Qualche giorno fa ci siamo ampiamente occupati di alcuni recenti Decreti Ministeriali sulla formazione iniziale dei docenti e su quella per la specializzazione al sostegno, proponendo – con l’analisi di Salvatore Nocera, vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – la “voce delle associazioni di persone con disabilità” .
Oggi, invece, su quei medesimi temi – e in particolare sul Decreto del Direttore Generale del Ministero n. 7/12, concernente la riconversione professionale di docenti soprannumerari che scelgano di dedicarsi all’attività di sostegno – diamo spazio a un insegnante di sostegno decisamente “innamorato del suo lavoro”, come ha anche raccontato in un libro di recente uscita (Il sostegno è un caos calmo. E io non cambio mestiere, Erickson, 2012).
Si tratta di Carlo Scataglini, insegnante specializzato all’Aquila, formatore sulle metodologie di recupero e sostegno e docente a contratto di Didattica della Matematica per l’Integrazione alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università dell’Aquila, che sempre per Erickson ha già pubblicato numerosi testi per il recupero e il sostegno.
Qui si rivolge direttamente al direttore generale del Ministero Luciano Chiappetta, esprimendo il proprio punto di vista con passione e professionalità.
Gentilissimo Direttore Generale, le scrivo in merito al Decreto Direttoriale n. 7, quello del 16 aprile, che porta la sua firma. Niente di personale, è solo che il clamore suscitato dalla decisione di riconvertire e utilizzare su posti di sostegno i docenti in esubero non mi ha lasciato di certo indifferente.
Da oltre vent’anni faccio l’insegnante di sostegno nella scuola media. A partire da un corso polivalente che ho frequentato all’Aquila nel biennio 1988-90. Con lezioni in presenza, tutti i pomeriggi e con l’obbligo di frequenza, di ritorno da Roma dove facevo il supplente annuale di educazione fisica. Con laboratori e tirocinio diretto, con esami veri, con tesine di tirocinio indiretto e tesi finale sperimentale. Con docenti di corso preparati e competenti e colleghi appassionati che, come me, a distanza di tanti anni, fanno ancora gli insegnanti di sostegno.
Fui fortunato, allora, per due ragioni. Perché dopo il corso di specializzazione entrai subito in ruolo e perché quel corso risultò realmente efficace, almeno come formazione iniziale.
Sì, perché di formazione iniziale si tratta, solo di quella. Il resto è tutto da costruire, dopo. Ogni anno scolastico è diverso, ogni scuola è diversa, ogni classe è diversa, ogni alunno è profondamente diverso. Non è sufficiente avere l’opportunità di lavorare in una classe in cui c’è un ragazzino Down per sentirsi a posto e pensare di avere imparato tutto sulla sindrome di Down. L’anno dopo, magari, si possono scoprire cose completamente diverse in una situazione che può apparire simile.
Ecco perché la formazione iniziale è solo un punto di partenza. Il resto, tutto il resto, si costruisce giorno per giorno, con fatica, studio, passione, entusiasmo.
Questa è la ragione per la quale le scrivo, signor Direttore Generale. Non intendo discutere la serietà dei corsi di riconversione che, con il Decreto da lei firmato, prepareranno dei docenti soprannumerari a svolgere il mestiere di insegnante di sostegno. Non intendo entrare nel merito del numero di ore, di crediti, di laboratori, di tirocini diretti o indiretti. Non intendo nemmeno – e qui in verità faccio un po’ più di fatica ad astenermi – commentare la decisione di far partire “l’operazione” con la massima urgenza e prevedere l’utilizzazione dei soprannumerari “riconvertiti” già dal primo settembre prossimo, dopo lo svolgimento di uno solo dei tre moduli previsti.
L’unica cosa che mi preme dirle (mi scuserà se mi ripeto!) è che il mestiere di insegnante di sostegno si costruisce giorno per giorno e solo con una forte motivazione. La motivazione di chi ci crede veramente. Di chi, magari, da anni prende una nomina annuale e fa l’abbonamento del treno o prende una casa in affitto per andare a “insegnare sostegno” lontano da casa. Di chi, comunque, fa questo lavoro per scelta e con una forte motivazione. Non di chi, in qualche modo, è costretto a farlo, per non perdere il proprio posto di lavoro.
Sa, signor Direttore, ho sempre iniziato i miei corsi incollando un grande cartellone bianco su una parete dell’aula e invitando i corsisti a scrivere liberamente i motivi per cui intendevano iniziare un’avventura così difficile e interessante. Perché volevano misurarsi con un lavoro così duro e affascinante. Quali fossero le loro motivazioni. Quali le loro aspettative. Stavolta, nei corsi di riconversione per docenti soprannumerari, lo dico in tutta sincerità, mi sentirei in imbarazzo a chiederlo.
Per questo, anche se so già che ho poche speranze, la invito a ripensarci. A fermare “l’operazione”, a sospenderla, a rinviarla, a studiarla meglio.
Il sostegno è un “caos calmo”, sicuramente, ma è una cosa seria: è un principio fondamentale che rende migliore la scuola. Fare sostegno vuol dire andare avanti tutti insieme verso una meta comune. È un po’ quello che succede nel rugby. Da ex giocatore di rugby, uso spesso questa metafora e chi conosce bene questo sport sa che il “fare sostegno” ne è il principio base. E sa che è solo una forte motivazione a spingere ciascuno a dare il massimo per arrivare alla meta insieme agli altri.
La motivazione, purtroppo, non si può dare per decreto, né attraverso un corso più o meno efficace. La motivazione deriva solo da una scelta. Una scelta personale, convinta e soprattutto libera. La scelta di fare sostegno, nella scuola pubblica, cercando di lavorare bene in vista dell’integrazione di tutti gli alunni e della crescita di tutto il sistema scolastico.
Questo, in realtà, è il lavoro dell’insegnante di sostegno. Quello che viene fuori dal Decreto n. 7 è qualcosa di profondamente diverso e decisamente preoccupante.