Il mestiere di vivere

di Giorgio Genta
Ci permettiamo di usare il titolo del celebre "Diario" di Cesare Pavese, per questo bel testo di Giorgio Genta, pensando a quando scrive che «per vivere la quotidianità dell'esistenza, le persone con una gravissima disabilità e le loro famiglie impegnano una quantità di lavoro superiore a quella richiesta da ogni altra professione». Per loro, insomma, «il lavoro è il mestiere di vivere»

Padre e madre insieme a figlia con disabilitàPassata la stagione del “pietismo” e dell’“eroismo”, da qualche tempo le persone con disabilità, le loro famiglie e le associazioni che le rappresentano sono impegnate a focalizzare l’attenzione dei media generalisti, e quindi del grande pubblico, verso gli aspetti ordinari della propria esistenza.
È certamente un compito arduo perché l’ordinarietà non fa notizia, ma è un compito fondamentale perché è attraverso il riconoscimento della condivisione degli atti ordinari della vita, che si viene inclusi nella società.

A prima vista può sembrare un po’ azzardato parlare dell’ordinarietà di esistenze “specialmente difficili” quali quelle delle persone con disabilità gravissima, ma persino gli atti più estremi – quale ad esempio una ventilazione con un pallone Ambu [attrezzatura utilizzata per il supporto dell’attività respiratoria, N.d.R.] – perdono molta della loro straordinarietà, ma non certo della loro importanza, se vengono ripetuti con una certa frequenza.
Le persone con disabilità gravissima – che sono poi “persone che necessitano di supporti particolarmente intensi”, per dirla con un linguaggio tecnicamente aggiornato – e le loro famiglie  si differenziano dalle altre semplicemente perché per vivere la quotidianità dell’esistenza impegnano una quantità di lavoro superiore a quella richiesta da ogni altra professione: per loro il lavoro è il mestiere di vivere.
Esiste dunque semplicemente una differenza di intensità, non di esclusività. Il fatto di respirare – per parlare di un atto assolutamente essenziale – rimane tale, sia che venga svolto spontaneamente sia che venga supportato da apparecchiature e accorgimenti specifici.
Andare a fare shopping o semplicemente una passeggiata, per passare a un aspetto un po’ più lieve dell’esistenza, non perde il suo significato e la sua gradevolezza, anche se necessita di una carrozzina elettrica o di una bombola di ossigeno portatile e di un aspiratore.

Se dunque viene accettata e condivisa la consapevolezza del fatto che le persone con disabilità gravissima – e naturalmente anche quelle con una disabilità più lieve – fanno parte integrante della società e sono persone come tutte le altre, con necessità semplicemente più marcate in alcuni settori dell’esistenza, ciò porta a una forma di inclusione e di difesa assai simile a quella che nella famiglia si ha verso il componente più piccolo e indifeso: viene accettato, amato e protetto, perché riconosciamo in lui “noi stessi con esigenze maggiori”.

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