Mi è capitata sotto le mani – anzi mi è tornata sotto agli occhi sullo schermo del mio vecchio computer – la frase di una giornalista (Nadia Covacci), ahimè con disabilità, che in risposta a un mio articoletto pubblicato su queste pagine, mesi addietro, in «24Emilia», scrisse che «i gravissimi non esistono» [il testo venne ripreso anche dal nostro giornale, per gentile concessione, con il titolo “Non ci sono disabilità gravi più gravi di altre”, N.d.R.].
La polemica che ne seguì, testimoniata anche dai vari articoli qui a fianco citati – fu utile per una corretta a fuoco delle tematiche delle persone con “disabilità gravissima” che, come ora a tutti è noto, vengono chiamate anche – in modo più politically correct – “persone con disabilità che necessitano di supporti assistenziali di particolare intensità”. E di qualità, aggiungiamo noi.
Infatti, così come le virtù e i vizi umani, anche la disabilità ha le sue gradazioni: essere in carrozzina, ma poter usare le mani, parlare e udire e godere di una certa autonomia personale e magari riuscire anche a lavorare, non è infatti uguale ad avere una totale anartria*, respirare tramite una tracheostomia, usare magari un concentratore di ossigeno o un respiratore, essere nutriti attraverso una stomia gastrica ed essere totalmente privi di ogni autonomia.
Un altro ben più illustre “giornalista con disabilità” (Franco Bomprezzi), durante un suo ricovero in ospedale, sperimentò personalmente la differenza di intensità dei vari gradi di disabilità e ne scrisse con la consueta abilità e competenza [ci si riferisce al testo da noi pubblicato con il tiolo “In quella brulicante officina della salute”, N.d.R.].
Oggi nessuna polemica, perché in tempi difficili bisogna essere maggiormente uniti, anziché far guerre su un “peggiorativo”. Ricordiamo semplicemente a tutte le persone – senza, con poca o con tanta disabilità – che le persone con “disabilità gravissima” esistono davvero, ma che tra poco non esisteranno più, se non si provvederà urgentemente, con umanità e con giustizia, alla loro sopravvivenza e a quella delle loro stremate famiglie.
*Perdita totale della capacità di articolare la parola già programmata mentalmente, con conseguente impossibilità di esprimersi con il linguaggio, pur rimanendo integre le capacità di scrivere, di leggere e di comprendere.