«Uno studio dal taglio quanto mai interessante, destinato anch’esso ad essere apprezzato e a far discutere»: l’avevamo presentato così, qualche tempo fa, Storia della disabilità, Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare (Carocci, 2012), il nuovo libro di Matteo Schianchi, nostro prezioso opinionista e autore nel 2009 di una pubblicazione quanto mai apprezzata, quale La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà (Feltrinelli).
Oggi quindi, riprendiamo ben volentieri, per gentile concessione, un’intervista in esclusiva dello stesso Schianchi alla testata «WOL – welfare on line», webzine dell’Associazione Nuovo Welfare.
Un testo di storia della disabilità è certo poco comune, come mai questa scelta?
«Dell’interesse di un approccio storico alla disabilità, al di fuori della mia formazione e delle mie personali ricerche, ne argomento nell’introduzione. Difficile sintetizzare in poche battute, anche perché a quell’introduzione ci tengo in modo particolare, però si può dire che gli studi storici possono contribuire (insieme ad altre discipline) a modificare lo sguardo sulla disabilità, su cui le conoscenze sono sempre troppo limitate e, mi si passi l’espressione, zoppicanti».
Si scrive sempre per qualcuno. Chi sarebbero i destinatari del libro?
«Ho cercato di non pensare troppo a tale questione, che è decisiva. Il mondo della disabilità non affronta, generalmente, le questioni storiche e, altrettanto generalmente, chi si occupa di questioni storiche non si occupa di disabilità. Allora ho cercato di “farmi portare” dai temi che scoprivo e affrontavo. Di sicuro, un solo testo non può essere esaustivo di tutte le questioni, e non ho neanche le competenze per farlo. Se devo pensare a un lettore, è una persona interessata a porsi domande e problematiche relative alla disabilità, senza trovare facili soluzioni e risposte immediate (che non ci sono), poiché sono molte di più le domande formulate che non le risposte».
Quali sono in sintesi i temi affrontati dal libro?
«I capitoli seguono in parte una scansione cronologica. Si parte con talune tracce di disabilità in alcune civiltà antiche, per poi passare alla vicenda dei disabili nel mondo greco-romano. Il terzo capitolo affronta il tema della rappresentazione della disabilità nell’Antico e nel Nuovo Testamento, in una prospettiva storica e non religiosa. Il quinto capitolo affronta la realtà sociale della disabilità in epoca medievale e moderna. Gli ultimi due capitoli (8 e 9) ricostruiscono la vicenda della disabilità nel Novecento, spingendosi fino a uno sguardo complessivo della nostra contemporaneità, a partire dall’analisi di alcuni temi. Ad esempio è stato interessante ricostruire la storia dell’associazionismo italiano.
Ci sono poi alcuni capitoli intermedi che trattano alcuni temi specifici, affrontati seguendone lo svolgimento nelle diverse epoche storiche. Il quarto capitolo si occupa della questione dei mostri dalle civiltà greco-romane fino al Novecento. Il sesto capitolo affronta lo sviluppo delle pedagogie speciali per tutti i tipi di disabilità, per poi proporre una carrellata dei provvedimenti legislativi presi in Italia nel Novecento, in tema appunto di scuola e disabilità. Il settimo capitolo, infine, è incentrato sul tema del “mostrare i diversi” dalla presenza dei nani nelle corti occidentali antiche e moderne e della spettacolarizzazione dei “fenomeni da baraccone” tra Ottocento e Novecento. Chiude una sostanziosa bibliografia».
Sono dunque affrontate tutte le tipologie di disabilità?
«Mi occupo di disabilità fisiche, sensoriali e intellettive. A seconda delle diverse epoche, è stato possibile affrontare meglio alcune di queste tipologie. Ad esempio, mi sono reso conto delle enormi lacune storiografiche che esistono attorno alla disabilità intellettiva che, pur essendo quella maggiormente affrontata nella letteratura contemporanea (specie da un punto di visto medico e psicopedagogico), non lo è quasi per niente da un punto di vista storico. È questa un’altra spia del fatto che spesso, quando non sono i diretti interessati, per varie ragioni, a fare ricerca sul passato della disabilità, ne abbiamo scarsissime conoscenze. Volutamente non mi sono occupato delle disabilità psichiatriche poiché su questo tema gli storici, a partire dalle movenze dell’antipsichiatria, da Foucault, dalla critica delle istituzioni totali, hanno fatto, contrariamente alle altre disabilità, ricerca storica anche all’interno dell’accademia».
L’analisi si spinge fino a uno sguardo molto attuale, la “crisi del welfare”.
«L’ultimo capitolo affronta questioni relative alla contemporaneità. Non potevo non affrontare, brevemente, questa crisi. Rispetto ai secoli precedenti viviamo in una situazione paradossale: la disabilità è parte dello stato sociale, si sanciscono diritti, c’è la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, eppure si corre il rischio di un arretramento.
La crisi del welfare riguarda tutti, anche il mondo della disabilità, ed è una crisi che riguarda non lo spread, né questo o quel governo, ma il potere della politica di governare la società senza sottostare unicamente alle leggi di mercato. I tagli, i decreti sono ovviamente molto concreti, ma il problema più profondo è che la politica deve scegliere: diritti o barbarie? Quando non si scelgono gli uni (comprese le modalità di renderli concreti), automaticamente (e spesso con molte mistificazioni) si sceglie l’altra».
Ci sono temi o questioni che ti hanno particolarmente sorpreso nelle tue ricerche?
«Tutto il lavoro di ricerca per scrivere è stato molto appassionante e mi ha permesso di conoscere e approfondire molti argomenti. Ci sono però aspetti che mi hanno davvero entusiasmato. Anzitutto la scoperta di un articolo di Marinetti, il padre del futurismo, scritto nel 1916, in cui dice “donne dovete sposare i mutilati di guerra”, perché sono i portatori di una nuova filosofia ed estetica non solo del corpo, ma di tutto l’uomo. Tolta la retorica tipica di quell’epoca, mi sembrava di leggere un testo di cyberpunk degli Anni Novanta! Mi affascina poi sempre il discorso sui “fenomeni da baraccone”, su cui ho fatto un approfondimento che va dalle civiltà antiche al Novecento. Mi affascina perché mi pare completamente inumano ridere delle deformità altrui, mostrarle a fini economico-spettacolari, eppure per secoli questo spettacolo è stato del tutto normale, per le corti e per i ceti popolari. E poi le questioni culturali e simboliche mobilitate dai “fenomeni da baraccone” sono davvero innumerevoli e, come sempre, non riguardano solo la disabilità».
E l’immagine della copertina?
«È un particolare di un quadro di Hieronymus Bosch, un pittore geniale, che adoro, e decisivo anche attorno alle rappresentazioni della disabilità. Per altro, nel testo cito numerosi dipinti (molti dei quali in questi due anni di scrittura del testo ho visto dal vero), che a mio parere costituiscono una notevole fonte per studiare l’immaginario e le rappresentazioni anche in fatto di disabilità. Chi ha studiato la copertina aveva l’imbarazzo della scelta e l’opzione su Bosch mi è andata benissimo».
Ci sono già stati dei riscontri di critica e di pubblico?
«Il libro è uscito da un paio di mesi e, per parlarne, un libro dev’essere letto, discusso. Certo, i mesi estivi non aiutano molto, ma il libro non “scade”. Posso però essere contento di una bella recensione (di Goffredo Fofi su “Avvenire”), di un certo interesse da parte di alcuni studiosi, ma anche di persone legate al mondo della disabilità e di docenti universitari che hanno deciso di inserirlo nei loro programmi di esame. Come inizio non è male. La cosa che più mi interessa, in futuro (anche in presentazioni che si stanno pensando di organizzare), è di poter discutere non tanto del libro, ma dei temi affrontati».
Prossima tappa?
«Sto lavorando a una ricerca di dottorato, che svolgo in Francia, in storia sociale della disabilità tra Ottocento e primi del Novecento, con un interesse specifico sull’Italia e sulla città di Milano in particolare. Si tratta di un caso specifico, che vorrei usare come “banco storico-sociologico”, per cercare di fare emergere questioni storico-sociali e culturali più ampie. È infatti in quell’epoca che tutto il mondo della disabilità, emblematicamente rappresentato dalla questione degli infortuni sul lavoro, diventa sempre di più fenomeno intrinseco delle società umane, frutto dei “meccanismi sociali”. In quella fase, le disabilità non sono facilmente collocabili all’interno del sistema di divisione del lavoro che fonda, ancora oggi, le nostre società. Da qui una storia di meccanismi sociali e culturali che cercano di leggere e interpretare il fenomeno in modo articolato».