Vivere e insegnare lo sport, per una società senza barriere

Intervista a Galliano Marchionni di Manuela Romitelli
Continuiamo a presentare le interviste curate per noi da Manuela Romitelli, con persone abruzzesi dalle storie “molto speciali”. Ed è la volta di uno sportivo plurititolato, vale a dire Galliano Marchionni, già campione italiano di basket in carrozzina con la Santa Lucia Roma e, in Nazionale, campione europeo nel 2009 e “fresco” reduce dalle Paralimpiadi. Marchionni è anche istruttore della squadra di minibasket in carrozzina di Giulianova
Galliano Marchionni alle Paralimpiadi di Londra 2012
Galliano Marchionni alle Paralimpiadi di Londra 2012

Si sono appena conclusi i Giochi Paralimpici di Londra. Sono stati giorni intensi di gare, di emozioni, di soddisfazioni. Ma anche di sconfitte. «Finita! Finita nel peggiore dei modi, battuti anche nella finalina contro il Giappone. Vorrei scrivere tante cose, raccontarvi i perché, spiegarvi come mai… ma non sarebbe giusto, anche perché nello sport alla fine conta il risultato, mentre le chiacchiere stanno a zero»: queste sono le ultime parole scritte da Galliano Marchionni, nel diario che ha tenuto all’interno del sito Roseto.com, durante la sua permanenza a Londra.
Galliano, numero 8 della Nazionale Italiana di basket in carrozzina, classificatasi al decimo posto. Un decimo posto sofferto, non all’altezza del valore di questa squadra. Ma si sa, a volte bisogna ripartire dagli errori, per ricominciare e rialzarsi più forti di prima.
Classe 1981, Galliano ha una storia molto particolare da raccontare, quella di un giovane uomo dai grandi valori sportivi e umani.

Galliano, come ti sei avvicinato al basket in carrozzina?
«Sono nato con una malformazione ai piedi, denominata “piede torto congenito bilaterale”. Ho subìto due interventi, di cui uno a soli tre anni. Devo dire però che grazie a questi interventi e alla fisioterapia non ho avuto particolari problemi motòri, sia per l’ottima riuscita delle operazioni e sia per il problema comunque lieve legato alla mia malformazione. Per questo motivo, nello stesso anno in cui sono nato, mio padre fondò la Polisportiva Amicacci di Giulianova (Teramo) e sin da piccolo mi è letteralmente scoppiata la passione per il basket in carrozzina, uno sport molto completo, avvincente e soprattutto intelligente».

Di cosa ti occupi attualmente?
«Sono laureato in Scienze del Turismo Culturale e da circa sette anni collaboro con la mia famiglia e altre persone nella gestione di uno stabilimento balneare per disabili a Giulianova. Durante il periodo invernale, oltre a giocare, sono istruttore della squadra di minibasket in carrozzina di Giulianova: gli Amicuccioli».

Gli Amicuccioli fanno quindi parte di qualcosa di molto importante nella tua carriera sportiva…
«Fin da quando giocavo a Cantù sognavo di avere una realtà come questa. Dopo tanti anni, grazie all’aiuto di tante persone, siamo riusciti a creare e soprattutto a partecipare al primo campionato di minibasket in carrozzina».

Qual è la gioia più grande che ricordi con maggiore emozione?
«Fino ad oggi, la gioia più grande, riguardo allo sport, è certamente la medaglia d’oro vinta nel 2009 con la Nazionale Italiana, ai Campionati Europei di Adana in Turchia. Quella medaglia ha avuto un sapore molto particolare, perché ha sancito la mia consacrazione ad alti livelli in questo sport.
Nella mia vita personale, invece, le gioie più grandi sono la mia compagna Erika – che mi è sempre stata vicina sostenendomi anche nello sport e soprattutto permettendomi di andare a Londra – la nostra bambina Aida di 3 anni e il piccolo che dovrebbe nascere in questi giorni. Anzi, la mia paura era che nascesse mentre ero a Londra e anche per questo ringrazio Erika per non avermi fatto pesare la mia lontananza. Loro sono davvero tutto per me».

Nazionale di basket in carrozzina alle Paralimpiadi di Londra
Galliano Marchionni (il primo a destra, con il numero 8), insieme ad alcuni compagni della Nazionale di basket in carrozzina, prima della partita contro la Spagna alle Paralimpiadi di Londra

La tua vita ruota intorno alla disabilità. Cosa diresti a un ragazzo che convive con una disabilità e vuole avvicinarsi allo sport?
«Sicuramente per raggiungere livelli alti, in qualsiasi contesto, ci vogliono ottimismo e voglia di lottare. Nel campionato di minibasket in carrozzina, di cui mi occupo ormai da sette anni, alla base di tutto vi è il pensiero principale che la disabilità non esiste. Cerco con questo di spingere ogni ragazzo a provare a spingersi verso i propri limiti, e di conseguenza a non accettare l’idea di rassegnazione che può derivare dalla propria disabilità.
Ovviamente tutto è relativo, ma con questo spirito di sicuro il loro limite si sposterà molto più lontano da quello di partenza. La partecipazione al campionato della squadra di Giulianova è stata studiata e ideata proprio con questa prerogativa, cercando appunto di creare una convinzione tale da poter stimolare una propria autonomia.
Chi non mi conosce può farmi notare, giustamente, che questo mio modo di pensare è legato al fatto che “di disabilità io non ho proprio nulla” e che di conseguenza tutte queste parole sono solo chiacchiere dette da uno qualsiasi. Chi invece mi conosce sa che mi sono ben note molte sfaccettature di questo mondo e che i risultati ottenuti nel tempo con ragazzi che da anni seguono e partecipano al campionato mi danno ragione in pieno».

Quindi lo sport che ruolo ha nella vita di ognuno?
«È quasi superficiale dire che lo sport sia fondamentale per la vita di ognuno di noi, ma va ribadito come sia determinante invece per la vita di un ragazzo con disabilità. Praticare sport, infatti, rappresenta un punto di partenza verso una vita “normale”. Attraverso lo sport ci si abitua a perdere, a vincere, a sudare, a combattere e a fare sacrifici per raggiungere degli obiettivi! Tutto ciò ci prepara e ci allena poi ad affrontare le tante difficoltà che la vita e soprattutto la società ci crea quotidianamente».

Secondo la tua esperienza, qual è il problema principale per una persona con disabilità?
«Non è la disabilità stessa, bensì la nostra società, con tutte le sue barriere (mentali, sociali, economiche, architettoniche ecc.)».

Raccontaci un aneddoto particolare della tua vita sportiva.
«Eravamo a Taranto, avevamo appena perso una partita importante. Arrivati al ristorante, il presidente – che era abbastanza arrabbiato – chiese alla cameriera di portare subito gli antipasti. Eravamo una dozzina di atleti, e oltre allo stato psicologico in cui eravamo, la nostra fretta era legata al fatto che ci aspettavano circa cinquecento chilometri per tornare a casa. La cameriera rispose: «Mi scusi, ma non lo vede che sono da sola? Io ho solo due gambe e due braccia!». A quel punto il mio compagno bi-amputato disse «beata te!» e nel contempo si sfilò prima una protesi, poi l’altra e le appoggiò sul tavolo, e poi disse «io non ho neanche quelle!». A quel punto, la cameriera impallidì e quasi sveniva, mentre noi ci lasciammo andare a una risata liberatoria».

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