Autistico o spacciatore?

Episodi come quello accaduto a Verona, ove un giovane con disturbi autistici è stato scambiato per uno spacciatore, dovrebbero far riflettere su come la società – e i suoi “guardiani”, in altre occasioni meritevoli – dovrebbe adottare comportamenti più “comprensivi” e “tolleranti”, nel senso di “capire” o “cercare di capire” e di “sopportare” come un fatto naturale il “peso” della diversità

Viso di uomo con mano sul volto ed espressione di sconfortoQuello del titolo di questa nota non sembrerebbe proprio un dilemma possibile. Non vi sono infatti ragionevoli punti di contatto tra chi è affetto da disturbi dello spettro autistico e chi mina la società con il suo criminoso comportamento. Il primo è una “vittima della sfortuna”, il secondo un “carnefice”.
Eppure, lo scambio dei ruoli o meglio il passaggio da vittima a carnefice è parso possibile, addirittura probabile alla Polizia, che ha arrestato il diciannovenne Pierre, il quale vagava in stato apparentemente confusionale in una zona degradata e frequentata da spacciatori e loro clienti a Verona, presso le ex-cartiere (se ne legga, in «L’Arena.it», l’articolo Giovane autistico si perde. Scambiato per spacciatore di Elena Cardinali).
Il ragazzo che – spaventato dagli agenti – aveva tentato la fuga, è stato “tradotto” in ospedale e qui sottoposto a una sorta di “trattamento sanitario obbligatorio” sui generis: radiografie allo stomaco, per ricercare ovuli di sostanze stupefacenti ingerite per essere occultate. Solo successivamente a un medico sarebbe venuto qualche dubbio di carattere clinico e finalmente il ragazzo è stato ritrovato dalla madre dalla quale, godendo normalmente di una certa autonomia, si era allontanato.

Ma cosa ha portato a questa assurda situazione? Forse una sequela di luoghi comuni sotto ai quali si nasconde il sospetto verso “il diverso”: Pierre è un ragazzo di colore; è stato fermato in una zona “sospetta”; ha tenuto un comportamento “anomalo” (ma normalissimo per chi soffre dei suoi disturbi!).
Episodi del genere dovrebbero portare a riflettere su come la società – e i suoi “guardiani”, in altre occasioni meritevoli – dovrebbe adottare comportamenti più “comprensivi” e “tolleranti”. Non si indignino i politici e i moralisti: “comprensivo” non significa debole verso l’ipotetico malfattore, ma semplicemente che comprende, che capisce o almeno cerca di capire e “tollerante” che sopporta, come un fatto naturale il peso” della diversità.

Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).

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