Melog è uno dei programmi radiofonici di maggior suggestione, condotto su Radio 24 da un autentico “prestigiatore” del mezzo radiofonico, Gianluca Nicoletti. Una volta era Golem, su Radiorai. Là ci conoscemmo, virtualmente e non solo. Io sono stato, in quel periodo (attorno al 2003), il suo “golem a rotelle”, in un fortunato scambio di idee sulla disabilità e sulla sua rappresentazione virtuale.
Ora succede che Nicoletti, il 14 settembre, dedichi una puntata, fatta di quarantadue minuti filati di parole, interviste e testimonianze, attorno a un concetto preciso: «Oggi a Melog – aveva scritto lo stesso Nicoletti sulla pagina Facebook del programma – faremo un punto sulle ansie e le legittime angosce di quanti sono disabili o ne hanno uno in famiglia e che di fronte ai provvedimenti di riduzione della spesa pubblica, potrebbero vedersi limitare risorse indispensabili alla sopravvivenza. Quello che per la maggior parte degli italiani è stringere la cinghia per un disabile significa essere strangolato».
Bene, durante il programma, il giornalista riceve, tra i tanti, due SMS. Il primo: «Nicoletti, se avessi avuto una figlia velina, avresti parlato tutti i giorni di f…?». Il secondo: «Non le sembra di fare un uso privato della radio?».
Succede. Anche nel blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», cui chio scrive collabora, ogni tanto qualche riflessione sulla disabilità attira commenti pesanti, irritati, grevi. Anche Nicoletti è abituato al “massacro degli anonimi”, che si celano dietro la comodità di un cinismo multimediale, travestito da social network o da interattività radiofonica. Ma questa volta ha voluto rendere nota la sua amarezza, il suo fastidio. Non per sé, ma perché ha immaginato, in un istante, quante volte situazioni analoghe vengano vissute quotidianamente da chi rimane davvero “invisibile” e non ha la forza, e neppure la corazza, che io ed altri abbiamo collaudato nel tempo. Ecco perché oggi io sto con Nicoletti.
Perché è bello è importante che un giornalista bravo e con un forte seguito di ascoltatori dica con trasparente onestà di essere anche il padre di un ragazzo con sindrome autistica. Lo fa sapere dopo dodici minuti dall’inizio della puntata, in modo semplice: «Conosco bene il problema, ho un figlio disabile». Si chiama Tommy e la sua disabilità è nascosta nei misteri del cervello, non è sgradevole o esposta fisicamente, ma non per questo è meno impegnativa, anzi.
Ma il punto è questo: perché non dovrebbe parlarne? Perché suscita ironia o, peggio, provoca commenti pesanti il fatto che una puntata su cento di Melog affronti un tema di bruciante attualità, senza pietismo, senza retorica, dando voce a persone pacate e ragionevoli che raccontano le difficoltà spesso drammatiche che caratterizzano, nel pieno della crisi della spesa pubblica, la vita delle famiglie in cui vivono persone con disabilità?
Ne abbiamo parlato insieme, chiacchierando virtualmente con skype, e proseguendo al telefono. Ecco che cosa Nicoletti mi ha restituito, di questa conversazione: «Caro Franco, ci siamo conosciuti a un premio giornalistico tanti anni fa a Milano. Eravamo entrambi premiati, ma mi ricordo che a festa finita ti avevano lasciato solo a combattere con degli scalini. Così siamo diventati amici. Sai, non è che abbia mai avuto particolari vocazioni a trattare temi sociali. Mi ha sempre affascinato l’immateriale e l’immaginario. Ci sono arrivato quando ho cominciato a riflettere su quelle che chiamo “protesi emozionali”. Ho capito che in realtà oggi senza protesi nessuno di noi potrebbe avere una vita emotiva e relazionale adeguata alla contemporaneità. Uso la mia protesi skype per chiacchierare con te. Uso la mia “estensione tastiera” per scrivere. Uso il mio tablet per interagire con migliaia di persone all’unisono e mi sta bene di appoggiarmi a protesi per sentirmi umano.
Ora penso che se l’umanità interconnessa riflettesse sul fatto che tutti usiamo protesi, potrebbe maturarsi una nuova sensibilità verso chi grazie a queste protesi di uso collettivo può anche sollevarsi da quelle che concretamente gli ricordano quello per cui è meno avvantaggiato rispetto ai suoi simili. Invece mi rendo conto che quello spirito anticonformista e un po’ cattivello che era agli inizi della storia di internet l’allegra cifra distintiva di noi pionieri, ora è diventata la funerea nota comune dell’abuso di massa degli strumenti di socializzazione in rete. Ogni venditore di aspirapolvere incattivito si sente in diritto di sparare contro tutto e tutti coloro che lui ritenga abbiano usurpato spazi nei media. È il lato oscuro dell’esplosione di una nuova forma di partecipazione politica, di cui oggi molto si discute.
A me la politica non affascina, ma mi interessa osservare questa “trolleria di massa”, da molti fraintesa come “democratica maniera di esprimere liberamente il proprio pensiero”. Di solito osservo e basta, ma quando questo cyberbullismo da dopolavoristi alla tastiera tocca le categorie dei disabili, mi incazzo di brutto. Accadde quando il professore di musica scrisse su Facebook che si auspicava la Rupe Tarpea… Di nuovo quando lessi di una collega che temeva che il suo bimbo si spaventasse a vedere un disabile in classe… E ancora di più con i tipi di Umoremaligno.it che cercavano di far parlare di sé giocando sulla cattiveria di maniera verso i ragazzi con handicap [si vedano qui di fianco i testi del nostro sito dedicati ad alcune di queste vicende, N.d.R.].
Giorni fa ho ripreso l’argomento, secondo me di pubblico interesse, dei tagli indiscriminati nel campo del sociale. Chiunque dovrebbe prestarvi attenzione, non solo chi ha un disabile in famiglia, ma possibile che non venga in mente che la disabilità non sempre è un dono che si ha dalla nascita… In questa puntata di Melog, naturalmente, ho parlato del mio ragazzo autistico, aveva telefonato un’ascoltatrice con un problema di sostegno in classe e le ho risposto sulla mia esperienza. Non ci trovo nulla di vergognoso a parlare del mio Tommy autistico, non ho mai avuto pudore nel farlo, anzi son tanto contento di mio figlio, anche se mi mangia la vita! Anche questa volta i soliti cretini hanno mandato SMS per dire che si erano stufati a sentirmi parlare di handicap, addirittura uno ha scritto: “Nicoletti se avevi la figlia Velina parlavi sempre di figa?”.
Che devo dire, ho postato i messaggi sul mio profilo Facebook. Non per fare la vittima, chi se ne frega. Solo che ho pensato che io ho la fortuna di avere spazi di risposta all’idiozia, ma la maggior parte di quelli nella mia situazione familiare ogni giorno devono mandare giù il boccone amaro e stare zitti. Per questo ho pure fondato con amici generosi un’associazione, Sguardi Laterali…. Con me non la passeranno mai liscia».
Neanche con noi, a dire il vero. Grazie, Gianluca. Alla prossima.