Mi sono sempre trattenuto. Non tollero il qualunquismo. Si fa sempre di ogni erba un fascio. Si fa torto ai silenziosi operai del progresso. Si allontanano i Cittadini dalla partecipazione democratica. Si rischia di dire comunque qualche sciocchezza della quale pentirsi il giorno dopo.
Già. Tutto vero. Ma oggi ho ripensato a un piccolo dettaglio della politica. Mi sono ricordato che sono proprio gli assessori, i parlamentari, i portaborse e portavoce, i segretari di partito (non tutti, per carità…) ad apprezzare e ripetere gioiosi l’espressione “diversamente abili”. L’hanno adottata con entusiasmo. Era proprio il massimo del solidarismo compassionevole. Una pacca sulla spalla e via. «Andate avanti così, siete proprio bravi… sapete fare tante cose, anche nella vostra sfortuna…».
Parole che risuonano nella memoria, sguardi, sorrisi, ipocrisia ammantata di buoni propositi, elenco pomposo di programmi e di elargizioni munifiche, insomma tutto il repertorio della politica di accatto, quella che strizza l’occhio ai “portatori di voti”, sperando che l’autorevolezza del podio e l’importanza della carica ricoperta li salvi dai fischi e dal lancio di pomodori, magari solo virtuali.
E allora un piccolo lampo in un angolo non lobotomizzato del cervello: «Diversamente ladri!». Ecco, l’ho detto. Mi sento meglio. Non che serva a niente, anzi. Forse qualcuno si stupirà pensando a me, alla mia proverbiale pacatezza, moderazione verbale e diplomatica abitudine all’ascolto quasi partecipe, anche in quelle circostanze lugubri dei convegni con saluto dell’amministratore di turno. Ma quello che si legge in questi giorni, in queste settimane, in questi mesi, supera ogni possibile forma di educazione formale. Non solo per l’evidente tracotanza dei protagonisti, ai quali manca solo il “rutto in diretta televisiva” per dimostrare a tutti noi quanto a loro interessi del nostro destino di Cittadini alle prese con la quarta, terza o seconda settimana del mese. Ma anche perché appare sempre più evidente come una classe dirigente di medio calibro – collocata quasi sempre nei posti giusti, defilati, in penombra – sia la causa vera di uno spreco sistematico del denaro pubblico, al quale non si attribuisce di fatto alcun valore, alcuna corrispondenza, seppur minima, con la realtà.
Chi lavora nel sociale sa bene quanto difficili siano le rendicontazioni dei progetti finanziati. Si lima su tutto, si controllano le ricevute, le fatture, i rimborsi spese. Si spera sempre che qualcuno presti il suo tempo professionale in modo gratuito (lo so bene, per lunga esperienza personale). Si fatica per arrivare a pareggiare i costi reali, e non si considerano mai i costi umani, il tempo in più. È giusto così, perché questo è il vero non profit, quello nel quale nascono le nostre amicizie, le nostre solidarietà di questi tempi cupi.
E invece assistiamo quasi increduli al racconto sempre più odioso di una dissipazione sistematica dei bilanci, di uno sfrontato uso privato del finanziamento dell’attività politica, persino con casi clamorosi, come nel Lazio, di dirottamento di stanziamenti destinati a coprire i costi di servizi sociali importanti. Crescono la rabbia, l’indignazione, certo. Ma anche una cupa rassegnazione, una sensazione di impotenza, di inutilità, di marginalità sociale incolmabile.
I “diversamente ladri” rubano i nostri sogni, le nostre speranze, la nostra vita. Sono “portatori di furto”. In altri tempi si sarebbe parlato di una situazione prerivoluzionaria. Ma oggi ci fermiamo a un tweet. Per fortuna è gratis.
Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo – qui ripreso con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – è apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di «Vita», con il titolo “I mendicanti dei diritti”.
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