Il Governo, dunque, ha tagliato nei giorni scorsi le stime di crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo), che nel 2012 si attesterà al -2,4% e nel 2013 sarà pari a -0,2%. Nel 2014-2015, invece, è prevista una crescita rispettivamente dell’1,1 e dell’1,3%, grazie all’aumento della domanda interna ed esterna, per gli effetti positivi delle riforme strutturali finalizzati a rilanciare l’economia.
Analizzando tuttavia i dati prodotti quasi contemporaneamente dalla Banca d’Italia, nel Rapporto n. 65 L’economia italiana in breve (Settembre 2012), quelle stime sembrano del tutto ottimistiche e in contrasto con quanto dichiarato dalla Banca d’Italia stessa. Il PIL, infatti, è diminuito del 3,3% nel primo e nel secondo trimestre di quest’anno, mentre gli investimenti hanno fatto registrare un crollo del 13,5% nel primo trimestre e del 9% nel secondo. E ancora, la spesa per i consumi da parte delle famiglie è calata del 4,5% nel primo trimestre e del 4% nel secondo. Le esportazioni, infine, che, nel 2011 erano cresciute del 5,6%, nel primo trimestre di quest’anno sono diminuite del 2,2% e nel secondo sono aumentate solo dell’1%.
È da rilevare, poi, che “economisti keynesiani” [che si rifanno cioè alle teorie di John Maynard Keynes, improntate all’intervento pubblico per sostenere la domanda, N.d.R.], come i Premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman, hanno da tempo lanciato l’allarme sulla pericolosità delle politiche di austerità in un periodo di crisi, perché alimentano la recessione e portano al tracollo gli Stati, con costi umani altissimi, mentre non vi è alcuna austerità di tipo espansivo.
Krugman, infatti, nel Manifesto per il Buon Senso in Economia, pubblicato nel giugno scorso dal «Financial Times» nel giugno scorso, ha sottolineato che l’esperienza passata non evidenzia alcun caso in cui i tagli di bilancio abbiano effettivamente generato un aumento dell’attività economica. In tal senso, il Fondo Monetario Internazionale ha studiato ben 173 casi di tagli di bilancio dei singoli Paesi, scoprendo che il risultato coerente è la contrazione dell’economia.
Dal canto suo, Stiglitz – in una recente intervista pubblicata da «Le Nouvel Observateur» – ha affermato che limitare il disavanzo strutturale, come previsto dai trattati europei, funziona quando si è in una situazione di piena occupazione, ma non quando si è in una fase di recessione. Secondo l’economista americano, dunque, «il grande errore degli europei, e della Germania in primo luogo, è che fanno una diagnosi sbagliata del problema. Essi credono che la crisi derivi da un aumento eccessivo della spesa pubblica. Ma l’Irlanda e la Spagna prima della crisi erano in surplus. Non sono state quindi le eccessive spese a mandarle a fondo. Appare dunque irresponsabile cercare di avere un bilancio in pareggio o addirittura un disavanzo strutturale al 3% in un’economia debole e a questo punto è meglio uscire dall’euro, se non si riesce a riformarlo, anziché seguire politiche di austerità suicide».
In conclusione, e anche alla luce di tutte queste considerazioni, sono sicuramente da condividere i tagli agli sprechi e ai privilegi. Vanno contrastati però con forza quelli finalizzati a colpire le persone più deboli e indifese – persino quelle con gravi disabilità – quando anche Premi Nobel per l’Economia mettono motivatamente in discussione la stessa utilità delle politiche di austerità in periodi di crisi.