Nel dicembre del 2010 la Giunta della Regione Lombardia deliberò il Piano di Azione Regionale per le Politiche in Favore delle Persone con Disabilità [Deliberazione di Giunta della Regione Lombardia n. 9/983 del 15 dicembre 2010. D’ora in poi PAR, N.d.R.]. A distanza di diciotto mesi non si hanno notizie circa l’istituzione dei Centri per la Famiglia e del Case Manager, ovvero di quel sistema di servizi immaginati dal Piano per garantire la presa in carico delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
Quali sono, dunque, i problemi che stanno impedendo l’implementazione di questa parte del Piano, considerata centrale nell’evoluzione e sviluppo delle politiche sociali regionali in Lombardia?
Speranze tradite?
Il PAR ha suscitato nelle persone con disabilità e nelle loro organizzazioni molte aspettative. La testata «Lombardia Sociale.it», ad esempio, si è già occupata ampiamente del tema, sia per presentarne i contenuti, che per raccogliere diversi punti di vista. La diffusa percezione dello scarso livello di attuazione del PAR ha trovato conferma in una prima valutazione di esso: «Nel complesso – si legge infatti in “Lombardia Sociale.it” – il PAR è, nei fatti, un cantiere aperto, con importanti lavori in corso ma con ancora pochi risultati evidenti e tangibili. […] Un lavoro i cui frutti si scorgono in modo parziale e frammentario anche in ambito sociosanitario e socio assistenziale, dove l’approccio che ha generato l’attuale modello di welfare mantiene inalterato il suo peso senza essere particolarmente scalfito dalle rilevanti novità culturali e di visione portate dal PAR».
Una situazione, questa, che nel corso dei mesi successivi a questa analisi non è sostanzialmente mutata. Senza negare l’importanza degli aspetti politici e di quelli connessi alla comunicazione, vorremmo semmai formulare l’ipotesi che il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dal PAR, in particolare sul tema della presa in carico, sia da imputarsi prima di tutto a una debolezza intrinseca al documento di programmazione.
Dal dire al fare cosa è mancato?
Nel suo complesso il PAR appare come un documento di pianificazione molto ambizioso, con una forte investitura politica e con un ancoraggio forte nell’approccio alla disabilità basato sui diritti umani. Un Piano che si rivolge quasi interamente all’azione diretta della Regione Lombardia, definendo con una certa chiarezza gli obiettivi generali, alcuni risultati operativi e le responsabilità in fase di attuazione.
Le difficoltà che si stanno registrando in fase di implementazione possono essere ricondotte innanzitutto a un processo programmatorio esogeno, cioè delegato a professionisti esterni e a una scarsa permeabilità al flusso di informazioni provenienti dall’esterno.
Il testo presenta poi una serie di debolezze nell’analisi sommaria del contesto istituzionale, normativo e sociale e nella poca attenzione alla conoscenza dell’esistente e l’identificazione degli obiettivi generali non si tramuta in una serie di risultati auspicati specifici, misurabili, attuabili, realistici e posti nel tempo, il che nega e invalida la possibilità stessa di programmare.
Di conseguenza non vengono definiti nel testo standard indicatori, incentivi e strumenti di premialità, dispositivi e procedure di controllo, monitoraggio e valutazione, tempi e fasi di attuazione. Non viene affrontato il tema del costo del Piano e delle modalità di reperimento e orientamento delle risorse, umane in primo luogo, ma conseguentemente anche economiche e fisiche/immobiliari, necessarie per attuarlo.
Più conoscenza interna, poco spazio alle informazioni dal territorio
Un indubbio risultato raggiunto dal processo che ha portato al PAR è stato la creazione del GAT – Disabilità, il Gruppo di Approfondimento Teorico – Disabilità, coordinato da Mario Melazzini, presidente dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e formato dai rappresentanti di quasi tutte le Direzioni Generali Regionali (DG), con il supporto di due esperti esterni, vale a dire Alberto Fontana, presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e chi scrive, direttore della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
L’attivazione del GAT – Disabilità ha consentito infatti la reciproca conoscenza tra funzionari e dirigenti delle diverse DG regionali e il confronto su quanto esse svolgono in favore delle persone con disabilità. Un flusso di informazioni, tuttavia, che si è limitato, al “perimetro” delle azioni della Giunta Regionale, senza coinvolgere altri attori, istituzionali e non.
La scarsa “permeabilità” verso l’esterno del processo di formazione del PAR non ne ha impedito una sua forte legittimazione iniziale, dovuta sia all’investitura diretta di esso da parte del presidente della Regione Formigoni, sia per i contenuti fortemente innovativi che sono stati portati, in termini di princìpi e visioni.
Temi come il diritto alla Vita Indipendente, ripreso direttamente dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, oppure come la necessità di funzioni di presa in carico globale erano – fino ad allora – estranei al linguaggio della Regione, totalmente assorbito dall’affermazione del principio della centralità della persona, declinato esclusivamente come diritto alla libertà di scelta.
Nelle diverse fasi di lavoro, l’attività di informazione da parte della Regione è stata di carattere unidirezionale – dal centro verso la periferia – per comunicare l’esistenza del Piano stesso. Quando si è prevista un’interazione, questa è avvenuta secondo lo schema «la Regione domanda, il soggetto risponde», impedendo di fatto l’irrompere nel processo di programmazione di dati e informazioni in qualche modo non attesi dal programmatore.
Il GAT – Disabilità ha visto avviare la sua attività raccogliendo informazioni sulle iniziative in essere nelle diverse DG in favore delle persone con disabilità: la scrittura del Piano, però, non è stata realizzata direttamente da personale regionale, ma è stata affidata a un gruppo di esperti esterni, denominato “Task force”. Successivamente all’adozione del PAR da parte della Giunta Regionale, questa “Task force” non è stata più convocata, mentre sono continuati con cadenza regolare gli incontri del GAT e si sono avviati alcuni gruppi di lavoro interni.
Sul piano della comunicazione, infine, la Giunta Regionale ha dedicato al PAR una pagina del sito internet della Direzione Generale Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale e ha stampato una brochure denominata Liberi di Essere.
Dal percorso al perimetro: il rischio dell’autoreferenzialità
Il “perimetro” del PAR è dato dalle azioni dirette della Giunta regionale sui temi della disabilità, sia in termini erogativi diretti che in termini regolativi. Questo è un punto di chiarezza e quindi di forza, in quanto la Regione pianifica su ciò che controlla in modo diretto e gerarchico: nello stesso tempo, tuttavia, è anche un punto critico, in quanto contiene una rinuncia implicita all’integrazione e all’orientamento delle politiche fra le diverse Istituzioni e fra queste e la società civile.
Le iniziative nate sul territorio – chiamate “sperimentazioni” – vengono analizzate solo nella misura in cui hanno la possibilità di essere incluse nelle politiche sociali regionali.
Le analisi del PAR: tutta colpa dell’informazione?
Il documento – in forma di allegato alla Deliberazione di Giunta Regionale n. 9/983 del 15 dicembre 2010 – è suddiviso in due testi distinti, il primo dei quali viene denominato come Piano vero e proprio, mentre il secondo è la Relazione Tecnica, composta a propria volta da un testo e da una tabella descrittiva dei provvedimenti da assumere in fase di implementazione.
Senza entrare nello specifico di ogni singola affermazione, già nella prima parte del documento si possono cogliere alcuni elementi importanti utili per l’analisi. Il mandato politico risulta forte, evidente e trasparente dalla doppia prefazione, una a firma del presidente Formigoni e una dell’assessore alla Famiglia Boscagli.
Nella prefazione di Mario Melazzini e nei testi introduttivi, si possono cogliere alcuni elementi di analisi che saranno assunti come paradigmi dell’intero processo, a mio avviso, molto deboli:
– La situazione dei servizi e delle opportunità esistenti, pure raccolti in modo sistematico dal GAT, non viene presentata e non viene utilizzata come punto di partenza del lavoro di programmazione, rinunciando implicitamente a ogni forma di incrementalismo.
– I problemi fondamentali delle persone con disabilità nella Regione Lombardia vengono connessi alla mancanza di informazioni sulle opportunità presenti in loro favore sul territorio e alla frammentazione dei servizi e delle politiche. Un’affermazione assunta senza riferimento a fonti informative e senza particolari giustificazioni, in continuità con la forte attenzione che la Regione Lombardia ha avuto negli anni verso l’offerta piuttosto che verso il bisogno.
– I bisogni delle persone con disabilità vengono dichiarati oggi “non leggibili” e “non conoscibili”, per via della scarsità di fonti statistiche, rinunciando ad acquisire dati e informazioni sulle condizioni di vita delle persone da altre fonti, istituzionali e “sociali”, come ad esempio gli enti di Terzo Settore, i sindacati, le associazioni datoriali…
– Il passato non viene analizzato in modo critico. È interessante rilevare, ad esempio, come, nel paragrafo dedicato al contesto normativo, grande spazio venga riservato ai princìpi enunciati dai testi internazionali, mentre vengono dedicate appena due righe di testo alla Legge 328/00 [“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, N.d.R.] e nessuna citazione viene riservata alla Legge Regionale 3/08 [“Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”, N.d.R.], come al processo di riforma e riordino dei servizi sociali che ha impegnato la Giunta dal 2003 al 2009, creando di fatto quello che è conosciuto come “Modello di welfare lombardo”.
Obiettivi lontani dalla realtà?
Uno degli esiti di questa debolezza analitica può essere rappresentato dalla presentazione generale degli obiettivi e delle strategie, che sono molto generici e senza alcuna connessione specifica con la realtà lombarda.
Nel documento, ogni punto viene declinato per diverse sotto-aree, dove si indicano gli obiettivi specifici. Si tratta di un’analisi ancora descrittiva della situazione e delle finalità, che raramente passa alla definizione di risultati misurabili nel tempo. Osservando l’esempio riportato nella seguente Tabella 1, a parte la difficoltà di cogliere il nesso tra la necessità di dare sostegno alla famiglia e l’obiettivo di aggiornare la CRS (Carta Regionale dei Servizi), si tratta, dal punto di vista dei contenuti, di tematiche facilmente condivisibili in qualunque altra Regione italiana ed europea.
Tabella 1 – Strategie e obiettivi del PAR
Direttrici della strategia lombarda nelle politiche per la disabilità:
° Garantire la continuità di risposta lungo tutto l’arco della vita
° Garantire reale accessibilità e fruibilità
° Costruire una rete integrata dei servizi
Obiettivi specifici (ad esempio «Garantire la continuità di risposte», «Sostegno alla famiglia»)
° Garantire la diagnosi precoce e l’accompagnamento della famiglia
° Definire strumenti di valutazione del profilo funzionale
° Offrire un luogo unico per la presa in carico della famiglia
° Garantire un sostegno destinato alla cura del bambino
° Aggiornare la Carta Regionale dei Servizi (CRS) con i dati delle persone con disabilità
Né in questa parte del documento, dunque, né in altre successive o precedenti, il programmatore si preoccupa di:
– presentare ed analizzare l’esistente, valutandone i punti di forza e di debolezza;
– descrivere se e in che misura le risposte oggi esistenti garantiscono la continuità delle risposte;
– illustrare le cause che hanno limitato fino ad oggi l’efficacia di queste risposte;
– individuare, in una logica incrementale, i cambiamenti possibili nel tempo per raggiungere quei risultati misurabili che dovrebbero permettere il miglioramento della situazione.
Una carenza notevole, quindi, se si tiene conto che in Lombardia una delle aree di bisogno maggiormente coperte riguarda proprio la presa in carico dei bambini con disabilità, grazie alla rete capillare di servizi di carattere sanitario (Neuropsichiatra Infantile e Centri di Riabilitazione), sociale (Comuni e Organizzazioni No Profit) e ad un sistema scolastico particolarmente sensibilizzato sul tema.
La credibilità del testo di essere uno strumento efficace di cambiamento e di promozione del miglioramento della rete dei servizi viene qui fortemente minata. Non avere infatti analizzato con cura la situazione esistente, fa spostare l’attenzione del programmatore su soluzioni molto generiche, quasi “di buon senso”, secondo una visione della realtà parziale e non ancorata né a dati certi né a un flusso di informazioni provenienti dai diversi attori sociali.
La mancanza di una logica incrementale, perciò, non costringe il Piano a porre da subito la definizione dei ruoli e delle funzioni. La mancata definizione di obiettivi SMART ovvero Specifici, Misurabili, Attuabili, Realistici e articolati su un orizzonte temporale (Timing), si ripete in tutti i paragrafi del capitolo che illustra gli obiettivi.
Emergono in questa parte del documento le conseguenze dell’affermazione iniziale che – identificando nella carenza di informazioni e nella frammentazione dei servizi la causa fondamentale dei problemi delle persone con disabilità – impedisce al programmatore di cogliere gli elementi di inadeguatezza strutturale e culturale che limitano l’efficacia del sistema di risposta ai bisogni sociali delle persone con disabilità.
La questione delle risorse
In questo contesto di indeterminatezza, non viene mai posto il problema delle risorse umane, economiche e strutturali necessarie per realizzare i Centri per la Famiglia e per diffondere la figura del Case Manager, come previsto dal PAR. E in un contesto come quello attuale, contrassegnato dalla carenza di risorse economiche, le possibilità di successo di una pianificazione di tipo sociale sono ancora più connesse alla capacità del programmatore di prevedere un forte investimento, fatto di attività di formazione, supervisione, confronto e scambio, sulle “risorse umane”, ovvero su quelle persone che dovranno fare propri gli obiettivi e le previsioni del Piano per poi realizzarli.
Il PAR dedica invece al tema delle risorse dedica un paragrafo a sé, nella prima parte (Sostenibilità: per una responsabilità sociale diffusa), occupandosi però solo delle risorse di carattere economico, attraverso affermazioni abbastanza generiche. In sintesi, si dà per acquisita la scarsità di risorse pubbliche, facendo riferimento al cosiddetto “approccio bottom up”, che si traduce nella scelta di un sistema di sostegno alla domanda, senza porsi il problema di come questa possa convivere con quella dichiarata di porre al centro della governance dei servizi realtà come i Centri per la Famiglia piuttosto che il Case Manager.
Si immagina altresì una logica di integrazione tra i diversi livelli istituzionali, spingendosi a guardare con interesse al sistema di mutue, assicurazioni e fondazioni, come possibile fonti di risorse, senza che queste siano citate come attori del Piano in nessun’altra sua parte.
Centri per la Famiglia e Case Manager: le parole non bastano
Leggendo la citata pubblicazione Liberi di essere, i due obiettivi presentati come fondamentali sono l’attivazione del Case Manager e il miglioramento della condizione di accessibilità.
Alla figura e alla funzione del Case Manager viene dedicato un paragrafo ad hoc del Piano (Accompagnamento della persona e della sua famiglia – I Centri per la Famiglia e il Case Manager), ove si scrive tra l’altro che «La Regione Lombardia vuole implementare il sistema di servizi alla persona tramite la messa a sistema della figura dei Centri per la Famiglia e del Case Manager inteso quest’ultimo come l’operatore che si fa carico della persone con disabilità e della sua famiglia […] e li accompagna nella fruizione dei servizi».
Tabella 2 – Le funzioni del Case Manager
° presa in carico diretta
° gestione di colloqui
° elaborazione del piano personale
° facilitazione della persona e della famiglia nella gestione delle risorse finanziarie
° collaborazione con le strutture della rete
° tutoring e monitoraggio
Si tratta in sostanza di una figura che – in questi termini – non esiste nella Regione Lombardia. Non tanto perché non esistano operatori che già non svolgano funzioni di presa in carico, quanto perché il Case Manager viene posto al centro del sistema del funzionamento dei servizi per le persone con disabilità. E questa, come accennato, è la novità più rilevante del PAR.
Le politiche sociali regionali degli anni 2003-2009 avevano infatti contrapposto in modo dichiarato il perseguimento della “Libertà di scelta” del servizio ai servizi di valutazione del bisogno, che erano in capo alle ASL (in gran parte smantellati), piuttosto che a quelli di presa in carico, tipici dei Comuni a cui è stata tolta la funzione di regia dei progetti personali. Tutto è stato delegato al rapporto diretto fra famiglie ed enti gestori, con il supporto di sistemi di doti, buoni e voucher per l’acquisto di servizi e prestazioni.
Le funzioni di questo Case Manager potrebbero essere paragonabili a quelle di un assistente sociale inserito in servizio di segretariato sociale pubblico, dotato di grande autorevolezza e di adeguate risorse, ma la scelta del Piano porta in un’altra direzione. La strategia viene infatti così definita:
– sviluppare i Centri per la Famiglia;
– rendere effettiva la figura del Case Manager;
– sviluppare e promuovere la conoscenza dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, definita nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.];
– inserire la presenza del Case Manager all’interno di un sistema di accreditamento regionale;
– creare infrastrutture e strumenti materiali adatti all’efficacia del Case Manager;
Per come viene presentato, dunque si intuisce che il Centro per la Famiglia possa considerarsi un’evoluzione dell’attuale Consultorio. I futuri “Centri” dovrebbero diventare i luoghi della presa in carico delle persone con disabilità e dei loro nuclei familiari e la figura centrale per il loro funzionamento dovrebbe divenire il Case Manager; il condizionale, tuttavia, è ancora una volta d’obbligo perché in nessun passaggio quest’ultima affermazione viene esplicitata. Anche in questo caso, infatti, gli obiettivi posti sono tutt’altro che “Specifici, Misurabili, Attuabili, Realistici e Tempistici”, ma, data l’importanza del tema, vale la pena verificare come il PAR affronti questo specifico punto, andando a leggere nella Relazione Tecnica la linea di interventi prevista per il raggiungimento degli obiettivi connessi ai Centri per la Famiglia e al Case Manager.
Centri per la Famiglia e Case Manager: dalle parole… ai fatti?
Nella Relazione Tecnica il tema dell’accompagnamento della persona e della sua famiglia viene abbinato – coerentemente con quanto già affermato – a quello dei Centri per la Famiglia e al Case Manager.
Tabella 3 – Le azioni previste
° creazione di luoghi di accoglienza per la persona e la famiglia che mettano a disposizione servizi di accessibilità e accoglienza, informazione, accompagnamento ai progetti di vita
° nascita di procedure e logiche di rete tra i Centri per la Famiglia e le Farmacie dei Servizi
° istituzione dei Case Manager tramite la definizione di competenze, posizione funzionale, mansioni e distribuzione territoriale
° definizione delle procedure di inserimento del Case Manager all’interno di regole che permettano il riconoscimento di questa figura
° sviluppo della conoscenza dell’ICF
° creazione di infrastrutture e strumenti materiali […] adatti all’efficacia dell’attività dei Centri per la Famiglia e del Case Manager
[Dalla “Relazione Tecnica” del PAR, p. 4]
Data la complessità dei temi non ci si poteva certo aspettare una pianificazione di dettaglio ed era plausibile prevedere fasi successive di affinamento della stessa programmazione, anche prima di arrivare alla progettazione specifica degli interventi e alla loro implementazione. Il Piano, però, non riesce ad arrivare a definire, neanche per sommi capi, chi debba agire, in che direzione, con quali risorse, in che tempi e in quali spazi.
È dunque probabile che nel programmatore sia prevalsa una logica di procrastinazione, evitando di fare emergere le critiche implicite all’attuale modello di welfare lombardo e la somma di problemi che si troverà di fronte chi dovrà implementare il Piano. La trasformazione dei Consultori in Centri per la Famiglia e la definizione di un Case Manager al centro del sistema dei servizi, infatti, porrà molte questioni strutturali al sistema di welfare lombardo, ed è prevedibile che ciò genererà molte resistenze che il Piano non affronta e non prende in considerazione.
Questo approccio, che riduce la programmazione all’indicazione di macro obiettivi e di macro risultati, senza affrontare l’insieme di problemi connessi alla loro implementazione, risulta anche nell’analisi della seconda parte della Relazione Tecnica, denominata Scheda Operativa, dove sono riprese le diverse azioni previste dal PAR, ordinate per area di intervento e area di attività, indicando le Direzioni Generali di riferimento.
L’unico pur importante elemento che la tabella aggiunge a quanto già detto nella Relazione Tecnica è l’identificazione di chi dovrà occuparsi di tradurre in atti e fatti quanto previsto dal Piano, ovvero in questo caso, la Direzione Generale Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale.
In sintesi
Le difficoltà che si stanno registrando in fase di implementazione sono riferibili a:
– un processo programmatorio esogeno, delegato a professionisti esterni;
– una scarsa permeabilità al flusso di informazioni provenienti dall’esterno;
– un’analisi sommaria del contesto istituzionale, normativo e sociale;
– una scarsa attenzione alla conoscenza dell’esistente;
– una mancanza di risultati auspicati specifici, misurabili, attuabili, realistici e posti nel tempo;
– l’assenza del tema dei costi e delle modalità di reperimento e orientamento delle risorse, umane, economiche e strutturali, necessarie per l’attuazione del Piano.
È quindi in questi elementi di debolezza intrinseca del PAR Disabilità della Regione Lombardia che dobbiamo individuare le sue difficoltà di attuazione, prima e oltre di altre motivazioni di carattere morale e politico.
A giudicare dalla reazione quasi immediata dell’assessore regionale Giulio Boscagli e dal tono di essa, vien da pensare che Giovanni Merlo, con la sua analisi, abbia toccato davvero una serie di punti dolenti e critici. «Il Piano d’Azione Regionale sulla Disabilità – ha dichiarato infatti l’Assessore al quotidiano “Avvenire” del 20 settembre – non è né debole né in ritardo. Esso, infatti, ha una portata decennale e un valore culturale che va oltre lo specifico tema della disabilità, ma interessa quello della fragilità e in modo paradigmatico quello del welfare». «Molto è stato fatto e molto è ancora da fare – ha concluso Boscagli – e questa è la ragione per cui molto realisticamente, senza voler illudere nessuno, abbiamo individuato un arco di tempo sufficientemente ampio per la sua realizzazione».
Non resta quindi che aspettare? Forse, anche se nel frattempo spereremmo di poter contare, da parte dei responsabili istituzionali, di risposte un po’ più dettagliate, che almeno cercassero di avvicinarsi alla profondità critica adottata da Giovanni Merlo nella sua analisi del Piano. (S.B.)
Direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità). Il presente testo è già apparso in «Lombardia Sociale.it» e nel sito di approfondimento della LEDHA «Persone con disabilità.it». Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
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