Il senso sta proprio in Giada e in quello che lei ha scoperto: «Mamma, che bello. Tanti ragazzi come me che sono anche diventati campioni!». Sì, alla fine è questo il senso della Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico, evento che l’11 ottobre scorso ha dimostrato come stia continuando “l’effetto Londra”. Poi, se uno vuole, va a trovare anche i numeri: oltre ventimila studenti in dieci piazze italiane hanno incontrato i campioni della Paralimpiade e provato le discipline viste ai Giochi, festeggiando Cecilia Camellini (a Mirandola), Martina Caironi (a Milano), Oscar De Pellegrin (a Roma). Ma per capirne il senso basta guardare Giada e i suoi occhi.
Giada ha dodici anni appena compiuti, vive con la mamma Raffaella e la sorellina Chiara a Cesano Maderno, un quarto d’ora a nord di Milano. Aveva quasi sei anni, iniziato a praticare danza moderna e giocare a pallavolo con le amichette, quando ha cominciato ad avere perdite di equilibrio, rifiutare il cibo, piangere dicendo: «Mi sento male e non so perché». Alcuni mesi per capirlo: sindrome di Leigh, una rara malattia genetica, che di solito si sviluppa fra i tre mesi e i due anni. Giada a undici anni arriva a pesare 18 chili. «Nella malattia rara, lei è un caso rarissimo…».
Raffaella è una di quelle mamme dalla serenità che non ti aspetti. «Me la trasmette Giada, quando mi vede triste – mi dice -: non piangere, stai tranquilla». Giada frequenta la seconda media, studia come le compagne e non si muove quasi più, solo un poco la testa e una mano. Parla a fatica. La malattia è degenerativa.
Con la scuola del suo paese – la “Salvo d’Acquisto” -, una di quelle da prendere a esempio per ciò che riesce a fare, malgrado i tagli e le scarse risorse, era appunto alla Giornata Paralimpica a Milano, nella piazza sotto il Palazzo della Regione. Sopra, il peggiore esempio dato della politica. Sotto, migliaia di ragazzi ad ammirare e provare lo sport per tutti, anche per chi non vede, non ha arti, non cammina o non sente.
«Mamma, hai visto come balla quella ragazza? È cieca, non ci volevo credere…»: Giada guarda stupita Arjola [Arjola Dedaj, N .d.R.], bravissima a danzare con Salvatore e a giocare a baseball per ciechi nei Thunder’s Five di Milano o a correre con i SuperHabily di Abbiategrasso.
Scopre che pure chi muove pochissimo del suo corpo può giocare e divertirsi. C’è uno sport meraviglioso. Si chiama boccia ed è uno dei venti della Paralimpiade. Campioni paralimpici sono persone che a volte muovono solo, e magari male, la testa: attraverso una bacchetta sulla testa spingono la boccia su uno scivolo verso il boccino. La FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), una delle Federazioni del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), lo sta portando anche in Italia, dove c’è qualche esperienza a Torino e nel Nordest. Giada ora sa che c’è uno sport anche per lei.
Luca Pancalli, presidente del CIP, ha immaginato questa Giornata – realizzata da sette anni con la Fondazione Enel Cuore ONLUS – come spunto per arrivare a un accesso per tutti allo sport, un pungolo agli Enti Locali. «Sul territorio – spiega – ci si accorge quanto deboli siano gli investimenti: una prova della mancanza di fiducia nello sport come strumento sociale». Quello paralimpico non è un costo, ma un investimento, come aggiunge ancora Pancalli: «Una persona con disabilità che fa sport è una persona che costa meno al servizio sanitario».
Obiettivi da raggiungere. Ma basta anche questo: il senso lo si trova lì, negli occhi belli e stupiti di Giada, nella sua voglia di rimettersi a giocare, nella scoperta che ci sono sport per tutti, anche per lei, per il suo fisico ora più debole, con i suoi dodici anni e quella carrozzina che l’accompagna da sei.
Il presente testo è già apparso (con il titolo “Giada che non si muove e scopre lo sport. Il senso della Giornata Paralimpica”) in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con una serie di adattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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