La strategia per affrontare la vita Simona Atzori l’ha imparata sin da piccola, sin da quando i suoi genitori hanno saputo accogliere il suo arrivo «non come un evento drammatico, ma semplicemente come un grande dono d’amore» (Simona Atzori, Cosa ti manca per essere felice?, Milano, Mondadori, 2011, p. 21; grassetti nostri in questa e nelle seguenti citazioni), suscitando l’incredulità di chi pensa che nascere senza braccia debba essere per forza una tragedia.
Probabilmente senza quell’investimento di fiducia iniziale oggi Simona non sarebbe la persona che è: un’apprezzata pittrice e un’affermata ballerina che ha danzato per papa Giovanni Paolo II al Giubileo del 2000, alla Cerimonia di Apertura della Paralimpiade Invernale di Torino del 2006, con Roberto Bolle and Friends a Taormina nel 2009, per i detenuti del carcere kenyano Nyahururu nel 2010, nel suo ultimo spettacolo Me, con il quale sta girando in Italia e all’estero.
Non è stata una vita di rinunce, quella di Simona. Quando le era precluso fare qualcosa nel modo tradizionale – complice sua madre – cercava un altro modo per farla, un suo modo, perché non tutti rispondono alle stesse esigenze con le stesse soluzioni. Alcune persone senza braccia, ad esempio, recuperano certe funzioni attraverso l’uso di protesi. Anche Simona ha provato a utilizzare le protesi, senza tuttavia trovare un equilibrio, sentendole sempre come un corpo estraneo, tanto da rinunciarvi definitivamente a 18 anni.
Utilizzare le protesi è sicuramente un modo di fare le cose adatto a molte persone, ma non era il suo modo. Il suo modo erano i piedi. In una delle pagine più incisive del suo libro scrive: «Cosa fanno le mie mani? Cosa potrebbero fare di più? A cosa mi servirebbero le mie mani? La mia risposta potrebbe sembrare strana a chi le mani le ha, a chi non conosce il mondo che creo attraverso i miei piedi, a chi non sa che esiste un altro modo. Le mie mani non mi servono. Le visualizzo, le dipingo, ma rimangono lì, come un’immagine senza funzione, per quanto belle possano essere, per quanto utili possano sembrare. I miei piedi sì che sono preziosi. Fanno magie. Fanno le mani. Chi potrebbe mai aver bisogno di quattro mani?» (Atzori, op. cit., p. 132).
È un bel testo, quello di Simona Atzori, che inizia con il sogno confidato all’amica Eleonora, quello di «danzare su un vero palcoscenico» (Atzori, op. cit., p. 16), si snoda tra episodi di quando era bambina, adolescente e poi adulta, dà risalto ai rapporti con le persone care (i genitori, i nonni, la sorella Gioia, gli amici, il suo amore Andrea), regala ricordi – delicatissimo quello del giornalista e scrittore Candido Cannavò, che la descrisse nel suo libro E li chiamano disabili (Milano, Rizzoli, 2005), emozionato quello dell’incontro con Giovanni Paolo II -, dispensa sorrisi, indugia in riflessioni mai superficiali.
Eppure quello di Simona non è un racconto innocuo. Persino il titolo, Cosa ti manca per essere felice?, sembra fatto apposta per insinuare dubbi.
Ti senti infelice? Per quale motivo? Sei sicuro che sia un motivo valido? Hai provato a considerare la cosa da un altro punto di vista? Hai provato a cercare il tuo modo? No, non è un racconto innocuo perché quando hai finito di leggere è difficile continuare a pensare che esista una realtà che non possa essere letta, interpretata e affrontata in modo diverso. «Sono felice, smodatamente, spudoratamente felice. Ed è una gioia raccontarla, questa mia felicità» (Atzori, op. cit., p. 183).
13 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, un centinaio tra articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, circa 80 segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, più di 450 segnalazioni bibliografiche e circa 600 risorse internet schedate: parlano da sole le cifre del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità.
Recentemente il Gruppo Donne UILDM ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa«per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili».Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook (cliccare qui).