«C’è almeno un aspetto positivo in tutta questa vicenda – ha dichiarato nei giorni scorsi il farmacologo Silvio Garattini – ovvero che a quell’epoca non si pensava proprio che fosse possibile un simile effetto di una sostanza chimica sulla riproduzione e fu proprio dopo la vicenda del talidomide che è diventato obbligatorio fare dei test per vedere gli effetti in gravidanza. Questo e l’introduzione della farmacovigilanza hanno fatto sì che in cinquant’anni anni non ci siano più stati casi così gravi».
Abbiamo voluto incominciare da qui, proprio perché di altri aspetti “positivi”, in questa tragica vicenda lunga più di mezzo secolo, è assai difficile individuarne. Ce ne siamo già occupati varie volte, del talidomide (o thalidomide), una delle sostanze che hanno maggiormente segnato la storia della farmacologia moderna, contrassegnando il più grave scandalo del dopoguerra in questo settore, come documentato anche nell’ampia scheda qui in calce riportata.
In sostanza, il farmaco creato dalla ditta tedesca Chemie-Grünenthal venne commercializzato anche in Italia – tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta – come sedativo, antiemetico e ipnotico, rivolgendosi in particolar modo alle donne in gravidanza. Venne ritirato dal commercio solo in seguito alla scoperta che le persone trattate con esso stavano dando alla luce neonati con gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti, come l’amelia (assenza degli arti) o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti).
Ebbene, nella primavera di quest’anno, avevamo dovuto denunciare un altro scandaloso passaggio di questa storia infinita, riprendendo la denuncia di Nadia Malavasi, presidente di TAI ONLUS, l’Associazione Thalidomidici Italiani, che aveva dichiarato come «dopo oltre cinquant’anni di battaglie contro un sistema che ha negato l’esistenza stessa della questione del talidomide e delle gravissime menomazioni fisiche subite da centinaia di persone e dopo il lunghissimo iter parlamentare per veder riconosciuto un seppur minimo indennizzo previsto dalla Legge 244/07, ad oggi l’apparato burocratico dello Stato ha riferito ad oltre cento persone – in attesa da anni di ottenere Giustizia – che “non ci sono fondi” sufficienti per erogare gli indennizzi dovuti! Senza dimenticare che ben nove persone affette dalle invalidanti conseguenze del talidomide, illegittimamente escluse dall’indennizzo da parte di Commissioni Mediche Militari che hanno clamorosamente ignorato le evidenti patologie riconducibili al farmaco incriminato, sono ora in procinto di ricorrere all’Autorità Giudiziaria per veder riconosciuti i propri diritti».
E i primi responsabili di tutto ciò, ovvero la ditta tedesca Chemie-Grünenthal? «Per cinquant’anni solo un muro di gomma», come ha recentemente ricordato Vincenzo Tomasso, vicepresidente di TAI ONLUS.
Ora, però, qualcosa è successo, ovvero che l’azienda ha deciso di riconoscere la propria responsabilità, porgendo le proprie scuse ufficiali, il 31 agosto scorso, in occasione dell’inaugurazione di un memoriale dedicato proprio alle vittime del talidomide, con una statua scolpita da Bonifatius Stirnberg e costata – pare – 5.000 euro, a Stolberg, città ove ha sede la compagnia. «Per cinquant’anni – ha dichiarato per l’occasione l’amministratore delegato Harald Stock – non siamo riusciti a parlare con le vittime e le loro madri. Invece siamo rimasti in silenzio, e ci dispiace molto per questo. Il talidomide sarà sempre parte della storia della nostra compagnia. Noi abbiamo una responsabilità e la affrontiamo apertamente». La «affrontiamo apertamente»? Più di cinquant’anni dopo?… Parole che a parer nostro, così come tutta la drammatica vicenda, si commentano da sé. Le lasciamo all’opinione dei Lettori. (Stefano Borgato)
Il più grande scandalo farmaceutico del dopoguerra
«I Thalidomidici – leggiamo nel sito di TAI ONLUS – sono persone con varie disabilità soprattutto agli arti (dismelie, amelìe ecc.), causate dall’assunzione durante la gravidanza delle madri del principio attivo talidomide (o thalidomide), venduto in Italia ufficialmente dal 1959 al 1962. Nel nostro Paese non siamo mai stati censiti e alla nostra Associazione partecipano, per ovvi motivi di interessi comuni (protesi, ausili), anche amelici e dismelici per altre cause».
Anche Superando ha seguito ampiamente la lunga “battaglia di cinquant’anni” per il riconoscimento dei danni provocati da quel farmaco, che aveva portato all’approvazione del Decreto del Ministero della Salute n. 163 del 2 ottobre 2009, pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2009 (si legga in tal senso, nel nostro sito, il percorso legislativo avviato dalla Legge 27/06 che all’articolo 3, aveva per la prima volta riconosciuto la patologia «sindrome da talidomide», passando poi per la Legge 244/07, articolo 2, comma 363 – la Finanziaria per il 2008 – che aveva riconosciuto la necessità dell’erogazione dell’indennizzo alle vittime italiane del farmaco).
La medicina incriminata – prodotta dalla ditta tedesca Chemie-Grünenthal e utilizzata come sedativo, antiemetico e ipnotico, rivolgendosi in particolar modo alle donne in gravidanza – portò a migliaia di casi di malformazioni neonatali (embriopatia talidomidica o thalidomidica) e morte perinatale in tutto il mondo. Si stima in tal senso che oltre 20.000 bambini nel mondo, di cui migliaia in Europa, siano nati affetti da focomelia, un raro difetto che impedisce la crescita delle ossa lunghe. Il farmaco fu pertanto bandito – pur con grave ritardo nel nostro Paese – all’inizio degli anni Sessanta.
Dal 2004 l’Associazione TAI ONLUS lavora per il riconoscimento dei diritti dei Talidomidici, oltreché per coadiuvare la farmacovigilanza, affinché non si ripeta più la “strage” dei bambini focomelici.