«Ognuno deve fare la sua scelta, liberamente», scrive Giovanna Palma; «chiedo che i sordi adulti siano protagonisti della loro vita», aggiunge Marco Luè. È questo lo spirito che accomuna le due opinioni cui ben volentieri diamo spazio oggi, le quali, per tutto il resto, sono di segno ben diverso da quella di Paolo De Luca, da noi pubblicata nei giorni scorsi, con il titolo No ai ritorni al passato, che aveva preso spunto dalla notizia dell’assunzione di una persona sorda madrelingua di LIS (Lingua Italiana dei Segni), per insegnare la propria lingua all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Ma come sempre – nel nostro sito – se ben motivate ed espresse con passione, tutte le opinioni più varie trovano e troveranno spazio, certi, come siamo, che solo da un civile e costruttivo confronto – anche aspro – possa crescere la cultura sociale, “superando” certi steccati. Specie quando, come scrivevamo all’inizio, lo spirito e l’obiettivo comune è che le persone sorde (e tutte quelle con disabilità) possano essere protagoniste della loro vita.
«No ai ritorni del passato» [titolo dell’opinione di Paolo De Luca, da noi pubblicata nei giorni scorsi, N.d.R.]: è una frase che condivido appieno! No ai tempi in cui i sordi comunicavano con i gesti dietro alle “porte”, per non farsi picchiare. Sì al rispetto e alla libertà di espressione in qualunque forma essa sia.
La libertà è stata una grossa conquista per l’uomo, ma nonostante ciò l’uomo continua a minacciarla. La Lingua dei Segni è stata studiata in campo scientifico dai linguisti, prima in territorio americano, con il gruppo di ricerca capitanato da William Stokoe e successivamente in Italia, grazie al CNR di Roma e ai testi prodotti dalla ricercatrice Virginia Volterra e collaboratori, evidenziando che i movimenti manuali e gestuali dei sordi corrispondono a una vera e propria lingua. Solo conoscendo la pratica di una lingua, si può affermare quanto le loro scoperte siano assolutamente veritiere.
Sono i pregiudizi e gli stereotipi sull’abbattimento dei gesti e dei segni – fondati da secoli sul “nulla”, sul non aver mai provato neanche a conoscere le basi di quella che noi chiamiamo lingua – che portano ai “ritorni del passato”, al comandare, all’evitare senza ascoltare!
Noi, “sordi segnanti”, la chiamiamo Lingua dei Segni, non per il semplice piacere di vantarci o di aggrapparci alla “nullità”, ma grazie ai corsi frequentati, ai libri letti, agli studi teorici e pratici, alla comunicazione segnica con i nostri amici sordi segnanti.
Noi non esprimiamo giudizi fondati sulla paura, sull’allontanamento, ma sullo studio, sull’empatia, sull’empowerment [crescita dell’autoconsaopevolezza, N.d.R..], sul nostro essere persone sensibili e sulla capacità di relazionarci con persone che hanno la nostra stessa problematicità: non sentire le voci, i rumori, i suoni, le risate, i pianti, le dolci e/o accattivanti parole di un testo musicale, un «Ti Amo» detto con le corde vocali della persona amata.
Solo nella pratica si può scoprire l’autenticità dei risultati scientifici odierni. L’Università – che non ha bisogno di difese – si avvale di ricerche scientifiche, fondate e dimostrate. No, quindi, ai ritorni del passato basato sulla paura dei segni!
Oggi le persone sorde lottano molto sulla modalità linguistica preferita, e non tutti i sordi hanno le stesse preferenze. Questo è sicuramente un fatto positivo, ma diventa complicato nel momento in cui si vuole evitare all’altro di esprimersi nel modo in cui lo ritiene naturale e giusto di fronte a una cerchia di persone.
A tutte le persone sorde non possiamo chiedere un solo modo di comunicare, o l’italiano o la Lingua dei Segni (LIS). Dovremmo insegnarle entrambe, senza evitare nulla, ma aggiungendo anche altre lingue: inglese, francese, tedesco e così via. Meglio dare di più che togliere e resistere all’ignoranza!
I sordi che chiedono il rispetto della LIS, che la ritengono la loro lingua naturale, sono persone che hanno la capacità di esprimersi in modo perfettamente linguistico anche in italiano, sono dei perfetti bilinguisti. Ad oggi, la maggior parte dei sordi bilinguisti è di giovane età. Quelli che non riescono ad esprimersi in modo perfetto sono coloro che non hanno ricevuto un metodo educativo adatto alle loro capacità, come è successo purtroppo ai “figli del passato”, nel tempo in cui esisteva un unico metodo orale che non ha saputo produrre effetti positivi, linguistici e culturali, nei confronti di tutti i suoi allievi sordi.
Non comprendo pertanto il motivo di voler usare un unico metodo, che per due secoli ha prodotto risultati negativi, rovinando la situazione culturale di molti sordi. Non è possibile pretendere solo sulla base di alcune esperienze personali positive, che si insista su modalità educative che hanno prodotto benefìci solo su un quinto della popolazione sorda. No ai ritorni del passato!
Si discute troppo del modo di comunicare, si sprecano facilmente risorse preziose solo per lacerare le libertà altrui. Dov’è la libertà di scelta? dov’è la libertà di parola? Se alcune persone sorde chiedono il riconoscimento della Lingua dei Segni e raccontano le loro motivazioni attraverso narrazioni, libri, film, teatro, canti in LIS, perché voler abbattere questa libertà di espressione? Nessuno impone la LIS a nessuno, ma le persone “oraliste” non possono imporre che essa venga vietata: a quale titolo, con quale coraggio, con quale sensibilità, con quale assioma?
Credo tuttavia che tutte le discussioni, i mancati confronti, le urla di ciò che si desidera, rischino di deviare dal vero problema, che è quello del non sentire! Si è troppo concentrati nell’affrontare il problema solo a livello linguistico, comunicativo e sociale da parte dell’udente, rischiando che la nostra vera invisibilità venga dimenticata, arginata: in qualunque forma io parli, infatti, se la persona udente non terrà conto del mio problema, io sarò sempre escluso dalle comunicazioni verbali quotidiane.
Un esempio semplice: perché in TV i sottotitoli non sono presenti 24 ore su 24? I sottotitoli non sono scritti in LIS, ma in italiano: come mai le associazioni a favore della lingua orale non utilizzano le loro splendide risorse sulla conquista di servizi utili a tutti, che aiuterebbero molto a farci sentire persone che appartengono al mondo che ci circonda? E inoltre, perché chiedere ai sordi di non incontrare altri sordi? E quando le persone udenti mi incontrano e apprezzano il mio parlare bene, io non riesco ad apprezzare la loro mancanza di rispetto, perché troppo spesso si dimenticano della mia presenza sorda. Come posso costruire la mia identità se non posso conoscere la verità sul mio essere, sui miei simili? Se le persone con problematiche analoghe si incontrano per confrontarsi e ciò per loro produce benefìci nel momento in cui condividono le criticità, le difficoltà di un problema comune, perché per i sordi non deve avere valore la stessa regola?
Io voglio parlare: oralmente e segnicamente. Ognuno deve fare la sua scelta, liberamente, e nessuno – sordo o udente – deve vietare la libertà, in questo caso la libertà d’espressione all’altro. E se fiction TV come L’amore è sordo o canti come quelli del Gruppo ABC LIS non sono graditi, cambiate canale, ne abbiamo un’infinità oggi, grazie al digitale terrestre.
Se un sordo oralista pubblicherà un film o un libro sulla sua storia, io cercherò di capire quello che ha provato, quello che ha sentito e per questi motivi sarò in grado di rispettare la sua scelta e di sentirlo mio fratello.
Per questo condivido e dico con Paolo De Luca, con i suoi amici e “nemici”: No ai ritorni del passato!
Giovanna Palma
Leggo in Superando.it una considerazione di Paolo De Luca, presidente dell’APIC di Torino (Associazione Portatori Impianto Cocleare), il quale vede come un possibile “regresso culturale” il fatto che l’Università Ca’ Foscari di Venezia abbia assunto un sordo come docente specializzato in LIS (Lingua Italiana dei Segni), per dare maggiore sostegno a quei corsi sempre più richiesti in quell’Ateneo, dove da ben dieci anni (esattamente dal 2002), si insegna appunto la LIS come lingua di specializzazione.
Il signor De Luca non chiarisce se è sordo egli stesso o se è il familiare di un “sordo impiantato” [si intende di persona sorda sottoposta a intervento di impianto cocleare, N.d.R.], ma in quest’ultimo caso ritengo che egli sia stato indottrinato dai “luminari dell’impiantologia», ma in modo assai distorto, poiché io stesso – come studioso della storia dei sordi e dei miei simili che si riconoscono nella loro associazione nazionale, l’ENS [Ente Nazionale dei Sordi, N.d.R.] – non posso ignorare che per secoli, e fino appunto alla fondazione dell’ENS, risalente al 1932, i nostri avi sordi non potevano nemmeno istruirsi, se non avevano alle spalle una famiglia agiata che permettesse l’istruzione privata.
Ancora oggi «devi essere sordo per capire», strofa più volte ripetuta nella poesia del sordo americano Willard J. Madsen, che il grande sordo italiano Francesco Rubino – al quale è anche dedicata una via a Milano – amava per il contenuto: «A me – diceva – questa poesia piace. Mi commuove, mi convince, mi esalta. Contiene, essa, delle grandi e profonde verità intorno alla sordità».
Mi angustia, quindi, che un sordo, o un familiare o amico dei sordi, possa esprimersi come ha fatto Paolo De Luca, ripetendo frasi irridenti ai sordi, come «ritorno al passato», in relazione alla conoscenza e alla diffusione della Lingua dei Segni. Proprio in passato, anzi (si veda la storia del Congresso Internazionale degli Educatori dei Sordi, svoltosi a Milano nel 1880), si era imposto ai sordi di impiegare solo la lingua verbale e così fu fatto (invano) anche nelle ex scuole speciali (costrette al ridimensionamento dalla Legge 517/77), dove a lezione si usava il linguaggio verbale, mentre, dopo le lezioni, i sordi, fra loro, usavano – e usano – la scorrevole e pratica Lingua dei Segni. E che male c’è? In tutto il mondo, infatti, la maggior parte dei sordi usano, per praticità, la Lingua dei Segni.
Io sono sordo totale dall’età evolutiva. Ora, anzianotto di 71 anni, con amici sordi e udenti, parecchi di alta cultura, credo di aver maturato esperienze utili, contrastanti, impegnative a tutto campo, anche di “cultura sorda” internazionale, avendo preso parte, come Vip-TD, Technical Delegate, a ben cinque “Olimpiadi Silenziose”, anche a Los Angeles nel 1985 e a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel 1989, partecipando ai Congressi del Comité International Sport des Sourds (CISS), dove era necessario esprimersi in Lingua dei Segni internazionale, oltre a ben comprenderla.
Se il signor De Luca – non so con quali esperienze – ha teorie distorte di cosa significhi essere sordo, dovrebbe evitare di affermare quanto non sa, di dire ad esempio che «quindici anni di battaglie nella società e presso le Istituzioni sono stati necessari, da parte dei Cittadini con disabilità uditiva e delle loro associazioni, per far cancellare il termine muto [Legge 95/06, N.d.R.]», ignorando che cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia: io parlavo prima, magari non melodicamente, e parlo allo stesso modo ora.
Voglio e chiedo, quindi, che i sordi adulti siano protagonisti della loro vita e della loro storia.
Marco Luè