Caro Gianfranco Civolani, lo so: la vita è dura e il mondo è cattivo. C’è gente che ad ogni piè sospinto perde il lavoro perché – dicono – non ha saputo innovarsi. E sarà per questo che tanti come lei – politici, giornalisti, opinion-makers, pubblicitari, trascinatori di folle a qualunque titolo – ne pensano una al giorno pur di non perdere audience, sponsor e in definitiva money.
Nascosto dietro l’angolo, c’è sempre un “perfido” pronto ad approfittare dell’altrui passo falso per trarne vantaggio… Così capita che, resi poco guardinghi dal successo raggiunto, alcuni di costoro, un giorno, ne combinano una di grossa che li fa per un momento traballare sullo scanno.
Pensi – giusto per parlare a chi ne sa di calcio – ad Antonio Cassano con la storia dei “froci” [si riferisce a un’intervista concessa dal Nazionale di calcio, durante gli Europei del giugno scorso, sulla presenza di calciatori gay tra gli Azzurri, N.d.R.]. E così anche lei, Civolani, pare l’abbia combinata grossa con le sue dichiarazioni sulle Paralimpiadi. Poi, come Cassano e tanti altri dalla lingua più veloce del cervello, anche lei ha chiesto scusa e con questo crede che la partita sia finita.
A questo punto, vorrei ammonirla e consigliarla. L’ammonimento – niente a che fare con il cartellino giallo della calcistica ammonizione – è piuttosto semplice. Si guardi da chi accetta immediatamente le scuse. Lo sa che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Quando si offende qualcun altro perché lo si ritiene debole e incapace di nuocere, si sottovaluta l’“effetto boomerang”, anche a tempi medio lunghi. Ma eccomi al consiglio. Mi segua.
Primo: ha mai provato a raccontare una barzelletta sugli ebrei? Se lo facesse, una taccia di antisemitismo non gliela leverebbe nessuno. Ma se quelle storielle le racconta Woody Allen o Moni Ovadia, allora tutti a ridere! Idem dicasi a proposito dei neri, dei meridionali, degli omosessuali o per qualunque altro tipo di minoranza. Sapesse quante storie buffe si raccontano nel mondo dei disabili a proposito del “cieco che non ha visto”, del “sordo che non ha sentito”, del balbuziente ecc. Il “normodotato” che racconta una di quelle storie sganasciandosi dal ridere fa la figura dello “stronzetto” (mi perdoni il francesismo), mentre, se a raccontarle è un disabile – meglio se portatore del difetto specifico – ciò viene considerato un magnifico esempio di autoironia.
Secondo: lei ha un’idea precisa di cosa intendiamo quando parliamo di disabili o – come orrendamente dicono ora – “diversamente abili”? La sua dichiarazione, cui riconosco senz’altro il registro dell’iperbole, me ne fa dubitare. Con l’immagine delle «tre teste e quattro gambe», lei suggerisce l’idea della mostruosità più che della disabilità.
La sua generazione (classe 1935) ha memorizzato fin dall’infanzia il nome Cottolengo come evocatore di cose terribili. Ma oggi, grazie allo sviluppo sia sociale che tecnologico, dinanzi a problemi gravi e persino gravissimi, come quelli dei disabili o anche degli anziani, abbiamo appreso a pòrci in termini di sfida costruttiva e non di terrore paralizzante. E anche sull’estetica avrei qualcosa da dire. Si immagini di vedere, dal bordo di una piscina o al mare, una ragazza di vent’anni non vedente, Cecilia Camellini, mentre nuota [Cecilia Camellini ha vinto due medaglie d’oro e una di bronzo alle Paralimpiadi di Londra, N.d.R.]. Oppure se la figuri mentre al tavolino di un bar, consuma una bibita. Perché mai il Dottor Civolani dovrebbe girarsi dall’altra parte per non guardare? Non è che a quel punto il Dottor Civolani dovrebbe scavare nel proprio inconscio per individuare la radice di questo suo paralizzante sentimento?
Terzo: caro Civolani, come si diceva, il “mondo è cattivo”. Le hanno sollecitato delle scuse, lei le ha presentate, nessuno ci ha creduto, tutti hanno fatto finta e lei oggi è un po’ più debole di ieri. Tutto questo perché lei non si è difeso nel modo giusto. Vediamo un po’. Tutti noi l’abbiamo capito subito, ma lei ce l’ha confermato chiedendo scusa. Lei, dicendo quel che ha detto, si è qualificato come “diversamente intelligente”. Altro che tre teste! Lei ha già dei problemi con quel contenitore che le serve per separare le orecchie. Ma di fronte al suo caso, noi non ci giriamo dall’altra parte, non cambiamo canale. Noi potremmo usare anche con lei il criterio della “sfida costruttiva” e tentare il suo recupero. Come terzo passo di questo articolato consiglio, c’è che lei si faccia certificare una forma di disabilità cognitivo/caratteriale. In città [Bologna, N.d.R.] non mancano gli specialisti in grado di arrivare alla diagnosi, a partire da una documentazione già disponibile.
Se mi ha seguito, anziché offendersi, capirà il perché della richiesta. Se lei fosse un disabile certificato, le sue battute, ancorché di dubbio gusto, rientrerebbero nella categoria dell’autoironia e come tali sarebbero apprezzate. Solo un disabile, infatti, può fare battute sulla disabilità senza essere reputato “politicamente scorretto” o, per meglio dire, come uno…
Con cordiale disistima.