Tremila in corteo a Milano. Con forza, con gioia, con grinta, con fatica. La LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità [componente lombarda della FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.]) e la FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) sono riuscite a realizzare un’impresa titanica, e anche rischiosa.
In caso di insuccesso, infatti, o comunque di scarsa partecipazione, il tonfo avrebbe avuto ripercussioni micidiali sulle battaglie in atto – non solo in Lombardia, ma in tutta Italia – per dire no ai tagli lineari e gravissimi al fondo sociale, comprendenti l’azzeramento del Fondo per la Non Autosufficienza. La risposta in larga parte spontanea (anche se la potente spinta organizzativa di alcune associazioni di LEDHA e FAND, in particolare ANFFAS, UILDM, ANMIC e UICI si è fatta sentire) ha superato le aspettative della vigilia. Tanto da indurre l’assessore regionale Boscagli a ricevere una delegazione di LEDHA, FAND e Comitato Regionale per la Vita Indipendente e ad annunciare che entro il mese di luglio sarà reintegrato con ulteriori 30 milioni il Fondo Sociale Regionale, raggiungendo quota 70 milioni, quella di un anno fa (chissà perché in questi casi l’inflazione non viene mai conteggiata).
Mi domando come mai il mondo della disabilità faccia così fatica a essere ascoltato, e soprattutto a vedere esaudite legittime richieste, basate sempre su leggi vigenti (scuola, lavoro, mobilità, assistenza sociosanitaria, vita indipendente). E come mai i media ignorino (con rare e meritorie eccezioni) manifestazioni come quella di Milano (tanto per non fare nomi: RAI e Mediaset completamente assenti).
Una manifestazione di tremila appartenenti ai Centri sociali (con tutto il rispetto) immagino avrebbe portato come corollario qualche decina di telecamere, e un centinaio di fotografi, magari in attesa di scontri e di cariche delle forze dell’ordine. Un corteo colorato, civile, perfino musicale, di migliaia di cittadini di vario tipo (in carrozzina, non vedenti, sordi, giovani, anziani, disabili intellettivi…) non interessa invece se non marginalmente. Eppure dovrebbe.
Una risposta viene da una cifra, colossale quanto forse poco conosciuta. A fronte di una spesa nel settore sanitario di 17,5 miliardi di euro in Lombardia, il settore sociale vede il proprio bilancio incidere solo del 7% (cito in tal senso un’interessante videointervista di Cristiano Gori su «Lombardia Sociale»). Insomma ci aggiriamo attorno al miliardo di euro per l’intera Regione Lombardia. Vero che la spesa per i servizi alle persone con disabilità ricade, come competenza, principalmente sui Comuni, i quali però, com’è noto, sono con l’acqua alla gola, battono cassa e sono anche bloccati dal patto di stabilità.
Una variazione di spesa di 30 milioni di euro (è questo il più evidente risultato monetario della manifestazione del 13 giugno, e comunque se ne parla a fine luglio) sembra davvero poca cosa rispetto alla montagna della spesa sanitaria lombarda.
Non voglio infierire in giorni nei quali il settore è sotto attacco della magistratura e dei media. Certo è che il meccanismo del finanziamento del settore sanitario è molto più articolato e forte, per lunga tradizione (anche di altissima efficienza, come tutti ben sappiamo). Ma dietro al settore sanitario si muovono interessi enormi, anche di tipo privato. Le multinazionali del farmaco, le industrie di attrezzature ospedaliere, le grandi immobiliari, le imprese di costruzioni, un esercito di dipendenti pubblici qualificati, solo per citare i più evidenti interlocutori dell’industria della salute.
Il mondo della disabilità invece è strutturalmente “povero”, e si basa sulla carne viva delle persone, sulle singole situazioni, sulle realtà operative di servizi domiciliari, o di attività diurne, o al massimo di strutture residenziali che non sono comunque paragonabili ai grandi interessi degli ospedali e dei centri di ricerca. I diritti della salute, poi, sono diritti “esigibili”, mentre i diritti sociali dipendono ancora in larga misura dalla disponibilità delle risorse.
In un periodo di crisi profonda come questo, l’attacco alle poche certezze conquistate in decenni di battaglie si fa dunque insistente e concreto, perché non vengono toccati interessi o “poteri forti” (tanto per usare un’espressione di moda). Non è un caso che l’unico momento nel quale si è parlato in termini di possibili nuove risorse per il settore della disabilità e degli anziani non autosufficienti sia coinciso con un convegno voluto dalle grandi compagnie di assicurazioni, con tutte le evidenti conseguenze (al momento per lo più negative).
Il mondo delle persone con disabilità – e in particolare i familiari di persone non in grado di rappresentare se stesse, o di essere autosufficienti – vive questo momento con ansia, e spesso con angoscia. Possiamo tranquillamente (si fa per dire) parlare di povertà indotta, o addirittura endemica. Non solo per i costi crescenti dei servizi non essenziali, ma anche perché molto spesso la famiglia diventa essa stessa “disabile”, con la dolorosa rinuncia a opportunità di lavoro e di reddito, con la necessità di aiuti di personale esterno, con poche agevolazioni vere (e anche quelle, adesso, messe pesantemente in discussione).
C’è poi un aspetto non secondario della crisi e della mancanza di attenzione da parte dei “poteri forti”. Al di là della lungimirante azione di alcune fondazioni, le associazioni delle persone con disabilità faticano a trovare partner pubblici e privati assieme ai quali costruire nuova progettazione sociale che non sia semplice e illusoria sperimentazione, destinata a morire prematuramente, come una giovane pianta per una gelata precoce. Eppure la valutazione di efficacia e di appropriatezza delle prestazioni e dei servizi attorno alla persona passerebbe proprio attraverso la possibilità di coinvolgere in modo attivo – e in un certo senso imprenditoriale – l’intero mondo della disabilità. Le crescenti difficoltà del mondo della cooperazione sociale, ad esempio – costretto a ridurre la qualità per rimanere competitivo nelle complesse fasi dell’accreditamento dei servizi – dovrebbero farci riflettere su questa tendenza, che sembra irreversibile, a valutare tutto solo in termini di “minor costo”.
Sono riflessioni perfino dolorose, ma che penso debbano essere messe sul piatto di una discussione seria, leale, rispettosa della dignità e della forza di così tante persone per bene. Il mondo della disabilità se lo merita. I tremila di Milano lo dimostrano ampiamente.