Nel mondo delle persone con disabilità – che è poi è lo stesso di quelle “senza” – da qualche tempo si fa un gran parlare, o meglio un grande scrivere, dell’assistente personale. Oggi vorrei trattare di una particolare specializzazione di tale figura: l’“uomo da soma”.
Non me ne abbiano asini, muli e animali consimili se ho usato una espressione che di solito è a loro collegata, ma l’accostamento non è peregrino: infatti l’uomo da soma porta pazientemente grossi carichi, è per sua natura un essere frugale e si lamenta assai poco.
Tornando alle persone con disabilità, Silvia usufruisce del sottoscritto miserello come uomo da soma, incaricato quindi di portare a spalla o a braccia tutto il necessario all’itinere che non trova posto sulla carrozzina (e talvolta la carrozzina stessa!).
E quindi, grossi zaini con le più complesse apparecchiature medicali, svariati ricambi di biancheria griffata, un completo da pic-nic per portatrici di stomia gastrica, otri di acqua naturale di montagna (deve sgorgare obbligatoriamente ad almeno 1.500 metri sul livello del mare!). Questi grossi zaini sono rudemente alloggiati sulle un dì robuste – ora solo vetuste – spalle dello scrivente il quale, a buon peso, presto indosserà una speciale cintura con gancio su snodo cardanico, atta a tirare un rimorchietto a due ruote con portata di 90 chili.
Fortunatamente lo sviluppo della tecnologia degli ultimi cinquant’anni ha miniaturizzato gli strumenti di trasmissione e ricezione dai 35 chili dei radiotelefoni di quando l’uomo da soma era caporal maggiore di leva negli Alpini, ai pochi grammi delle moderne diavolerie telefoniche, graziandolo inoltre – stante lo stato di pace almeno del nostro Paese – dei 13 chili del mitragliatore leggero.
Qual premio a tanta (bestial) fatica, viene concesso un caffè (95% robusta e 5% arabica) ogni quattro ore di marcia.
“Uomini da soma” di tutto il mondo, uniamoci e reclamiamo almeno un 50% di arabica nella miscela del caffè!
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