Erano proprio in tanti alla manifestazione voluta dalle associazioni delle persone con disabilità – LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH) e FAND in testa – a Milano il 13 giugno.
Ho seguito da vicino l’intera mattinata, sotto un sole radioso e amico, che ha invogliato alla partecipazione anche le persone che hanno maggiori difficoltà a muoversi. Un “fiume umano”, mai visto niente di simile all’ombra del Pirellone, neppure un anno fa, quando pure la piazza antistante la Stazione Centrale si era riempita per un’analoga protesta, sempre per la paura, concreta e realistica, dei tagli ai bilanci dei Comuni, con la conseguente inevitabile riduzione dei servizi destinati alle persone e alle famiglie.
No ai tagli, sì alla Vita Indipendente!: uno slogan forte, che riporta la dimensione dei diritti al centro dell’azione di lotta e di denuncia. Non una richiesta generica di fondi da spendere in qualche modo, ma un obiettivo preciso, quello di prendere in carico, di nuovo, come si deve, la persona disabile nella sua interezza, quale che sia il suo deficit, fisico, sensoriale, intellettivo. Un obiettivo che si basa su leggi esistenti, non sulla fantasia utopica di un movimento scollegato dalla realtà.
Mi sono domandato – mentre mi chiedevano di condurre la lunga fila di interventi e di testimonianze (presidenti di associazioni, esponenti sindacali, sindaci, consiglieri regionali, genitori, persone disabili), che cosa realmente abbia spinto oggi qualche migliaio di cittadini a superare le difficoltà, le distanze, le barriere, le piccole e grandi avversità, non ultimo un certo legittimo pudore ad esporre se stessi in un contesto urbano come quello milanese, che non sempre ti accoglie come a una festa di gala, specie quando, inevitabilmente, blocchi il traffico di mezzogiorno proprio a ridosso del palazzo della Regione Lombardia.
Ho notato che nessuno ha suonato il clacson con impazienza, in Via Melchiorre Gioia, mentre vigili, carabinieri e polizia facevano largo al chiassoso e per certi versi allegro corteo, preceduto da un camioncino che diffondeva musica reggae, alternandola a un pop rock accattivante, sulle cui note saltavano allegri alcuni ragazzi con sindrome di Down. C’era forse stupore, sicuramente rispetto.
Non è una manifestazione di piazza che cambia le carte della crisi, o che modifica i bilanci pubblici, anche se, va detto, la Regione Lombardia ha fatto sapere di avere reintegrato il fondo sociosanitario con uno stanziamento complessivo di 70 milioni di euro, e il Comune di Milano ha assicurato che nel bilancio preventivo la spesa per la disabilità sarà addirittura aumentata del dieci per cento rispetto a un anno fa.
Ma un corteo come questo – duro e gioioso al tempo stesso – restituisce identità alle persone e alle famiglie. Fa sentire meno soli. Rende giustizia di una dimensione vasta e molto variegata di un mondo che non è a una sola dimensione.
Giovani e meno giovani, in sedia a rotelle, o con il bastone bianco, o sorretti da un assistente o da un familiare, orgogliosamente autonomi o amorevolmente spinti, sordi che comunicano sorridendo la loro voglia di esserci e applaudono agitando le mani, genitori con i capelli bianchi e volontari giovani, operatori delle cooperative sociali, lavoratori, semplicemente amici. Una fetta dell’Italia vera, ieri mattina: bella gente, dignitosa e forte, che chiede alla politica di non perdere anche questa ultima occasione di credibilità.
La crisi sta attraversando la disabilità come un “tornado”, o come un continuo movimento tellurico, che toglie serenità e restituisce ansia e incertezza. Eppure, a Milano, spirava una brezza piacevole di libertà e di democrazia. Non è la soluzione dei problemi, ma è pur sempre un segnale positivo. Mai più invisibili. Come in molti, fra un abbraccio e una stretta di mano, ci hanno detto con orgoglio.