Oggi è tutt’altra la realtà delle persone sorde

di Paolo De Luca*
Sono sicuramente degne di nota le prese di posizione di questi giorni, successive alla trasmissione "Quello che (non) ho", condotta nei giorni scorsi su La7 da Fabio Fazio e Roberto Saviano, riguardanti in particolare il modo in cui è stato presentato il balletto del Gruppo "The Silent Beat", nella puntata del 16 maggio («Chi non può usare le parole perché non le può sentire, comunica attraverso un altro linguaggio, quello dei segni, così il corpo si trasforma in parola e finalmente danza», questa la formula usata). Trattandosi poi di messaggi rivolti a chi sta tentando di realizzare una forma di televisione di una certa qualità, siamo anche certi che lettere come quella di Paolo De Luca e del Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi - in essa citata - verranno lette con attenzione dagli autori del programma
The Silent Beat
Non l'ottima esibizione del gruppo "The Silent Beat", viene contestata da alcune associazioni di persone sorde, ma il modo in cui essa è stata presentata, durante il programma televisivo "Quello che (non) ho"

L’attesa per il programma di La7 Quello che (non) ho – come prosecuzione, ma non solo di Vieni via con me [programma di Raitre del 2011, sempre condotto da Fabio Fazio e Roberto saviano, N.d.R.] – era giustamente elevata. La scelta della parola, infatti, dei temi che possono purtroppo significare grande assenza, grande speranza, incompiutezza, delusione e negazione dei diritti è stata una bella e coraggiosa sfida, una campana per far battere i rintocchi delle cose che vengono rimosse  o non riconosciute e che quindi si accumulano fra quelle che non si hanno e si dovrebbero avere, che tutti dovrebbero avere.
Il nutrito gruppo di autori che ha lavorato al programma sicuramente si è accostato al tema della disabilità sensoriale – e nello specifico della sordità – con partecipata sensibilità, ma l’impegno è stato male indirizzato per mancanza di approfondimento e per un’accondiscendenza a certe “incrostazioni” che resistono e che rappresentano le persone sorde in un modo non corrispondente alla realtà del nuovo millennio.
Si suol dire che “moneta giovane scaccia la vecchia”, ebbene, ciò non è valso, almeno per una parte dell’ultima puntata del programma, andata in onda il 16 maggio.
Non vogliamo per altro alzare il dito o la voce per criticare, stigmatizzare o per fare le “vittime” dei cattivi di turno. Semplicemente vogliamo ricordare a Fabio Fazio che essere sordi non significa essere muti, messaggio che purtroppo è passato attraverso le parole da lui dette per presentare il gruppo dei giovani del balletto “The Silent Beat”: «Ci sono vari modi per comunicare, per parlare, chi non può usare le parole perché non le può sentire, comunica attraverso un altro linguaggio, quello dei segni, così il corpo si trasforma in parola e finalmente danza…».

Paginate di articoli a volte con toni sensazionalistici, ad esempio sul cosiddetto “orecchio bionico”, sui nuovi successi della scienza, della medicina, sui progressi e gli sforzi dei bambini, che vengono dunque archiviate da poche parole, facendo ripiombare in un tempo che non rappresenta per niente la realtà dell’oggi, anzi la realtà conquistata a partire almeno da quarant’anni.
Agli inizi degli Anni Ottanta del Novecento, infatti, anche in Italia si cominciò a sperimentare l’impianto cocleare, allora chiamato erroneamente “orecchio bionico”, una sofisticata endoprotesi che consente alle persone nate sorde – o diventate tali in situazione postverbale – di bypassare la coclea non funzionante, permettendo loro di ri-sentire o favorendone l’acquisizione dell’udito e quindi della parola.
Da allora si sono fatti passi da gigante. Oggi, infatti, se l’intervento diagnosticato – come necessario – viene effettuato entro i primi anni di vita nel bambino con sordità profonda, questo bambino potrà parlare.
Alle persone, poi, che per cause diverse (traumi, infezioni, malattie otologiche) hanno una perdita dell’udito non rimediabile con le protesi, l’impianto cocleare rappresenta una soluzione che consente l’uscita dal silenzio pur rimanendo sordi – e un miglioramento della qualità di vita.

L’APIC (Associazione Portatori Impianto Cocleare) è componente del Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi e per questo riteniamo utile riportare in conclusione la parte finale di un documento prodotto dallo stesso Comitato e inviato anch’esso agli autori della trasmissione Quello che (non) ho.
«Ci sono tanti linguaggi (motorio, corporeo, gestuale, mimico ecc,) per comunicare ma uno solo per parlare, la lingua. “Chi non può usare le parole – è stato detto da Fabio Fazio – perché non le può sentire, comunica attraverso un altro linguaggio, quello dei segni”: no, oggi i sordi, anche quelli nati sordi profondi bilaterali, con le protesi possono sentire, con gli impianti cocleari possono parzialmente udire e comunque tutti – se abilitati nella maniera corretta – possono parlare la lingua orale.
E ancora è stato detto: “[…] così il corpo si trasforma in parola e finalmente danza”: no, il corpo non si trasforma in parola, ma in strumento di comunicazione e quindi può danzare, mimare, gestire, ecc. Il corpo può comunicare, non può parlare.
La sordità è un deficit che attualmente, con la diagnosi precoce, la protesizzazione o l’impianto cocleare e la ri-abilitazione alla parola, può essere superato. Naturalmente, non udendo, le persone sorde hanno comunque necessità di ricorrere alla lettura labiale, che è indispensabile per comprendere il messaggio linguistico; è pertanto essenziale l’utilizzo della lingua scritta, come mezzo principale per garantire il libero accesso all’informazione e in particolare all’intrattenimento televisivo, fonte privilegiata di notizie, cultura e quindi strumento sociale e di crescita personale.
Noi non vogliamo un Paese dove la gente “ascolta con gli occhi”, ma un Paese che ci garantisca il diritto alla salute, l’informazione tempestiva sull’eventuale deficit uditivo, il giusto sostegno alle famiglie, l’attivazione di azioni e percorsi verso l’uguaglianza, l’ottimizzazione degli interventi e degli investimenti, una vera politica di inclusione sociale che porti le persone con disabilità uditiva ad apprendere la lingua orale, ad essere Cittadini fra i Cittadini; vogliamo un Paese che ci garantisca un protocollo d’intervento unico a livello nazionale, che partendo dalle indicazioni dei medici, fornisca Linee Guida alle Regioni, al Servizio Sanitario Nazionale e a tutte le Istituzioni territoriali impegnate nel soddisfacimento dei diritti costituzionali; vogliamo un Paese che garantisca l’accesso ai programmi televisivi a tutte le persone sorde, nessuna esclusa, con un sistema di sottotitolazione che è opzionale per la maggior parte della popolazione, ma indispensabile per una piccola fascia di essa.
“È solo la lingua che ci fa uguali” (don Lorenzo Milani), come dimostrato da tutte le persone audiolese che parlano e sono quindi invisibili e integrate nella società di tutti».

Va anche rilevato – come hanno correttamente fatto i componenti del citato Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi – che il programma di cui si parla nel presente articolo era privo di sottotitolatura.

Presidente dell’APIC (Associazione Portatori Impianto Cocleare).

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