Qualcuno ha detto: è stato come il passaggio dalla TV in bianco e nero a quella a colori in alta definizione. E altri: lo sport ci ha portato in un’altra realtà. Appunto: un’altra. Paradise, cantavano i Coldplay, in una festosa e divertente cerimonia di chiusura dei Giochi Paralimpici di Londra e all’Olympic Park si stava davvero in Paradiso: tutto accessibile, le persone viste come tali e non per la loro condizione. Ora ci si deve svegliare, si scende dal luna park paralimpico.
Il mondo è quello che abbiamo vissuto a Londra in questi dieci giorni? Cominciano a chiederselo, qui in Inghilterra, ma non solo: abbiamo forse vissuto in una grande “bolla paralimpica” e il mondo reale è un altro?
La domanda non è mal posta. Lo sport paralimpico, infatti, è più avanti della società. Chi ha visto le immagini che arrivavano da Londra lo ha capito. Dopo pochi minuti la disabilità scompariva, o meglio, rimaneva come condizione, ma l’attenzione era all’atleta. Il mondo era quello che dovrebbe essere: ognuno, con le sue differenze, a esprimere valori e umanità.
Cosa ti ha colpito quando sei arrivato? L’asfalto, ha detto Glen Shorey, 18 anni, studente, in carrozzina per una malattia genetica, giunto al Parco Olimpico. «La superficie è così liscia e bella. Normalmente non è così, di solito è irregolare e scomodo». Non un’osservazione banale. Accessibilità e inclusione. I Giochi di Londra sono stati questo prima di tutto.
Sempre Glen: «Chi incontravo guardava me, parlava con me, si rivolgeva a me. Di solito parlano con chi mi accompagna o mi spinge la carrozzina, anche per fare domande a me». Altra osservazione non banale. I Giochi hanno mostrato il mondo per tutti.
La Paralimpiade di Londra sarà un punto fermo nel pensare al nuovo. Sebastian Coe, presidente del Comitato Organizzatore di Olimpiade e Paralimpiade (altra novità: prima i Comitati Organizzatori erano diversi), ha dichiarato: «In questo Paese non penseremo più alla disabilità nello stesso modo». Inspire a generation, “ispirare una generazione”: era il motto di questi giorni.
Le centinaia di migliaia di persone che hanno affollato stadi e impianti (mai successo prima) e i milioni di telespettatori (anche in Italia, non invece negli Stati Uniti, dove la NBC ha trasmesso in differita pochissime ore) porteranno nel cuore e nella mente ciò che hanno visto e vissuto. E speriamo ne facciano tesoro per cambiare il mondo.
Da oggi si chiude. Si torna alla vita reale. Abbiamo davvero vissuto in una bolla per dieci giorni?