Certamente di motivi che generano sconforto nelle persone con disabilità e nelle loro famiglie non ne difettano in questi tristi tempi: dal Governo, all’INPS, agli organi d’informazione “massimalisti”, è tutta una gara a chi propone provvedimenti riduttivi, restrittivi, quasi punitivi.
In questo quadro, l’episodio del ragazzo con autismo di Verona, fermato e “radiografato” perché scambiato per uno spacciatore – di cui abbiamo già avuto modo di scrivere su queste pagine – oltre ad essere il segnale di una marcata regressione culturale di una buona parte della società, crediamo sia anche significativo di come le parole, lentamente modificate, assumano in questi casi significati assai diversi.
Secondo le varie fonti, infatti (telegiornali, quotidiani, agenzie, blog), il comportamento “anomalo” del ragazzo era stato segnalato. Ma esattamente da chi? E in quali termini? Era stato descritto come “agitato”, “quasi violento”, “violento”? E verso se stesso o verso gli altri? E se verso gli altri, chi erano questi “altri”? Dei passanti? È stato uno di loro che ha allertato la Polizia? Oppure è stato un osservatore esterno ai fatti contestati? Quali fatti esattamente gli sono stati contestati? E ancora, chi e su quali basi ha deciso di parificare il comportamento di un ragazzo con autismo a quello prodotto da un ovulo di sostanze stupefacenti che si rompe nello stomaco?
La sedazione del giovane – che sembra sia stata effettuata da un operatore del 118 – è stata praticata da un medico? E per quale motivo? Erano noti, a questa persona, tutti i rischi derivanti dal sedare un ragazzo con disabilità? O non si è neppure accorto che il ragazzo era disabile?
Chi ha suggerito inoltre alla dottoressa in ospedale – che poi ha eseguito la radiografia addominale – la “diagnosi” di ingestione di sostanze stupefacenti ? Perché (pare) la dottoressa avrebbe sottolineato con quattro punti interrogativi tale “diagnosi”?
Altri quesiti riguardano poi il comportamento delle forze dell’ordine. Perché da una parte il Questore di Verona vanta l’alto grado di specializzazione (e di specializzazioni) presente nella polizia locale e si spinge sino ad offrire assistenza psicologica alla famiglia, mentre dall’altra il Sindacato di Polizia lamenta che gli agenti debbano occuparsi di tutto e quindi anche di situazioni per le quali non sono mai stati preparati?
E infine, perché non chiudere il caso, da parte dell’Autorità, con motivate scuse – motivate dalle attenuanti esistenti – verso la famiglia del ragazzo, anziché arroccarsi nel perfezionismo di chi non sbaglia mai?