Siamo in trincea, anzi forse dobbiamo trovare prima di tutto un rifugio antiaereo. Fare scorte, ridurre al minimo i consumi, ripensare in termini francescani il nostro stile di vita. Accontentarci dei farmaci generici, anche se uno specifico medicinale – frutto di una ricerca più recente e non solo di pubblicità aziendale – potrebbe aiutarci a stare meglio. Riparare con cura le carrozzine, centellinare i cateteri e i sondini, alzarsi dal letto proprio se ne abbiamo bisogno. Nascondere il denaro che abbiamo in banca sotto il mattone, altrimenti siamo tagliati fuori dai servizi. Intestare la casa al gatto. Insomma, se possibile, sparire per qualche tempo. O farsi ricoverare. Diventare poveri il più presto possibile, così almeno qualcosa forse ci verrà elargito dal solidarismo compassionevole. Non basta neppure essere non autosufficienti, è meglio essere soli al mondo, se vogliamo un minimo di assistenza personale, perché i nostri parenti adesso si vedranno dimezzate persino le ore di permesso previste dalla Legge 104, a meno che non siano il marito, la moglie, o il papà o la mamma. Non ci conviene avere né figli né nipoti.
Un miliardo e mezzo di nuovi tagli ai bilanci sanitari delle Regioni. Potrebbe persino essere poco, se sapessimo dove, come e perché si taglia. Ma nel calcolo delle probabilità neppure il più azzardato dei bookmaker scommetterebbe un euro sui criteri della ripartizione dei sacrifici. Già lo sappiamo, già lo vediamo. I tagli riguardano i servizi alle fasce più deboli, agli anziani, alle persone con disabilità, a chi è in situazione di disagio sociale. Non c’è scampo, non c’è alternativa. Perché i dirigenti e i funzionari che da oggi in poi dovranno emanare circolari interpretative e regolamenti applicativi, faranno di tutto per far bella figura e salvare il proprio posto ben remunerato. Non tutti, certo, perché le brave persone fortunatamente ci sono ancora, e quasi quasi le conosciamo per nome, Regione per Regione, Comune per Comune. Ma è la dura “legge del taglione”, nel senso del taglio grosso, lineare, indiscriminato, deciso da un governo tecnico che più politico di così non potrebbe essere.
E tutto questo avviene mentre siamo bombardati dalle notizie degli arresti, delle indagini, delle ruberie, dei patti con la criminalità organizzata. Assessori, Consiglieri Regionali, Sindaci, funzionari comunali, faccendieri. Uno spettacolo indecente, e per fortuna che esiste la Magistratura, nonostante tutto. Ma al di là del doveroso garantismo (sic!), non si può non notare come oggi questo nuovo terremoto politico e giudiziario arrivi in un contesto sociale ed economico ben peggiore dei primi Anni Novanta, quando comunque il Paese viaggiava allegramente, forse troppo, vivendo al di sopra delle proprie risorse, ma in ogni caso costruendo leggi, riforme, welfare attivo, nuove forme di sussidiarietà. Oggi tutto questo non c’è più, smantellato mitridaticamente.
L’unica via di uscita non può essere una generica rifondazione della classe politica. Occorre che da subito si creino gli strumenti perché l’economia sociale, gli stanziamenti per i servizi sociali e sanitari, ma non solo, prevdeano forme di controllo, se non addirittura di veto, da parte della società civile organizzata, del mondo delle associazioni, delle competenze, della tutela dei diritti dei Cittadini. Occorre un commissariamento del welfare, ben prima delle nuove elezioni politiche, perché il disastro è qui e adesso. E i danni si vedono subito, casa per casa, famiglia per famiglia.
Il 31 ottobre ci sarà una grande mobilitazione del welfare a Roma, promossa dalla Campagna Cresce il welfare, cresce l’Italia. Bene, speriamo di essere ancora in tempo.
Direttore responsabile di Superando.it.
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