Fiorisce il prato dei diritti umani, al di là del “muro medico”

di Giovanni Padovani*
Una recente Sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, contro il Governo bulgaro, rappresenta una vittoria nella continua battaglia dei difensori dei diritti umani e del movimento europeo delle persone con disabilità e dei loro familiari, perché abbia fine la disumana pratica di istituzionalizzazione delle persone con disabilità ovunque in Europa

I diritti umani delle persone con disabilità devono essere universalmente riconosciuti e protetti in nome dell’autodeterminazione, della dignità e del libero esercizio delle capacità di ogni singola persona.
Assistendo a quotidiane violazioni di questo assunto fondamentale sul territorio europeo, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (d’ora in poi semplicemente la Corte) interviene per confermare e garantire il rispetto di quei diritti nelle pratiche degli Stati ad essa aderenti.
Giovane con disabilità intellettiva insieme a un amicoPer quanto riguarda in particolare le persone con disabilità intellettiva, esse continuano ad essere sottoposte a trattamenti degradanti e non pochi sono i Paesi europei che ancora mantengono percorsi di istituzionalizzazione, con conseguente e progressivo isolamento e annientamento della persona umana, piuttosto che intraprendere la strada maestra dell’inclusione nel segno del rispetto del paradigma sociale della disabilità.
Una recente pronuncia in tal senso riguarda il caso di un Cittadino bulgaro, il signor M.K. Stanev, che nel 2006 adì la Corte di Strasburgo in merito a una presunta violazione degli articoli 3, 5, 6, 8 e 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali** (d’ora in poi semplicemente la Convenzione), bussola giuridica che ne guida le sentenze e ne disciplina il ricorso.

Il caso
Nel caso in esame (la Sentenza relativa è disponibile nel sito della Corte – in inglese o in francese, cliccando qui), il reclamante denuncia il proprio confinamento in una struttura pubblica di assistenza sociale (Social Care Home, nostra libera traduzione) per persone con disabilità mentale e l’impossibilità di ottenere il permesso a lasciare tale struttura (articolo 5, commi 1, 4 e 5 della Convenzione).
Oggetto di questa prima istanza di Stanev sono dunque il diritto alla libertà, il diritto a procedere contro provvedimenti di detenzione e il diritto alla compensazione del danno subìto. Inoltre, vengono imputati al Governo bulgaro l’inosservanza degli articoli 3 e 6 della Convenzione, rispettivamente sul divieto di tortura e sul diritto a un giusto processo. Nel merito, il reclamante richiama le pessime condizioni di vita vigenti nella struttura e la negazione del diritto all’appello nei confronti della decisione di confinamento nella menzionata struttura. Infine, si accusa anche la violazione dell’articolo 8 sul rispetto della vita privata e familiare.
Gli articoli vengono considerati separatamente e in congiunzione con l’articolo 13 della Convenzione (diritto al risarcimento del danno subito).

Il procedimento
Vediamo ora nel dettaglio i fatti salienti di questo procedimento. Stanev è un cittadino bulgaro cinquantenne diagnosticato con schizofrenia dal 1975, persona con disabilità certificata al 90%, ma senza necessità di assistenza. Su richiesta dei parenti, viene successivamente giudicato parzialmente incapace nel 2001 e di conseguenza – persa la capacità giuridica – affidato a un tutore nominato dal Consiglio Municipale di Ruse (Bulgaria), sua città natale, in assenza di disponibilità di parenti.
Nel 2002, su richiesta del tutore, Stanev viene affidato al Centro di Assistenza Sociale per Adulti con Disordini Mentali “Pastra” (Adults with Mental Disorders, nostra libera traduzione), senza esserne informato preliminarmente e senza aver manifestato consenso al riguardo.
La permanenza in tale Centro è caratterizzata da pessime condizioni igienico-sanitarie, spazi angusti nella condivisione degli alloggi, scadente qualità del cibo, somministrazione di farmaci antipsicotici e limitazione della libertà di movimento.
Secondo le regole del “Pastra “, Stanev viene annualmente sottoposto a valutazione delle capacità sociali in vista di un suo possibile reinserimento nella società. Da un rapporto dello psichiatra istituzionale, egli viene dichiarato «inabile a reintegrarsi», poiché «solitario, non comunicativo, restio ad accettare i farmaci prescrittigli e privo di relazioni familiari all’esterno della struttura».
Esito opposto, invece, ha invece una perizia ordinata dall’avvocato del reclamante, redatta da uno psichiatra e da uno psicologo, per la quale egli è idoneo a essere reintegrato nella società, confutando da un lato la prima perizia e aggiungendo che la permanenza in tale struttura avrebbe accresciuto i rischi di acquisizione di «sindrome da istituzionalizzazione».
La sola tendenza psichicamente pericolosa di Stanev è quella all’abuso di alcool, comportamento che si manifesta con tratti peculiari simili alla schizofrenia. Tale conclusione smonta la teoria delle perizie psichiatriche istituzionali, evidenziando una certa superficialità nella gestione del caso in esame da parte delle autorità bulgare.
Infine, le circostanze fattuali esposte nella Sentenza riportano anche un rifiuto – in seguito a domanda presentata dal legale di Stanev – a concedere la cessazione del regime di tutorato e il conseguente ripristino della capacità giuridica.

Un giudizio sui fatti
Ancor prima di parlare della decisione della Corte e delle relative motivazioni, appare palese l’unilateralità delle decisioni riguardanti Stanev, che ne hanno pregiudicato un’effettiva fruizione dei diritti soggettivi a lui riconosciuti dalla Convenzione, nonché dalla legislazione internazionale e comparata, una volta esaurite le vie di ricorso domestiche.
In particolare, la condotta delle autorità bulgare disattende gli articoli 12 (Uguale riconiscimento dinanzi alla legge) e 14 (Libertà e sicurezza della persona) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, firmata dalla Bulgaria nel 2007 e ratificata il 22 marzo scorso, solo successivamente alla Sentenza di cui si parla; e poi la Raccomandazione R(99)4 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sui princìpi governanti la protezione legale di “adulti incapaci” (Incapable Adults, nostra libera traduzione); e ancora, il Rapporto sulla visita in Bulgaria del Comitato ONU sulla Prevenzione della Tortura.

La Sentenza
In seguito a un’analisi delle memorie scritte del reclamante e del Governo bulgaro, oltre che dei commenti dell’Organizzazione Non Governativa Interights, ammessa a intervenire nella procedura scritta, e dell’udienza del 9 febbraio 2011, la Corte di Strasburgo – in seduta di Camera Grande – ha deciso per la violazione, da parte del Governo bulgaro, di tutti gli articoli della Convenzione richiamati da Stanev in sede di denuncia.
Tale Sentenza rappresenta pertanto una vittoria nella continua battaglia dei difensori dei diritti umani e del movimento europeo delle persone con disabilità e dei loro familiari, perché abbia fine la disumana pratica di istituzionalizzazione delle persone con disabilità ovunque in Europa. In particolare, il caso in esame fa da precedente per le migliaia di situazioni simili che vengono tuttora affrontate dalle persone con disabilità e dai loro familiari.
Anche in presenza di una limitazione della capacità giuridica, l’opinione, il consenso libero e informato e la volontà del diretto interessato devono trovare massima tutela ed essere rispettati e ascoltati in ogni decisione che lo riguarda. Infatti, come richiamato dalle motivazioni della Corte, la mancanza di consenso a una misura detentiva costituisce di per sé una violazione del diritto alla libertà.
Cade dunque un’altra pietra nel vetusto muro del “modello medico”. Gli squarci sono sempre più visibili e importanti e al di là fiorisce rigoglioso il prato dei diritti umani, della partecipazione e dell’inclusione.
Il protagonismo della classe medica, la ricerca della guarigione, il problema nelle persone e non nella società rimangono bastioni ancora difficili da conquistare, ma essi sono inevitabilmente destinati a lasciare il campo al modello sociale della disabilità, anche in virtù di una necessaria coesione sociale, oltre che economica, di questa nostra Europa in crisi.

Membro del Comitato Giovani dell’EDF (European Disability Forum). Il presente testo è già apparso nel n. 15/12 della rivista «HandyLexPress», con il titolo “La Corte europea contro la segregazione”. Viene qui ripreso – con alcuni lievi riadattamenti al contesto – per gentile concessione.

**Firmata a Roma il 4 novembre 1950, la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali venne ratificata dall’Italia con la Legge n. 848 del 4 agosto 1955.
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