Vengo anch’io. No, tu no. Alla Festa dei Lavoratori, fra pochi giorni, potrà partecipare soltanto una persona disabile su cinque. E forse il dato è per eccesso. Il tasso di disoccupazione di questi Cittadini, infatti, supera l’80 per cento, e sono cifre vecchie (le si veda nel sito Disabilità in Cifre.it, cliccando qui), di prima della crisi. Alle liste del collocamento mirato risultavano nel 2007 quasi 800.000 potenziali lavoratori con disabilità.
Penso al noto quadro di Pellizza da Volpedo, il Quarto Stato, che risale al 1901: è ancora il simbolo più potente ed emozionante del movimento dei lavoratori italiani. Mi accorgo che vi sono uomini, donne e bambini, ma che logicamente neppure qui compare una persona con disabilità. Ai primi del Novecento tutto ciò era comprensibile, naturale. Ma è duro dover constatare che a distanza di oltre un secolo, nelle parole d’ordine sindacali, nel dibattito delle categorie produttive, nell’agenda politica dei partiti, nel calendario del Governo, questo aspetto, che potrebbe essere fortemente innovativo ed equo, è praticamente assente.
Faccio due conti, molto banali. Se ogni anno, nei prossimi tre anni, venisse offerta una reale possibilità di inserimento lavorativo a 50.000 persone con disabilità fisica, sensoriale o intellettiva [si legga a questo proposito sempre Bomprezzi, in questo stesso sito, cliccando qui, N.d.R.], potremmo contemporaneamente assicurare alle casse dello Stato un risparmio secco di altrettante pensioni di invalidità. E inseriremmo nel mercato globale un piccolo esercito di nuovi consumatori, affrancati dall’assistenzialismo, liberi dal bisogno.
E alla fine rimarrebbe ancora una folla smisurata di persone in attesa. Molte di loro, ormai, hanno rinunciato, non ci credono neanche più. Dopo aver completato l’iter previsto dalla Legge 68 del ’99, si iscrivono alle liste degli Uffici Provinciali (sarebbe una delle poche competenze importanti delle Province, ma ovviamente funziona poco e “a macchia di leopardo”), e poi non succede niente, per anni. Neppure un colloquio, nemmeno una parvenza di opportunità. Anche per persone che hanno un titolo di studio, un percorso di formazione, delle capacità “residue” (che brutto termine…) importanti.
Strana sensazione, poi, quando si va per caso a spulciare la lista delle ricerche di lavoro, magari le segnalazioni delle agenzie interinali, e si vede che vengono espressamente richiesti, per mansioni del tutto impensabili, solo “lavoratori inseriti nelle liste della legge ’68”. Ai quali si chiede ottimo standing, esperienza pluriennale, conoscenza fluente di due lingue, automuniti, e via elencando, come se niente fosse. Ma dove sta il trucco? Sta nelle sanzioni – come si può leggere cliccando qui -, neppure lievi, per chi non assume: 62 euro e rotti, al giorno, di multa. Ma le aziende preferiscono pagare piuttosto che assumere. Perché? Hanno paura, non conoscono questo mondo, non si fidano. Cresce il monte di denaro accumulato con le multe, ma neppure in questo modo si modifica la situazione. Molti grandi nomi dell’industria si fanno belli con progetti di responsabilità sociale, e citano i loro splendidi casi di inserimento riuscito. Ma se si va a ben guardare, si tratta sempre di poche unità lavorative, e magari per pochi anni.
Adesso la riforma del mercato del lavoro proposta dal Governo dedica effettivamente poche frasi anche al lavoro per le persone con disabilità. Infatti, alla pagina 70 (su 84) del Disegno di Legge, si trovano, al titolo V, tre frasi, altrettante enunciazioni di principio, di buona volontà, per contrastare il fenomeno dell’elusione dell’obbligo di legge e per allargare la platea potenziale dei possibili beneficiari. Troppo poco, davvero. Un’occasione persa, se non cambierà il testo [di tale questione si legga anche nel nostro sito, cliccando qui e qui, N.d.R.].
Sarebbe bello, infatti, approfittare proprio di un ripensamento complessivo del mercato del lavoro, per mettere mano a meccanismi diversi di incentivazione fiscale e previdenziale, di promozione del lavoro corretto delle cooperative sociali, di maggiore possibilità di scelta e di incrocio competente fra domanda e offerta.
Ho l’impressione invece che ci sia tanta rassegnazione, e che si consideri, complessivamente, il lavoro delle persone con disabilità come un “impaccio”, un “peso”, un “vincolo negativo” per le aziende e non, come potrebbe essere, una grande risorsa umana, professionale, persino morale, per tutti.
Questo, dunque, vuol essere anche un appello ai Lettori con disabilità a raccontare le proprie storie di lavoro, le vittorie e le sconfitte. Credo infatti che anche noi dobbiamo partecipare alla Festa del Lavoro, perché il lavoro, per una persona disabile, è sempre una festa, non solo il 1° Maggio.
*Direttore responsabile di Superando.it. Il presente articolo è apparso (con il titolo Lavoro, è qui la festa?) anche in InVisibili, blog del «Corriere della Sera» (di quest’ultimo si legga anche nel nostro sito cliccando qui). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione di tale testata.