontro con familiari e amici.
In tali ambiti può anche accadere che donne anziane e/o con disabilità psicosociali vengano sottoposte – senza il loro consenso – a trattamenti inaccettabili come l’elettroshock e purtroppo, in alcuni Paesi, sopravvivono pratiche di sterilizzazioni forzate, nonostante la Convenzione ONU ribadisca il diritto per la persona con disabilità di decidere su tutti gli aspetti della propria vita, compresi i trattamenti sanitari (articolo 12).
Denunciare questi abusi non è facile. Le donne con disabilità sono totalmente dipendenti da chi ha perpetrato la violenza e il timore di perdere il sostegno di cui hanno bisogno ostacola il ricorso alla giustizia.
L’accesso alla giustizia non è comunque agevole, sia per una scarsa consapevolezza dei propri diritti, sia per la mancata conoscenza dei mezzi per ottenerla e laddove viene riconosciuta la capacità giuridica per avviare il procedimento, spesso si mette in dubbio la credibilità e l’attendibilità della testimonianza, come è accaduto pochi giorni fa a Soweto, in Sudafrica, ove una ragazza con disabilità di 17 anni è stata rapita, sequestrata e violentata per giorni da un gruppo di sette ragazzi tra i 14 e i 20 anni, che hanno filmato e poi divulgato sul web le loro violenze. La vittima aveva già subito violenze dall’età di 12 anni, ma nonostante la madre lo avesse denunciato, la ragazza non era stata creduta, a causa della sua disabilità intellettiva e delle condizioni di povertà della famiglia (Fonte: «CNN». 19 aprile 2012).
Cruciale, pertanto, è dare visibilità alle multidiscriminazioni subite dalle donne con disabilità, favorendo una maggiore rappresentatività dei loro diritti sia a livello politico-istituzionale che all’interno delle associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani.
Ed è anche auspicabile una stretta cooperazione tra le organizzazioni delle persone con disabilità e il movimento delle donne, per richiedere agli organismi legislativi e amministrativi competenti le azioni necessarie attinenti il genere e la disabilità, garantendo l’accesso all’istruzione, alla formazione, al lavoro, alla salute e al diritto di decidere su sessualità, gravidanza e adozione.
*Presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e componente della Segreteria di DPi Italia (Disabled peoples’ International), intervenuta al Meeting di Vienna come rappresentante della Commissione Donne dell’EDF (European Disability Forum).