Le amiotrofie spinali o atrofie muscolari spinali (SMA) sono un gruppo di patologie dovute alla degenerazione delle cellule delle corna anteriori del midollo spinale, cellule deputate all’innervazione motoria della muscolatura scheletrica.
Ne esistono diverse forme e si discute tuttora su quale sia la classificazione più corretta. In termini generali si tratta di un gruppo di malattie ereditarie, piuttosto frequenti nell’età evolutiva, caratterizzate da ipotonia muscolare (riduzione del tono muscolare ed eccessivo rilasciamento del tessuto), difetto di forza – nelle forme più diffuse – generalizzato, ma prevalente a carico della muscolatura prossimale degli arti (quella più vicina al tronco), e riduzione/assenza dei riflessi osteotendinei.
Forme e classificazioni
Una prima, grande divisione, va fatta tra forme legate al cromosoma 5, ovvero al gene SMN1 e forme non legate ad esso. Generalmente, quando si parla di amiotrofia spinale, ci si riferisce al primo gruppo e tuttavia il secondo gruppo comprende:
– forme con difetto di forza a prevalente distribuzione distale (i muscoli più lontani dal tronco);
– forme con difetto di forza a distribuzione scapolo-peroneale;
– forme legate al cromosoma X;
– forme associate ad anomalie a carico del sistema nervoso centrale (SNC).
Non per tutte queste forme è stato individuato il gene responsabile, ma per molte di esse oggi è noto ed è diverso dal gene SMN1.
Tornando al gruppo legato al cromosoma 5, si può dire che esista una grande variabilità clinica, che va dalla forma gravissima, con esordio in genere molto precoce (primi giorni o mesi di vita, a volte addirittura nella vita intrauterina), a forme molto più lievi, con esordio più tardivo.
Va segnalata inoltre la presenza di una forma ad esordio abitualmente in età adulta e prognosi favorevole, la cosiddetta forma IV, che può non presentare la classica delezione del gene SMN1.
In ogni caso la classificazione tradizionale prevede la distinzione in tre grandi gruppi:
– SMA I o malattia di Werdnig-Hoffman;
– SMA II o forma intermedia;
– SMA III o malattia di Kugelberg-Welander.
Recentemente si è aggiunta la forma 0, a esordio nella vita intrauterina.
Va ricordato per altro che le varie forme non sono sempre nettamente distinguibili e che proprio in base all’estrema eterogeneità clinica è stata proposta una revisione della classificazione, organizzandola su base decimale: ad esempio, dalla SMA 1.0 (cioè la “classica” forma I) alla forma 1.9, più lieve, che sta al limite tra la I e la II e così via.
Un recente documento di Consenso sullo Standard di Cure per le SMA (Consensus Statement for Standard of Care in Spinal Muscular Atrophy, in «Journal of Child Neurology», vol. 22, n. 8, agosto 2007, pp. 1027-1049) ha sottolineato infine l’importanza di utilizzare una classificazione basata sulle condizioni funzionali dei pazienti, dividendoli nelle grandi categorie di:
– “non sitters”, ovvero le forme più gravi, nelle quali i pazienti non acquisiscono la capacità di stare seduti da soli;
– “sitters”, vale a dire quei pazienti che invece possono stare seduti da soli;
– “walkers”, cioè le forme lievi, che consentono l’acquisizione della deambulazione autonoma.
A queste grandi categorie sono comuni le principali problematiche cliniche, declinate in varia gravità e reciproca importanza per ciascun paziente.
Caratteristiche delle varie forme
Caratteristica comune è la compromissione generalizzata e simmetrica della muscolatura, maggiore però a carico degli arti inferiori e in particolare dei muscoli prossimali (quelli – come detto – più vicini al tronco).
La muscolatura mimica del volto è generalmente indenne, così come quella che determina il movimento degli occhi. Nelle forme più severe – ad esordio precoce e maggiore estensione del danno motoneuronale – si può osservare un mento piccolo e abitualmente arretrato rispetto all’arcata dentaria superiore.
La sensibilità è sempre conservata (la persona sente il caldo, il freddo e il dolore, percepisce la posizione del suo corpo nello spazio ecc.), il sistema nervoso centrale non è interessato, il livello intellettivo e lo sviluppo del linguaggio sono del tutto normali. I riflessi osteotendinei sono generalmente assenti nelle forme più gravi, mentre in quelle più lievi sono molto ridotti e successivamente assenti.
Come già accennato, la gravità del deficit di forza e conseguentemente le abilità motorie raggiunte (la capacità di stare seduti e di deambulare) consentono di distinguere tra le varie forme, insieme all’età di esordio.
Globalmente si può dire che i problemi respiratori possono essere rilevanti, mentre il cuore non è mai interessato. Nelle forme più gravi possono associarsi problemi di deglutizione e di reflusso gastroesofageo.
I problemi respiratori
Sono in realtà proprio i problemi respiratori a condizionare la prognosi di questi pazienti. A seconda della gravità della forma, infatti, essi saranno presenti con diversa entità: gravissimi e precoci nella SMA I, molto meno gravi e più tardivi nella II, di solito rari o assenti nella III.
Si tratta di situazioni legate al deficit di forza a carico dei muscoli respiratori. In poche parole, durante la respirazione utilizziamo il muscolo diaframma e i muscoli intercostali. In generale nelle SMA il diaframma – di per sé molto forte – è relativamente risparmiato, ciò che permette una discreta espansione del torace e tuttavia quando i muscoli intercostali sono gravemente interessati (ciò che di solito è correlato alla precocità di esordio della patologia) o se la situazione è aggravata dall’insorgenza della scoliosi – aspetto spesso molto importante nelle SMA – si possono avere problemi respiratori gravi, tali da richiedere l’assistenza ventilatoria meccanica. La risposta a quest’ultima è abitualmente buona nelle forme intermedie.
Sul quadro cronico si instaurano poi problemi acuti, legati ad eventuali episodi infettivi, che richiedono un’adeguata gestione.
SMA di tipo 0
Se ne è già accennato in precedenza: si tratta di una forma recentemente inclusa nella classificazione, ad esordio nella vita intrauterina e a decorso rapidamente fatale. La scarsa motilità nella vita intrauterina può causare la presenza di retrazioni articolari già alla nascita (artrogriposi multipla congenita) ed è importante ricordarlo perché fino ad alcuni anni fa la presenza di artrogriposi alla nascita era invece considerato un criterio di esclusione per la diagnosi di SMA.
SMA X linked
Per completezza di informazione va detto poi che esiste un’ulteriore forma di malattia determinata dalla degenerazione delle corna anteriori del midollo spinale, a esordio neonatale o nella prima infanzia, con artrogriposi multipla congenita e prognosi infausta, legata tuttavia a un gene sul braccio corto del cromosoma X.
Essa si chiama appunto amiotrofia spinale X linked (legata all’X) con atrogriposi multipla congenita e non va confusa con la SMA 5q di tipo 0.
SMA I
Nella SMA I (malattia di Werdnig-Hoffman), il deficit è generalizzato e gravissimo. Il bambino giace immobile e anche la muscolatura respiratoria è compromessa, quasi sempre in modo così grave da risultare fatale entro il primo anno di vita, sebbene esistano rari casi con sopravvivenza più lunga. La vivacità dell’espressione del volto contrasta per altro con questa globale immobilità.
A questa forma possono associarsi difficoltà nella deglutizione e reflusso gastroesofageo che, insieme, possono ulteriormente contribuire alle difficoltà respiratorie.
SMA II
Nella SMA II (forma intermedia), per definizione il bambino acquisisce la capacità di stare seduto autonomamente, sebbene ciò possa avvenire un po’ tardivamente o in modo imperfetto rispetto a quanto accade per un bimbo sano.
L’esordio si colloca in genere dopo i sei mesi di vita e il deficit di forza è grave, ma non come nella forma I. Rimane tuttavia impossibile la deambulazione autonoma.
La sopravvivenza è maggiore, spesso normale e comunque legata alla funzionalità respiratoria, giacché la muscolatura respiratoria non è compromessa allo stesso modo in tutti i soggetti. Abitualmente, tanto più precoce è l’esordio dei sintomi, tanto più probabile è che nel tempo si presentino problemi respiratori.
SMA III
La SMA III (malattia di Kugelberg-Welander) si manifesta quando la deambulazione autonoma è già stata acquisita. Il difetto della forza muscolare, prossimale (muscoli più vicini al tronco), simmetrico e prevalentemente a carico degli arti inferiori determina la tipica andatura dondolante detta anserina [letteralmente “a mo’ di papera”, N.d.R.], oltre a difficoltà nell’alzarsi da terra e nel fare le scale.
L’età di esordio è variabile e la progressione è lenta, costringendo i pazienti alla carrozzina circa dieci anni dopo l’esordio stesso. La sopravvivenza è generalmente pari a quella delle persone non affette dalla malattia e comunque sempre legata all’eventuale comparsa di problemi respiratori.
Genetica delle SMA
Le amiotrofie spinali legate al cromosoma 5 sono malattie genetiche ereditarie, con una trasmissione di tipo autosomico recessivo: non sono cioè legate al sesso, ma colpiscono indistintamente maschi e femmine. Di solito entrambi i genitori di un bambino affetto sono portatori (la condizione di portatore non comporta alcun sintomo) e il rischio di ricorrenza è del 25% ad ogni gravidanza.
In genere in uno stesso nucleo familiare la patologia si manifesta con il medesimo grado di gravità, ma sono stati anche descritti casi di fratelli affetti da forme diverse.
L’alterazione genetica correlata alle amiotrofie spinali è situata – si è detto – sul cromosoma 5 ed esattamente nella regione 5q11.2-13.3. Il “responsabile” è il gene SMN, presente in due copie, l’una detta SMN1, l’altra SMN2. Solo l’assenza (delezione) della copia SMN1 determina la malattia.
Le due copie sono uguali in tutto tranne che per cinque aminoacidi e questa piccola differenza fa sì che esse costruiscano due proteine – dette anch’esse SMN – un po’ diverse: solo il gene SMN1 è in grado di sintetizzare una proteina SMN completa, presente non solo nelle cellule delle corna anteriori del midollo, ma anche in molti altri tessuti e attiva nel metabolismo di uno degli acidi nucleici delle cellule, l’RNA.
Per quanto poi riguarda la funzione del gene SMN2, esso produce una proteina SMN completa in minima quantità, e prevalentemente una proteina SMN ridotta, non funzionale. Il gene SMN2 può essere presente in un numero variabile di copie (da 1 a 4) da individuo a individuo e almeno una copia è sempre conservata, anche nei soggetti affetti dalle forme severe. Sembra che esso contribuisca a determinare la gravità clinica della malattia: tanto maggiore è il numero di copie, tanto più lieve è la manifestazione, per quanto questa regola non sia universalmente valida e non sia nemmeno l’unica spiegazione delle differenze tra le varie forme.
In realtà il ruolo effettivo della proteina SMN non è ancora del tutto chiaro: a tutt’oggi non si sa bene né quando inizi effettivamente il processo patologico né perché esso determini forme di gravità tanto diversa tra di loro. Resta inoltre da capire perché l’assenza di una proteina normalmente presente in diversi tessuti causi una malattia caratterizzata in realtà solo dal difetto a carico delle corna anteriori del midollo spinale: probabilmente la proteina SMN è particolarmente importante proprio in queste cellule.
Recentemente, infine, è stato scoperto che la proteina SMN interviene anche nel promuovere e guidare la crescita dell’assone, cioè del prolungamento della cellula nervosa che si metterà poi in contatto anatomico e funzionale con la fibra muscolare. Una carenza della forma di proteina SMN “assonale” sembra essere correlata con una riduzione della crescita assonale, con una sua aberrante e anomala ramificazione ovvero, semplificando molto, con un’alterata funzione dell’assone stesso.
La diagnosi prenatale è possibile, in presenza di un altro figlio affetto. Nel caso che il piccolo paziente sia deceduto, si può recuperare il materiale genetico dalla biopsia muscolare (se era stata fatta e conservata) o da altri campioni di tessuto, e determinare la presenza del gene SMN, sia nel primo figlio che nel nascituro. L’esame da svolgere è la villocentesi, possibile a partire dalla decima settimana di gravidanza.
Diagnosi
È importante innanzitutto la valutazione clinica: il quadro descritto sopra è infatti molto caratteristico e consente spesso, soprattutto nella forma I, di ipotizzare la diagnosi.
Il recente citato documento di Consenso sullo Standard di Cure per le SMA ha definitivamente suggerito di passare immediatamente all’analisi molecolare del gene SMN, se il sospetto clinico è molto importante, senza effettuare esami più invasivi. Se tale analisi risultasse negativa, si dovrà rivalutare il bambino dal punto di vista clinico ed eventualmente procedere ad altri test strumentali.
Va ricordato poi che nell’1-2% dei casi la malattia è dovuta a mutazioni puntiformi e non a delezioni e questo spiega un primo risultato negativo dell’analisi molecolare. In questi casi il gene andrà sequenziato, lavoro molto lungo e impegnativo.
Nella valutazione iniziale – là dove possibile – si può includere anche un’ecografia muscolare, esame non invasivo, non dannoso e molto veloce, che pur non dando una certezza, può fornire indicazioni utili per confermare il sospetto clinico. Non è comunque indispensabile e viene effettuato solo in pochi Centri.
Da dire infine che nel sospetto è sempre utile inviare il paziente a un Centro Specializzato di riferimento, affinché sia l’iter diagnostico, sia la successiva comunicazione diagnostica e le indicazioni per la gestione siano date da persone che conoscono bene la malattia.
Un argomento delicato e controverso è quello riguardante l’opportunità di fare la diagnosi genetica dei figli sani, in un nucleo familiare ove ve ne sia uno clinicamente affetto dalla malattia. Tecnicamente l’analisi è possibile e va anche detto che in letteratura sono descritti casi – sia pur rari – di soggetti sani con la delezione omozigote del gene SMN1 (cioè la stessa presente nei pazienti). Proprio in relazione a ciò, in linea di massima si seguono le indicazioni della Società di Genetica Umana, che suggeriscono – particolarmente in caso di minori non ancora in grado di esprimere un parere consapevole e di fronte a malattie per le quali non sia disponibile una terapia risolutiva o la possibilità di prevenirle – di non effettuare l’indagine, perché a un eventuale riscontro della delezione in un soggetto ancora sano, non si saprebbe né come intervenire, né quali previsioni fare per il futuro.
E tuttavia, proprio nel recente documento di Consenso sullo Standard per le cure nella SMA, si propone che questa regola possa non essere seguita in questa specifica patologia, in quanto è teoricamente possibile pensare che quelle sostanze risultate valide in laboratorio e che non si sono dimostrate efficaci nei trial fatti con persone affette – perché somministrate quando la malattia era già manifesta e quindi a danno motoneuronale già avvenuto – potrebbero avere un diverso esito se somministrate quando ancora la patologia non è manifesta. Si tratta tuttavia di una questione non risolta e non è abitudine fare la diagnosi molecolare su fratelli sani di soggetti affetti, soprattutto se in età tale da non potere esprimere appieno il loro assenso.
Trattamenti
Globalmente i punti cardine del trattamento delle persone affette da un’amiotrofia spinale consistono in:
– sorveglianza delle complicanze respiratorie, intese sia come gestione degli aspetti respiratori, sia come monitoraggio della funzionalità respiratoria in veglia e della possibile insorgenza di disturbi respiratori in sonno, sia del drenaggio delle secrezioni bronchiali (anche con ausili) e, quando necessario, con l’impostazione della ventilazione meccanica non invasiva;
– gestione delle problematiche nutrizionali, sia e soprattutto della disfagia nelle forme più gravi, sia di un adeguato supporto nutrizionale in corso di infezioni respiratorie;
– contenimento/correzione della scoliosi e delle retrazioni, con gestione e supporto della funzionalità motoria residua al fine di garantire la maggiore autonomia funzionale possibile;
– presa in carico del paziente e del nucleo familiare nella sua globalità, con particolare attenzione agli aspetti emotivo-relazionali.
I vari interventi vanno “modellati” sulle esigenze del singolo caso e della specifica situazione.
Meno importanti sono, in genere, i controlli cardiologici, perché – come detto – la malattia non determina interessamento cardiaco.
Ad oggi non esistono terapie risolutive. Se infatti la comprensione dei meccanismi patogenetici alla base della malattia ha indotto a sperimentare sostanze in grado di “costringere” il gene SMN2 a produrre una maggiore quantità di proteina SMN completa, nessuna delle sostanze impiegate – e pure apparentemente utili dagli studi in laboratorio – ha dato finora risultati pienamente soddisfacenti.
Si può tuttavia annotare che l’impiego del salbutamolo e del valproato – sotto controllo medico e dopo ampia discussione con le famiglie e, quando possibile, con i pazienti – ha dato qualche lieve miglioramento funzionale. Mancano per altro – soprattutto per il salbutamolo – studi in doppio cieco randomizzato, che cioè confrontino due popolazioni di soggetti affetti, a una delle quali viene somministrato il farmaco e all’altra no, in modo casuale, senza che né il paziente né il medico ne siano a conoscenza.
Le Associazioni
In Italia, ad occuparsi di amiotrofie spinali, è innanzitutto la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), nata nel 1961 e con una quasi cinquantennale esperienza di informazione e indirizzo. Più recentemente sono sorte anche l’ASAMSI (Associazione per lo Studio delle Atrofie Muscolari Spinali e Infantili) e l’Associazione Famiglie SMA, che agiscono anch’esse in partnership con la UILDM.
*Dipartimento di Clinica Neurologica e Psichiatrica dell’Età Evolutiva, IRCCS Istituto Fondazione “Istituto Neurologico C. Mondino” di Pavia. Componente della Commissione Medico-Scientifica Nazionale UILDM. Testo prodotto per quest’ultima Associazione e qui riprodotto per gentile concessione.
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