Scoprire di aver ragione in genere fa piacere. Ma in questo caso è vero esattamente il contrario. I dati sulle risorse e i servizi destinati nel nostro Paese alla disabilità, emersi dall’interessante indagine realizzata dal Censis e promossa dalla Fondazione Serono, hanno il pregio di affondare il coltello nella piaga di un’informazione spesso approssimativa e tendenziosa, che negli ultimi tempi ha alimentato – grazie a ben condotte campagne di ispirazione politica e addirittura governativa – il luogo comune di un eccesso di spesa assistenziale nei confronti delle persone con disabilità, soprattutto in riferimento agli emolumenti e alle pensioni erogate agli invalidi civili.
Ebbene, il confronto asettico e imparziale con gli altri Paesi europei a democrazia e a welfare comparabili (dal Regno Unito alla Francia, dalla Germania alla Spagna) riporta con i piedi per terra e rivela un triste e deplorevole primato in negativo.
Ad esempio, balza agli occhi con grande violenza la comparazione tra i 703 euro della Germania e i 438 euro dell’Italia, per non parlare dei 395 euro della Spagna, nella graduatoria della spesa pubblica destinata alla protezione sociale delle persone con disabilità.
È quasi irridente rilevare come anche in questo campo lo “spread” sia elevatissimo. A dimostrazione – se mai ce ne fosse bisogno – che la ricchezza economica di un Paese deve poter destinare una quota consistente del Prodotto Interno Lordo proprio per compensare lo svantaggio e le difficoltà di chi vive in una condizione di disabilità.
Quella del Censis è una risposta tecnica al governo dei tecnici, che hanno dimostrato purtroppo in questi mesi una crescente incapacità di “vedere” la realtà sociale del Paese e di provvedere non solo in termini di mera ragioneria contabile, ma di equità sostanziale.
Troppe partite sono state congelate: dall’inclusione lavorativa a quella scolastica, dai servizi di assistenza domiciliare alla tutela reale della famiglia. Non è difficile peraltro prevedere che queste statistiche faranno fatica a trovare spazio nei media generalisti e nelle discussioni dei talk-show. La disabilità, infatti, rimane pur sempre un tabù della comunicazione. Perché “disturba il manovratore”. E turba la coscienza. O almeno quel che resta della coscienza.