“Parenti-serpenti” è un malevolo accostamento, purtroppo talora veritiero e questa è una storia che sembra ambientata in un romanzo di Dickens, ma che invece è datata 2012.
C’era una volta un cieco che chiedeva l’elemosina sui gradini di una chiesa, un altro cieco che impagliava sedie, mentre un suo collega sedeva tutto il giorno in cucina, accanto al camino, dondolandosi sulla panca. È un quadretto oleografico dell’Ottocento, anche se, dati i tempi che corrono, potrebbe sorgere il timore che i ricorsi storici lo rendano attuale…
Ciò che però non dovrebbe essere possibile, al giorno d’oggi, è che la cecità venga considerata come causa di privazione o di limitazione della capacità d’agire e che un fondamentale istituto, come quello dell’amministrazione di sostegno, venga usato per scopi ben poco apprezzabili.
Eppure, nel terzo millennio è stato possibile che un giudice abbia dichiarato un cieco incapace di provvedere a se stesso, incapace persino di gestire la sua modesta pensione e l’indennità di accompagnamento, assegnandogli un amministratore di sostegno.
Quando dunque abbiamo appreso che il nostro socio A.S. – ci limitiamo alle iniziali per il doveroso rispetto della privacy – poteva gestire soltanto una “paghetta mensile” e veniva persino condizionato nella sua libertà di ricevere visite degli amici nella casa di sua proprietà in comunione con i familiari, siamo letteralmente rimasti attoniti e increduli. Infatti, lo conoscevamo da trent’anni come una persona sveglia, dai molteplici interessi culturali, attento ai progressi tecnologici e tutt’altro che carente sotto il profilo intellettivo.
Eppure, un giudice – su richiesta dei familiari, senza un approfondimento scientifico e un’esauriente indagine psicologica – lo aveva ritenuto incapace di curare i propri elementari interessi e lo aveva sottoposto all’umiliazione di essere trattato nella sua terza età come un minorenne da tutelare, per evitare che sperperasse le sue risorse finanziarie.
Ci siamo quindi immedesimati nella sua pesante situazione psicologica e il Consiglio Direttivo dell’ADV (Associazione Disabili Visivi) ha deciso di intervenire, rompendo il circolo vizioso rappresentato dalla contrarietà dell’amministratore di sostegno a stanziare le somme necessarie per proporre e sostenere il ricorso tendente a eliminare se stesso.
Sotto il profilo giuridico, poi, la situazione era aggravata dal fatto che era ormai decorso il termine per fare opposizione al provvedimento del giudice e si doveva quindi proporre un ricorso per la revoca di tale provvedimento. Ciò significava dover convincere il giudice che era stato un errore il considerare incapace il non vedente e si può ben capire come sia difficile e delicato proporre a qualcuno di dover ammettere di aver sbagliato.
Fortunatamente abbiamo potuto avvalerci dell’opera di un amico avvocato che, oltre a una preparazione giuridica di prim’ordine, è dotato di una sensibilità non comune, che ha significato la rinuncia alla sua parcella professionale. Poiché comunque c’erano da sostenere le spese vive di causa e soprattutto quelle di una perizia psicologica di un docente universitario di chiara fama, abbiamo chiesto e ottenuto dall’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) la compartecipazione alle spese.
Ebbene, pochi giorni fa abbiamo avuto la notizia del buon esito del ricorso e dell’avvenuta revoca dell’amministrazione di sostegno. Oltre ad avere sollevato il nostro socio dalla pesante crisi depressiva in cui era caduto, consideriamo molto positivamente la rimozione di una situazione fortemente dannosa per l’immagine del non vedente, in una società che spesso oscilla fra l’esaltazione miracolistica delle capacità di chi non vede e la totale sottovalutazione delle sue potenzialità.
E c’è da ritenere che proprio questo sarebbe stato il finale scelto da Dickens per il suo romanzo.
Presidente dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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