Nello scorso mese di febbraio abbiamo segnalato in questo sito un progetto originale e degno di nota, che segna il connubio tra i desideri di due persone, una giovane donna pugliese che desidera avviare un’attività artigianale di produzione di gioielli, e un giovane uomo palestinese che desidera inserire le persone con disabilità della sua terra nel mondo lavorativo.
Lei si chiama Azzurra Amoruso, vive a Parigi ma è originaria del Sud Italia, e ha la dote artistica di saper disegnare fantasiosi e colorati gioielli originali con pietre preziose. Le piacerebbe che da questa capacità nascesse un business. Lui si chiama Hamdan Jewe’i ed è noto ai Lettori più affezionati del nostro giornale, perché abbiamo raccontato innanzitutto la sua storia personale – è una persona con disabilità fisica ed è stato tenuto nascosto in una stanza dalla sua famiglia per diversi anni, finché è riuscito a fuggire da una cultura dove la vergogna sociale per la disabilità è ancora diffusa, specie nelle zone più povere – e poi i suoi progetti dedicati all’inclusione sociale in Palestina.
I rapporti di Hamdan con l’Italia sono stretti e grazie a questo scambio con il nostro Paese ha potuto incontrare Azzurra e iniziare questa avventura con lei. L’avventura ha un nome, Moire-Terrena, ed è un vero e proprio connubio. Moire è infatti l’associazione palestinese di Hamdan, nata con lo scopo dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Le “moire” sono le dee greche del fato, una che fila, l’altra che sfila, la terza che taglia.
«Handan ha voluto questo nome per dire che il destino delle persone con disabilità può rimanere in balia dei venti oppure può essere preso in mano tramite progetti come il suo, che mirano a migliorare la qualità della vita di chi ha una disabilità»: a spiegarcelo è Azzurra Amoruso, che abbiamo intervistato.
Che cos’è Terrena?
«Terrena è la mia società. Produco cataloghi, disegno i gioielli, organizzo i corsi di formazione, faccio comunicazione, promuovo e vendo il prodotto finito, eccetera. Il nome l’ho scelto io perché mi piaceva, l’ho pensato perché mi riportava a un senso di concretezza, a qualcosa di pratico, di terra, di naturale. E c’è anche il legame con la propria terra, il territorio. Quello palestinese per i palestinesi e quello pugliese per i miei conterranei».
Di che cosa si occupa Moire-Terrena?
«Di mettere insieme quello che voglio io con quello che vuole Hamdan. L’originalità della nostra idea sta nell’integrare i nostri desideri l’uno nell’altro, per creare un progetto in cui le persone con disabilità a Betlemme lavoreranno per la produzione dei miei gioielli. Prima parteciperanno a dei corsi di formazione e poi, anziché fermarsi lì, verranno direttamente inseriti nel mondo lavorativo tramite Terrena. Il desiderio originale di Hamdan, infatti, era semplicemente di offrire ai propri conterranei con disabilità una formazione che li introducesse al mondo lavorativo. L’incontro con me ha fatto scaturire un’ipotesi ancora più interessante perché più concreta, più “terrena”. Infatti, insieme vogliamo essere in grado di offrire un’opportunità lavorativa retribuita, dimostrando che le persone con disabilità sono in grado di produrre degli oggetti di valore sul mercato al pari di tutti gli altri. Dimostrazione che in Palestina è un argomento ancora tutto nuovo».
Quindi Terrena userà Moire per reclutare i propri lavoratori a Betlemme.
«Precisamente. A Betlemme perché Hamdan è di Betlemme e suo padre ha messo a disposizione un ambiente al primo piano di un edificio che sarà la sede operativa di Moire-Terrena. Vorrei anche spendere due parole in più su questo. Recentemente ci sono state rivolte delle domande un po’ particolari. Qualcuno ci ha chiesto perché abbiamo scelto di far produrre i gioielli in Palestina anziché in Italia. Ci hanno chiesto se non fosse una scelta strategica perché il costo del lavoro lì è molto più basso. L’accusa insomma era di “approfittare della situazione”, magari anche perché la tassazione lì è meno pesante. Ma il fatto è che tutto è nato proprio in un altro modo, e cioè dall’incontro mio con Hamdan. La situazione delle persone con disabilità in Palestina è molto difficile e per lui è primario riuscire a offrire il proprio contributo per migliorarla. Collaborare con me, per lui, è un modo interessante di realizzare il suo desiderio. Per me, d’altra parte, è bello pensare che la mia produzione artigianale ha dietro un progetto tanto socialmente impattante. Se ci rafforzeremo, intendiamo poi allargarci e aprire ulteriori sedi anche in altre zone del mondo, dove l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità sia un argomento cruciale. Per esempio anche nel Sud dell’Italia».
Ora siete in Italia per promuovere il vostro progetto. Cosa promuovete e perché lo state facendo?
«Promuoviamo l’idea. In questo momento abbiamo creato sia la società che l’associazione e abbiamo preparato il progetto e il budget. Quest’ultimo, presentato in dettaglio nel nostro sito, ammonta a quasi 100.000 euro. Quindi ora cerchiamo occasioni pubbliche di presentare Moire-Terrena, per riuscire a reperire più fondi possibili».
Come siete arrivati a un budget di 100.000 euro?
«Un po’ di meno, per la precisione, 96.000 euro. Circa la metà saranno destinate al cosiddetto “insediamento”. Mi spiego. L’ambiente che ci ha offerto il padre di Hamdan non ha neppure l’allacciamento all’acqua e non è arredato. Mancano tavoli, armadi, lampadari. Inoltre è al primo piano e serve un montascale. Solo renderlo operativo comporterà dei costi significativi. E poi bisognerà far partire il ciclo produttivo. Faremo il primo corso di formazione e occorrerà acquistare il materiale, tanto per cominciare».
Cosa succederà se non riuscirete a raccogliere la cifra che vi siete prefissi?
«Vorremmo partire con quello che avremo. Casomai faremo il corso solo per quattro persone. Poi man mano che l’attività prenderà piede e che reperiremo altri fondi aggiungeremo nuove persone».
Come state lavorando per reperire i fondi?
«Abbiamo organizzato una specie di tour in giro per l’Italia che si sta svolgendo in questo periodo e terminerà con la fine del mese di ottobre, quando Hamdan tornerà in Palestina. Io non ci sarò, rimango a Parigi, ma lo sostituirò nei mesi successivi, perché prevediamo altre date anche durante l’inverno. Intanto mi sto rivolgendo alla mia Regione, la Puglia, per ottenere fondi europei che sostengano l’avvio dell’impresa. Agli incontri partecipano privati, ma ad esempio a Napoli – come succederà il 19 ottobre (Sede GESCO Campania, Via Vicinale santa Maria del Pianto, 61, ore 10) – ci saranno anche la Camera di Commercio e un rappresentante della CGIL. Inoltre sarà il Comune del capoluogo campano ad ospitarci, mettendoci a disposizione una sua sala. Stiamo infine cercando un dialogo anche con le fondazioni bancarie.
Durante le ore a disposizione presentiamo il progetto nel suo insieme, mostriamo un video di una decina di minuti che illustra la situazione delle persone con disabilità in Palestina [“La Stanza di Hamdan”, già presentato su queste pagine, N.d.R.], diamo le informazioni sia su Moire che su Terrena e illustriamo il budget. Abbiamo anche il video spot della collezione che intendiamo realizzare. Infine distribuiamo depliant e brochure e facciamo la raccolta fondi».
Cosa vuol dire? Chiedete agli invitati di “metter mano al portafoglio”?
«Sì, anche. Accanto al conto corrente e accanto ai nostri rapporti con realtà più grosse, chiediamo anche ai singoli Cittadini».
Dopo il 19 ottobre a Napoli, i successivi incontri previsti per la presentazione del Progetto Moire-Terrena saranno il 21 ottobre a Firenze (presso Drumayoga, Via Luigi Lanzi, 12, ore 20.30), il 24 ottobre a Carrara (Biblioteca Comunale, in mattinata), il 25 ottobre a Torino (presso Centro Yogasangha, Via Villa Glori, 6), il 26 ottobre a Dossobuono di Villafranca di Verona (presso Centro Maya Yoga e Postura, Via Volta, 32, ore 21) e il 28 ottobre a Ostia (Roma) (presso Affabulazione, Piazza Agrippa, 7/h, in orario da stabilire).
Chiunque decidesse di credere nel Progetto Moire-Terrena e di sostenerlo, troverà tutte le informazioni nel sito dedicato.