Lo scorso 14 maggio, con Sentenza definitiva (n. 475/12), il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Sardegna ha accolto il ricorso di trenta nostra familiari (genitori di bambini con disabilità grave e alcuni giovani e adulti in proprio), assistiti con competenza professionale e generosità dagli avvocati Giuseppe e Giulia Andreozzi e Riccardo Caboni.
Il provvedimento ha stabilito che la Regione debba prendere in considerazione quale capacità economica – per i piani personalizzati derivanti dalla Legge 162/98 – il solo reddito del beneficiario, cioè della persona con disabilità. Il TAR della Sardegna ha confermato quindi quanto era stato già stabilito dalla propria Ordinanza Sospensiva 61/12 e successivamente dal Consiglio di Stato (Ordinanza 1632/12), il quale aveva respinto l’appello della Giunta Regionale contro la precedente Sospensiva: una sorta di “match” finito 3-0 per le famiglie, dunque, ma approfondire ci può aiutare a capire meglio come i diritti possano realmente diventare esigibili.
In sostanza, il Collegio dei Giudici – accogliendo l’istanza dei ricorrenti – sancisce che per l’eventuale riduzione del finanziamento concesso, ci si deve riferire al reddito del solo assistito e annulla la parte della Delibera della Giunta Regionale Sarda [n. 46/50, N.d.R.] che aveva previsto il riferimento all’“ISEE familiare” [l’ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente, N.d.R.], ribadendo in tal modo il principio del diritto “individuale” e della dignità intrinseca della persona alla piena inclusione e partecipazione, secondo le finalità di equità e di non discriminazione. E lo fa “tecnicamente”, riportando per intero – in quanto lo considera utile – il comma 2-ter del Decreto Legislativo 109/98, che motiva il senso profondo di tale criterio speciale, “più favorevole” nel determinare la compartecipazione al costo dei servizi da parte delle persone con disabilità grave, esprimendo il dovere dello Stato di realizzare l’inclusione (e non l’istituzionalizzazione), «al fine di favorire la permanenza dell’assistito nel nucleo familiare di appartenenza».
Dai Giudici Amministrativi vengono così collegate, alla norma sulla valutazione del reddito individuale, le altre disposizioni nazionali (sui Livelli Essenziali delle Prestazioni) e la Legge Regionale 23/05 sul sistema dei servizi sociosanitari, che – evidenziano i Giudici stessi – interpreta in modo compiuto, rafforzativo, lo stesso dettato nazionale del Decreto Legislativo 109/98. Ciò in quanto – nel caso specifico – si tratta di prestazioni svolte per un soggetto – handicappato grave – nell’àmbito di un piano definito di «percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria».
Il richiedente è una persona con disabilità permanente grave o un anziano ultrasessantacinquenne non autosufficiente certificato (requisito soggettivo) e la prestazione richiesta è «una prestazione sociale agevolata all’interno di un percorso integrato di natura sociosanitaria» (requisito oggettivo).
Si rileva dunque nella Sentenza che la Legge Regionale 23/05 è in linea con la Legge Nazionale 328/00 e che la Regione Sardegna, quando non la applica, entra sostanzialmente «in contrasto con se stessa».
Vi è poi il dettato nazionale che vede, come da Costituzione, la competenza legislativa nazionale di rango superiore alle norme e ai regolamenti regionali e locali, per garantire «i Livelli Essenziali di Assistenza e di Prestazioni, senza limitazioni di ordine o natura economica o finanziaria, ma uniformemente garantiti in tutto il territorio nazionale». Si tratta, dunque, di diritti esigibili.
E ancora, viene confermato dai Giudici Amministrativi sardi che l’“area grigia” fra ciò che è sanitario e ciò che è socio-assistenziale non è poi cosi grigia per la legge, come sostengono avvocati di fama nazionale fra cui ad esempio Francesco Trebeschi di Brescia. Ciò che si riferisce infatti alle persone con disabilità grave (ai sensi della Legge 104/92) è per sua caratteristica (della persona e non del “servizio”) sociosanitario, nel senso che la differenza fra ciò che è sociosanitario e ciò che è socio-assistenziale è insussistente, inconsistente, vista dalla parte dei diritti, dei pronunciamenti del Consiglio di Stato e financo della Corte Costituzionale.
Ora, non si tratta solo di un orientamento giuridico corretto prevalente che qui si sta affermando, ma della stessa più equa interpretazione dello “strumento ISEE”, nell’ottica della Costituzione e della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per cui non si possono avere interpretazioni da parte di amministrazioni locali nei propri regolamenti e discipline regionali o comunali.
La Sentenza sarda sull’ISEE “personale” nei progetti derivanti dalla Legge 162/98, della quale ci stiamo occupando, conferma tutto questo e si inserisce nell’alveo del gruppo sempre più consistente di pronunciamenti che costituiscono l’orientamento prevalente della giurisprudenza, ove si indica il principio del “reddito individuale” immediatamente precettivo, con le connesse importanti osservazioni dei vari TAR regionali, relativamente all’esigenza di considerare la situazione economica del solo assistito, coerentemente con le direttive in materia di prestazioni socio-sanitarie (Decreto del Presidente del Consiglio – DPCM del 14 febbraio 2001) e di Livelli Essenziali di Assistenza (DPCM del 29 novembre 2001).
Si può dire anzi che la giurisprudenza, sulla “materia ISEE”, sia ormai unanime (si veda ad esempio Giorgio Latti, I diritti esigibili, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp.60 ss.) e anche recenti Sentenze del Consiglio di Stato (ad esempio la 1607 e la 5185 del 2011) collegano il principio speciale del Decreto Legislativo 109/98 (articolo 3, comma 2-ter), ai princìpi della Convenzione ONU di «valorizzazione della dignità intrinseca della persona con disabilità», al diritto all’autonomia individuale e alla vita indipendente e all’inclusione nella comunità (articoli 3 e 19 della Convenzione); al diritto, cioè, di essere sostenuti dallo Stato, e dunque da Regioni e Comuni, che devono provvedere a forme di mantenimento, «compresa l’assistenza personale necessaria per permettere alle persone con disabilità di vivere all’interno della comunità, di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione».
La persona con disabilità è considerata – nella legge sovrannazionale e dalla nostra Costituzione Italiana – secondo i princìpi di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici. E ciò rappresenta un ulteriore argomento interpretativo in favore dell’applicabilità del comma 2-ter dell’art 3 del Decreto Legislativo 109/98.
La Sentenza in oggetto, dunque, è molto importante per tutto il movimento delle persone con disabilità e per le nostre organizzazioni in Sardegna, con conseguenze che si ripercuoteranno anche in ambito nazionale. E tuttavia, alcune osservazioni – talune delle quali amare – possono offrire spunti ulteriori alle riflessioni più generali.
1. I Giudici sardi respingono tutte le eccezioni di rito di inammissibilità del ricorso di natura tecnica avanzate dalla Regione fra cui, ad esempio, che fosse erronea la procedura del ricorso collettivo; i Giudici, infatti, non trovano «ruoli in conflitto» e dunque ammettono che i singoli ricorrenti – tutti – abbiano posizioni sostanzialmente omogenee e che siano portatori del medesimo interesse.
Qui va anche letta fra le righe l’abilità e la professionalità dei legali che hanno patrocinato i ricorsi, insieme alla forza e alla competenza dell’intero movimento di base delle nostre associazioni, appartenenti al Comitato dei Familiari per l’Attuazione della Legge 162/98 in Sardegna e all’impegno del gruppo dei promotori che, come “kamikaze dei diritti umani”, hanno affrontato uniti una causa legale, trenta familiari che hanno lottato e ottenuto il successo per i 30.000 (tanti sono i progetti personalizzati in Sardegna, derivanti dalla Legge 162/98) per il diritto di tutti e di ciascuno all’assistenza personale e alla Vita Indipendente.
2. La velocità del provvedimento definitivo da parte dei giudici del TAR ha evitato alla Regione il risarcimento del danno esistenziale. Vien da pensare, quindi, che i Giudici non avessero proprio dubbi.
3. Il richiamo degli avvocati della Regione al cosiddetto “Decreto Salva-Italia” del Governo Monti [convertito nella Legge 214/11, N.d.R.], quale norma di futura applicazione (!), è stato ritenuto dal Tribunale, ovviamente, inapplicabile. Saranno questioni giuridiche tecniche, ma noi consideriamo letteralmente vergognoso che la nostra Regione cerchi di fare applicare possibili norme future – forse più sfavorevoli per i propri Cittadini – all’insegna di un ISEE probabilmente più “restrittivo”, come è ben noto anche ai lettori di Superando (si legga in tal senso l’articolo di Pietro Barbieri, presidente nazionale della FISH, intitolato I disorientamenti e le certezze), norme che ancora non sono neanche definite e per le quali, come Federazioni nazionali con le nostre organizzazioni, stiamo infatti tenendo alta la guardia.
Il nostro impegno, cioè la visione e l’azione, le nostre battaglie per i diritti umani e i diritti esigibili consistono proprio nel collegare le questioni, i problemi politici, amministrativi, economici e finanziari con i diritti dell’uomo, cioè di ciascuno; nell’individuare il legame che sussiste fra gli aspetti giuridici tecnici e quelli di sostanza, fra la pratica quotidiana (personale, familiare e della comunità) e l’alto valore giuridico e civile, di rango costituzionale e sovrannazionale, così come è rappresentato nel “paradigma” della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Voglio ricordare in tal senso l’impegno della LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che è la componente lombarda della FISH) e dell’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), con i loro “avvocati apripista”, come Getano De Luca e il già citato Francesco Trebeschi, ma anche l’azione di formazione per le pubbliche amministrazioni di consulenti giuridici con l’ottica “costituzionalista” dei diritti umani, come Carlo Giacobini, direttore editoriale di questo sito e responsabile del Servizio HandeyLex.org (in questo ultimo si legga anche un interessante contributo di Massimiliano Gioncada); la competenza sui vari temi e l’impegno dell’avvocato Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH; l’azione instancabile al Sud e in Sicilia di associazioni e avvocati esperti come Francesco Marcellino; e l’impegno di tutto il movimento “dal basso”, a partire da quello storico di Germano Tosi e del gruppo di ENIL (European Network for Independent Living) per la Vita Indipendente.
Questo faticoso e articolato processo di esercizio dei diritti – che passa anche per i tribunali, ottenendo i risultati di cui si è detto nell’orientamento della giurisprudenza – sta ulteriormente rafforzando la nostra consapevolezza e visione, il nostro empowerment, l’esercizio del diritto umano delle persone con disabilità alla piena partecipazione e all’inclusione come persone, in famiglia e nella società.
Ancora una parentesi, però, merita di essere dedicata all’ISEE, con una spiegazione pratica, che proponiamo e riteniamo utile, elaborata essa stessa alla luce e grazie alla recente Sentenza del TAR Sardo, per far sì che i diritti diventino realmente esigibili, per tutti e per ciascuno.
È ben noto a tutti che lo “strumento ISEE”, ormai in vigore da anni, presenta delle criticità. Ciò ha portato a sperimentazioni, a serie proposte di modifica, come ad esempio quella del Forum delle Associazioni Familiari (se ne legga nel relativo sito), con l’elaborazione del Quoziente Familiare. Diverse, poi, sono le buone prassi realizzate in alcune amministrazioni locali e altre proposte arrivano direttamente dalle organizzazioni e dal movimento delle persone con disabilità, come quella della FISH Nazionale, contributo competente alla riforma dell’ISEE attualmente in corso.
Il più volte citato Decreto Legislativo 109/98, cioè la norma che sancisce lo “strumento ISEE”, individua «criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalità dei soggetti o comunque collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche».
Dunque l’ISEE non è un misuratore di ricchezza: il riferimento è comunque il richiedente e la finalità è la maggiore equità fra i Cittadini. Ce ne rendiamo tutti conto, ad esempio, se lo consideriamo rispetto alla valutazione economica del solo reddito IRPEF, che è certamente “parziale”, mentre nello strumento ISEE vengono indicati anche i patrimoni, mobiliari, immobiliari ecc. Uno strumento, quindi, che, seppure imperfetto, tende all’equità della valutazione economica e sociale, e le modalità di applicazione dei princìpi e delle norme ci sono tutte.
Ora, su invito della Regione che deve ottemperare alla Sentenza in oggetto (e alla Legge), stiamo provvedendo – famiglie e persone con disabilità – a portare ai Comuni l’ISEE personale, “di prestazione”. Nella dicitura leggiamo esattamente: «Prestazione sociale agevolata richiesta per (ad esempio) servizi socio sanitari domiciliari, L.162/98…». Dal canto loro i CAAF [Centri Autorizzati Assistenza Fiscale, N.d.R.] hanno recepito la novità, non senza alcune difficoltà iniziali, e rilasciano appunto gli “estratti” dall’ISEE relativo al nucleo familiare e i documenti che attestano il “solo reddito” dell’assistito, come richiesto dal Decreto Legislativo 109/98 e dalla Sentenza 475/12 del TAR della Sardegna. Facciamo due esempi pratici.
Primo caso: l’ISEE personale del richiedente nel caso che, in un nucleo familiare, sia il figlio con disabilità grave (dunque a carico), viene rappresentato con l’ISEE “di prestazione” (“estratto” dall’ISEE), che vede il coefficiente della scala di equivalenza per il solo soggetto con disabilità (x1,5); mentre, secondo caso, se la persona richiedente con disabilità grave ha egli stesso a carico altre persone nel nucleo familiare (ad esempio se è il genitore), il paramento da moltiplicare terrà conto di coloro che sono nel suo nucleo a carico (x 1,5 +… n…tot ), che in pratica incidono sul suo reddito personale, “pesando” concretamente, fiscalmente su di esso (per informazioni o quesiti specifici su quanto detto, scrivere comunque a comitatofamiglie162@gmail.com).
Se a questo punto i CAAF, per un disabile grave con figli a carico, considerano i dati del solo “stato personale”, senza tenere conto degli oneri che riducono il reddito personale, commettono un grave errore, un danno di fronte al quale si può legalmente ricorrere. In altre parole, non dev’esservi una discriminazione per gli adulti con disabilità, nel caso siano loro gli “aventi diritto”.
Infine, ci poniamo alcune domande. Dato che il quadro normativo (regionale, nazionale, internazionale) c’è ed è chiaro, dato che la consapevolezza in noi diretti protagonisti è cresciuta, perché queste norme che sanciscono diritti umani, non diventato diritti esigibili? Perché sono state e sono ancora tante le difficoltà attuative incontrate in questi anni da parte delle famiglie e delle persone con disabilità, che ci hanno portato con le nostre organizzazioni alle battaglie e alle azioni legali in tantissime Regioni italiane? Battaglie impegnative, che certo non vorremmo fare, poi vinte in grande maggioranza, con l’aiuto di avvocati ed esperti giuridici molto validi.
E in Sardegna, poi, finisce così la battaglia legale? No, sembra proprio che continuerà. La Regione, infatti, può decidere di andare avanti ed eventualmente di fare un altro appello al Consiglio di Stato contro la Sentenza definitiva del TAR. La scadenza dei tempi del possibile ricorso è entro la fine di luglio e se quindi tale ricorso ci sarà, prenderemo atto che l’Assessore e la Regione continueranno a “fare causa” contro i sardi con disabilità grave.
Speriamo di non arrivare a dover denunciare un’ulteriore vessazione ingiustificata, ciò che sarebbe una vera vergogna, un’“azione temeraria” contro le persone con disabilità grave della Sardegna. Speriamo cioè – come chiesto allo stesso Assessore dal Comitato dei Familiari per l’Attuazione della Legge 162/98 in Sardegna – che il contenzioso venga interrotto e che alla fine la Regione riveli se come Amministrazione non avrebbe invece un “maggiore interesse” nel dare il giusto e nel rispettare la legge, anziché sperperare soldi nei ricorsi contro le famiglie, proprio in un momento come questo di grave crisi sociale.