Non trovano più le parole. E passano direttamente agli insulti: le persone con disabilità e i loro familiari questa volta hanno paura che agli annunci seguano davvero i provvedimenti. I tagli ai servizi già sono evidenti e praticamente inevitabili, visto che nelle casse dei Comuni, delle Province e delle Regioni non c’è quasi più niente da raschiare.
I Fondi Nazionali per la Non Autosufficienza, per la Vita Indipendente, per le famiglie, sono di fatto scomparsi. Sopravvivevano le pensioni di invalidità, le indennità di accompagnamento, le detrazioni per le spese specifiche previste dalle leggi. Ora il Governo attacca anche questo ultimo rifugio del welfare familiare. E non resta che piangere. O preoccuparsi. O manifestare. O addirittura fare lo sciopero della fame.
Avevo già letto con attenzione la documentata analisi dei provvedimenti effettuata tempestivamente da Carlo Giacobini in HandyLex.org , il sito di documentazione legislativa fondamentale per chiunque voglia conoscere nel dettaglio le norme e le conseguenze delle norme. Ne riporto un passo, anche per comprendere meglio le possibili conseguenze per se stessi o per la propria famiglia. Scrive Giacobini, tra l’altro: «La scelta sino ad oggi operata dal Legislatore (DPR 603/1973, art. 34) è stata volta ad esentare dall’imposizione quelle provvidenze che lo Stato stesso eroga a fini di assistenza (articolo 38 della Costituzione), quindi anche pensioni, assegni, indennità agli invalidi civili, ma anche, ad esempio, i contributi per la vita indipendente. A ben vedere, una scelta di segno opposto sarebbe stata paradossale e controproducente: lo Stato si sarebbe trovato nella situazione di concedere un aiuto, dopo avere apprezzata e valutata la situazione di bisogno, per poi ridurre l’entità dell’aiuto applicandone una imposizione. Con la scelta ventilata nel disegno di Legge di Stabilità tutte le provvidenze assistenziali agli invalidi civili (ciechi e sordi) diventerebbero imponibili ai fini IRPEF, indipendentemente dal loro importo. Non è escluso che, a cascata, vi rientrino anche altre provvidenze assistenziali erogate dalle Regioni (esempio: assegni di cura, contributi vita indipendente ecc.), vista l’espressione letterale del vecchio DPR 603/1973 che le escludeva».
Quanto poi scrive Mario Sensini sul «Corriere della sera» conferma e sintetizza la gravità dei provvedimenti contenuti all’interno del complesso Disegno di Legge di Stabilità. «I tagli – annota il giornalista economico del “Corriere” – interessano una platea molto vasta di Cittadini. Solo le prestazioni dell’INPS legate all’invalidità sono 2 milioni e 733 mila. L’importo medio è piuttosto modesto, 404 euro mensili, ma le cifre in ballo sono impressionanti: pensioni e assegni di invalidità costano 3,8 miliardi di euro l’anno, le indennità di accompagnamento raggiungono addirittura i 12,9 miliardi di euro l’anno. Ed è proprio lì che i tagli (e i conseguenti risparmi) saranno più consistenti. Mentre le pensioni e gli assegni sono già commisurati al reddito, l’indennità di accompagnamento, anche questa esentasse, viene concessa agli invalidi che non possono camminare o hanno bisogno di assistenza per le attività quotidiane a prescindere dal reddito percepito. D’ora in poi chi beneficia di queste prestazioni e ha già redditi superiori ai 15 mila euro dovrà inserire gli assegni nella dichiarazione IRPEF e sottoporli all’imposta».
Qui si capisce la logica dei provvedimenti: colpire «una platea molto vasta di Cittadini». Dunque nessuna equità. Perché non si colpisce, anche all’interno del mondo della disabilità, chi davvero ha di più. Il famoso e citatissimo figlio disabile di Agnelli (che non esiste) avrà lo stesso trattamento fiscale e contributivo di chi percepisce 15.000 euro all’anno, ossia di chi si colloca appena al di sopra dell’asticella della soglia di povertà.
L’argomento forte della necessità di partecipare ai sacrifici in ragione del reddito, nel mondo delle famiglie delle persone disabili non regge affatto. Perché in questo mondo un improvviso aggravamento delle condizioni economiche derivante dalle nuove norme fiscali significa entrare rapidamente nella fascia di rischio di povertà. Significa anche dover rinunciare a qualsiasi ipotesi di miglioramento della propria situazione di vita, se è vero che la fascia massima di detrazione fiscale si colloca a 3.000 euro all’anno. Cambiare la macchina con gli adattamenti per la guida o il trasporto diventerà un lusso insostenibile, pagare un’assistente familiare e mantenerla, pagare i servizi comunali o scolastici, immaginare una banale vacanza: tutto diventerà molto più difficile.
Senza contare la questione dei permessi lavorativi per assistere genitori non autosufficienti, altra “perla” dei provvedimenti governativi. E facendo finta di dimenticare che oggi trovare lavoro per una persona con disabilità è un’impresa “da Guinness dei primati”. Assai più facile perderlo, visto che negli stati di crisi le aziende sono legittimate a non rispettare la Legge 68/99 sul diritto al lavoro per i disabili.
Riuscirà il Parlamento a intervenire in modo sostanzioso, modificando le norme? Si apre adesso per l’ennesima volta la fase convulsa delle proteste, della ricerca di interlocutori politici, di spazio e visibilità sui media. In parole povere le persone con disabilità e le loro famiglie saranno ancora una volta costrette a “esporre” il proprio handicap, le proprie ferite fisiche, sensoriali o mentali, per indurre a pietà, per ottenere giustizia, per difendere i diritti minimi di cittadinanza.
Lo faranno a Roma, il 31 ottobre, assieme a tutto il mondo del volontariato e del Terzo Settore. Sarà un giorno triste per l’Italia. Non credo che il governo Monti, su questo punto, faccia la tanto proclamata bella figura in Europa. E penso che alla fine dovranno fare marcia indietro, perché anche le “macellerie sociali”, in tempo di crisi, devono abbassare la saracinesca.