Che una grande parte di cittadini – non avendo mai avuto a che fare in vita sua in modo più o meno continuativo con ciechi e ipovedenti – ignori del tutto i loro problemi e le diverse strategie che essi mettono quotidianamente in atto per tentare di superarli e per organizzare al meglio la vita, è non solo normale, ma ampiamente giustificabile. Che la stessa ignoranza, però, imperi tra la maggioranza di coloro che dovrebbero informarci in modo il più accurato e veritiero possibile proprio sulle cose di cui abbiamo meno esperienza e che perciò conosciamo di meno, ovvero i giornalisti, non è né comprensibile né tanto meno giustificabile.
Eppure, a leggere gli articoli che negli ultimi mesi si sprecano su varie testate, dedicati ai “falsi ciechi”, si riscontra da parte dei loro firmatari un’ignoranza crassa, condita dei peggiori luoghi comuni, che sortisce come risultato principale non tanto quello della sacrosanta denuncia degli abusi e delle truffe, ma la diffusione di un’immagine gravemente distorta dei ciechi e degli ipovedenti veri, lesiva della loro dignità, e che alimenta l’ignoranza e i pregiudizi di chi nulla o pochissimo sa della disabilità visiva, e che magari si aspetterebbe di esserne un po’ più informato appunto dai giornali che legge.
La prima mancanza grave sta nel non fare pressoché alcuna distinzione tra cecità e ipovedenza, ignorando del tutto la normativa che le definisce. Se infatti gli “informatori” si prendessero la briga di documentarsi a loro volta prima di scrivere, saprebbero che la definizione legale di cecità assoluta comprende non solo la condizione di chi non vede assolutamente nulla, ma anche quella di chi percepisce luce e ombra, e anche quella di chi – pur avendo un visus residuo più o meno importante – ha un campo visivo inferiore al 3% (pari a 5 gradi) (in base alla Legge 138/01, la quale contiene una tabella che incrocia gli elementi dell’acuità visiva con quelli del campo visivo, e definisce nuovi e più rigorosi parametri per designare la cecità e i vari livelli di ipovisione).
Potrebbe accadere, ad esempio, di notare un ipovedente grave che, a distanza ravvicinata, scorre i titoli di un giornale, ma poi muovendosi per strada va a sbattere contro questo o quell’ostacolo. Il cittadino senza esperienza e disinformato, sarebbe quanto meno sorpreso di tali discrepanti comportamenti. E il giornalista? Se adeguatamente informato no, e anzi sarebbe in grado di spiegare al lettore come stanno le cose; altrimenti si scandalizzerebbe, griderebbe all’impostura, e avvalorerebbe i peggiori sospetti dell’ignaro lettore, aggiungendo la propria all’altrui ignoranza, e facendo da cassa di risonanza al luogo comune secondo il quale se ci vedi, anche pochissimo, comunque non sei cieco, e dunque se accedi a qualcuno dei benefìci previsti per i ciechi civili, sei “un perfido impostore”.
Consideriamo allora alcuni dei gesti che – secondo moltissimi articolisti – tradirebbero una cecità fasulla: l’allungare il braccio per chiedere di fermarsi al pullman in arrivo; dare indicazioni stradali a un passante che le chiede; spazzare il balcone di casa; scendere o salire con disinvoltura le scale.
Fermiamoci per ora a questi soli quattro esempi, e vediamo se è così vero che chi compie tali gesti debba per forza “vederci qualcosa”. Se un cieco assoluto che si trova alla fermata in cui non c’è nessuno da interpellare o semplicemente che non vuole chiedere per scelta, sente avvicinarsi un mezzo dal cui rumore si capisce benissimo non trattarsi di semplice auto, egli – che dovrà prendere poniamo il 37 – comunque alzerà la mano. Al conducente del mezzo che si ferma, la cui porta individuerà grazie al rumore del motore e al bastone, nel dubbio possa trattarsi di altra linea, chiederà se è esattamente quello che gli serve. Quindi, nel caso, salirà. Bisogna davvero vederci qualcosa per essere in grado di fare questo?
Se poi un cieco si trova per strada nei pressi di casa o in un luogo che comunque, per varie ragioni, conosce abbastanza bene e un automobilista lo affianca per domandargli indicazioni su come raggiungere una via o un dato palazzo (poniamo il tribunale), il cieco – che sa perfettamente dove si trova lui in quel momento – potrà benissimo fornire le indicazioni richiestegli, magari accompagnando con i gesti il suo dire «giri a sinistra, poi alla terza, al semaforo, a destra, e infine alla rotonda prenda per…». Bisogna per forza vederci per sapere dove ci si trova e, di conseguenza, quale percorso fare per raggiungere una data meta? Il cieco deve proprio essere totalmente imbranato perché si creda alla sua cecità?
E ancora, se spazzo il balcone, cercherò di essere metodico, in modo da passare colpo dopo colpo su tutta la superficie del pavimento, a costo di ripassare più volte nello stesso punto. Se ho un po’ di allenamento ci riesco benissimo e il mio balcone è bell’e che spazzato. Ma come avrò fatto a togliere quel pezzetto di carta ficcato giusto in quell’angolino? Vuoi vedere che in fondo in fondo un po’ ci vedo?
E se a casa mia, o sul posto di lavoro, o in altri luoghi che frequento e perciò conosco, scendo le scale quasi di corsa o, se ho fretta, le salgo a due gradini per volta, ci son cascato: ci vedi, imbroglione! E all’ignorante prevenuto non basterà argomentargli che se le scale sono regolari, il salirle e scenderle comporta un movimento ritmico altrettanto regolare e che perciò si possono fare letteralmente “a occhi chiusi”. E qui non c’entra neppure l’informazione, ma appena un po’ di capacità di riflessione e di buon senso.
Insomma, sono moltissimi gli stratagemmi che ciascun cieco inventa per trarre il maggior numero possibile di riferimenti (sonori, tattili, olfattivi) dall’ambiente in cui si trova, per memorizzarli utilmente, e dei quali si serve per muoversi, per ritrovare gli oggetti che gli occorrono, per cucinare, per farsi la barba o per piantare un chiodo. Già, perché molti ciechi (non tutti) fanno di tutto per essere il più autonomi e indipendenti possibile, a costo, a volte, di comportarsi in modo temerario. Idem dicasi per gli ipovedenti che spesso, per di più, tendono a dissimulare le loro stesse difficoltà visive, finendo col mettersi di quando in quando in situazioni piuttosto imbarazzanti.
E quale sconforto quando tutta questa immane fatica per vivere in modo indipendente finisce purtroppo – grazie a giornalisti a caccia di facili scoop, vittime di un’ignoranza che non si premurano di colmare – con l’alimentare l’idea che fra i ciechi molti siano in realtà dei “falsi ciechi”, imbroglioni, attori e simulatori preoccupati solo di frodare la società e approfittare dell’altrui senso di solidarietà per trarne qualche vantaggio personale. Ma il fatto è che tali imbroglioni – che certamente esistono e che è giustissimo scovare e perseguire – non costituiscono affatto percentuali a due cifre tra quanti riconosciuti ufficialmente ciechi, come si tende a far credere. Dati ufficiali che molti giornalisti sembrano volutamente ignorare, dicendo che il totale dei “falsi invalidi” – non solo ciechi! – scoperti in questi ultimi anni supera di poco il 3%.
E infine, ciliegina sulla torta, spessissimo vengono comunicati importi di pensioni e indennità totalmente sballati. Possibile che sia così difficile per un giornalista professionista appurare l’esatto ammontare dei benefìci economici percepiti dai ciechi? Beh, visto che proprio non ce la fanno, li aiuteremo.
Nel 2012, la pensione di invalidità per ciechi civili assoluti, erogata solo a chi percepisce un reddito annuo lordo inferiore a 15.627,22 euro, è pari a 289,36 euro mensili, che scendono a 267,57 qualora siano ricoverati; la stessa cifra, 267,57 euro, spetta ai ciechi parziali. Qualora poi il tetto reddituale superi anche di un centesimo i suddetti 15.627,22 euro, tale beneficio viene annullato.
Sempre nel 2012, l’indennità di accompagnamento – svincolata dal reddito ed erogata al solo titolo della minorazione – è per i ciechi assoluti di 827,05 euro su dodici mensilità, mentre l’indennità speciale per i ciechi ventesimisti è, sempre per dodici mensilità, pari a 193,26 euro.
Perciò, quando si legge che tizio ha percepito indebitamente poniamo per cinque anni pensione e indennità di cieco assoluto per un ammontare pari a 100.000, 120.000 euro o più, il dato è palesemente falso, e la domanda che sorge spontanea a noi ciechi veri è: ma perché si tendono a gonfiare in questo modo le cifre? Perché si dà in pasto ai cittadini l’idea di chissà quali proventi spettanti agli invalidi in un momento per giunta così difficile?
E la risposta che sorge altrettanto spontanea è che così la rabbia e la frustrazione di chi versa in condizioni difficili per via della crisi, anziché indirizzarsi verso i veri responsabili, come gli evasori fiscali che “si mangiano” il 20 e più % del Prodotto Interno Lordo (PIL), viene deviata sugli invalidi, quelli veri, dipinti non come cittadini svantaggiati in diritto di fruire della solidarietà sociale come previsto dalla nostra Costituzione, ma come “privilegiati che sottraggono risorse alla collettività”. E poco importa se queste risorse ammontano soltanto all’1,5% del nostro PIL, al di sotto della media europea che invece, anche in tempi di crisi, spende per la disabilità circa il 2%.
Questo è quanto produce il cattivo giornalismo: danni morali e culturali, che aiutano l’imbarbarimento della società, anziché contribuire a conoscere la verità dei fatti e a suggerire soluzioni eque e ragionevoli ai problemi che ci attanagliano.